la Repubblica, 7 gennaio 2024
Parigi, la battaglia per salvare il laboratorio di Marie Curie “Un monumento”. “È radioattivo”
Quando la difesa del patrimonio incontra le ragioni della scienza, il risultato è un corto circuito nel quale tutti sembrano avere ragione. Accade nel cuore di Parigi, alle spalle del Quartiere Latino, nel quadrante della scienza che fu il quartier generale di un gruppo di ricercatori illuminati guidati da quella che sarebbe diventata la prima donna a ricevere un Nobel. Da ottobre la notizia dell’imminente demolizione di uno dei tre edifici che compongono gli storici laboratori di Marie Curie aveva iniziato a circolare sui social grazie all’interessamento di Baptiste Gianeselli, un cittadino che fa da megafono per la comunità su problemi legati al patrimonio, un flâneur attivista che si è già battuto per il rifacimento di Place de la Concorde e ora punta ad attaccare la futura sistemazione delle piazze di Notre-Dame.
È stato lui uno dei primi a scoprire il cartello con il permesso di demolizione del Pavillon des Sources, piccolo edificio nell’area di quello che fu l’Istituto del Radio dove la scienziata lavorò agli studi sulle sostanze radioattive che portarono alla scoperta del radio e del polonio. Inizio lavori previsto per l’8 gennaio 2024; scopo del progetto la realizzazione di un moderno edificio a cinque piani destinato a ospitare un innovativo laboratorio di ricerca contro i tumori. Da allora è partita una campagna che ha raccolto il favore della società civile, in particolare delle associazioni femministe, fino a ottenere l’appoggio di alcuni esponenti politici come l’ex ministra della Giustizia, oggi a capo del partito d’opposizione Les Républicains al Comune di Parigi, Rachida Dati. Campagna poi arrivata a destinazione, ovvero fino alla ministra della Cultura Rima Abdul Malak – uno dei nomi più papabili dell’imminente rimpasto che starebbe per abbattersi sul governo Macron – che ha incontrato Thierry Philip, presidente dell’Institut Curie, e ha disposto una pausa sulla demolizione «per studiare alternative possibili».
Salvataggio in extremis dunque, ma vittoria dimezzata. A preoccupare, soprattutto la comunità scientifica interna allo stesso istituto, sono le sorti del grande centro di ricerca che avrebbe dovuto sorgere sulla collina Sainte-Geneviève andando ad occupare anche il posto del piccolo laboratorio e diventando il primo centro europeo di chimica biologica per il cancro. A difendere le ragioni del progresso c’è lo stesso direttore dell’Istituto Curie Thierry Philip che spiega: «Il Pavillon des Sources è uno spazio di 100 metri quadrati interamente radioattivo il cui ingresso è vietato da cinque anni dall’autorità di sicurezza nucleare. Per decontaminarlo ci vogliono 2 milioni di euro che non vogliamo spendere. Le soluzioni sono due: distruggerlo per fare nuovi laboratori o murarlo e lasciarlo inutilizzato».
«Anche il Pavillon Curie, che ora ospita il Musée Curie, era radioattivo prima di venire decontaminato», ribatte Gianeselli. «Il sito che vogliono abbattere non è un semplice laboratorio ma un padiglione dal valore storico, dove durante la Prima Guerra Mondiale Curie preparò le ampolle di radio destinate a sterilizzare le ferite dei nostri soldati. Era volontà della figlia Ève che fosse destinato più spazio alla memoria dei suoi genitori. Alla sua morte, ha lasciato in eredità all’Istituto un milione di dollari affinché tutto, compreso il Pavillon des Sources, diventasse un monumento storico».
Trasformare la città in museo o lasciarla vivere, si domanda ora Philip che sente di essere ostaggio di unoscontro più grande, quello tra la destra e la sinistra del Comune di Parigi. «La scienza è apolitica e noi vogliamo soltanto riportare in Francia i cervelli in fuga mettendo loro a disposizione nuovi spazi di ricerca. Abbiamo bisogno di oltre 2mila metri quadrati operativi entro due anni. Ora spetta al governo aiutarci a trovarli. Ho un permesso di demolizione legale, una data già concordata con la ministra oltre la quale non voglio andare e sono nel pieno diritto di abbattere l’edificio. L’unica cosa che può impedirlo è che il ministero decida di classificarlo come monumento storico».
E poi conclude ricordando che «quando nel 1914 fu distrutto l’hangar nel quale Marie Curie ha scoperto il radio, lei era viva e non fece alcuna contestazione perché aveva bisogno di laboratori. Sono sicuro che se fosse ancora qui non avrebbe dubbi nel lasciare spazio alla scienza».