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 2024  gennaio 07 Domenica calendario

Intervista a Gennaro Sangiuliano

«Siamo i primi in Europa nella capacità di spesa dei fondi del Pnrr». Il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, 61 anni, “lo svizzero napoletano” come lo chiamava Vittorio Feltri per la sua sedulità da vicedirettore di Libero, poi al Tg1 e alla direzione del Tg 2, vuole organizzare «un tour di giornalisti per far vedere quello che è stato fatto e si sta facendo. Non annunci, ma fatti. Come che siano aumentati, nel 2023, i visitatori dei musei e gli introiti. Così come fatti sono i concorsi per assumere al ministero nuovi dipendenti sempre più qualificati».
Quali sono i suoi principali obiettivi da ministro?
«In un anno abbiamo messo in moto centinaia di progetti, ciascuno rilevante per il suo territorio, che spesso languivano nei cassetti. A Milano Palazzo Citterio, che costituirà un nuovo polo della Pinacoteca di Brera, e la Biblioteca europea di informazione e cultura. A Venezia è in corso un investimento di 169 milioni sulla Biennale. A Firenze il raddoppio degli Uffizi nelle ville medicee di Careggi e Montelupo. A Napoli la più grande infrastruttura culturale d’Europa nel Real Albergo dei Poveri, voluto da Carlo III di Borbone, che ospiterà il raddoppio del Museo archeologico, scuole di eccellenza dell’Università Federico II e una biblioteca. La Pilotta di Parma è tornata a splendere. Stiamo finanziando il recupero del Santuario di Oropa (Biella). Abbiamo acquistato un edificio che ospiterà i meravigliosi bronzi di San Casciano. A Pompei sono stati finanziati nuovi scavi che iniziano in questi giorni. Il ministro Crosetto ci ha ceduto l’ex spolettificio di Torre Annunziata, uno stabilimento militare che diventerà un museo di riferimento per Pompei, Oplonti e Ercolano. Potrei continuare a lungo con i progetti, dal Museo del Mediterraneo di Reggio Calabria al Castello Svevo di Bari».
Come procede la riforma del ministero della Cultura?
«Una parte è già operativa: i musei autonomi sono passati da 44 a 60, con la creazione di nuovi poli e tre sono stati promossi in prima fascia. Tra poco andranno in selezione i posti per i direttori. Per i dipartimenti, ottenuto il via libera della Ragioneria generale dello Stato, la riforma è all’esame del Consiglio di Stato per il parere competente. Mi fa piacere che un grande studioso come Andrea Carandini si sia espresso a favore».
È stato difficile nominare i direttori dei musei?
«Secondo la legge ho scelto, all’interno di una terna, i quattro direttori dei musei di prima fascia, gli altri sono stati decisi dal direttore generale Osanna. Si tratta di personalità di alto profilo. Simone Verde, protagonista della rinascita della Pilotta di Parma va agli Uffizi; Renata Cristina Mazzantini, che ha curato il progetto “Quirinale contemporaneo”, va alla Galleria Nazionale di Arte Moderna; Angelo Crespi, già presidente del Museo d’arte di Gallarate, alla Pinacoteca di Brera; ed Eike Schmidt, che non ha bisogno di presentazioni, a Capodimonte»
Cosa si aspetta da quest’ultimo?
«Che prosegua l’ottimo lavoro fatto dal suo predecessore Bellenger, innestando, ovviamente, le sue idee. A Capodimonte è in atto una grande rigenerazione, con un investimento di oltre 40 milioni, fra cui il completamento del restauro della chiesa di San Gennaro già quasi concluso da Santiago Calatrava. E stanno per arrivare a Venaria i capolavori di Capodimonte ora al Louvre».
Quando e chi sceglierà per i Musei Reali di Torino?
«Innanzitutto sono stati promossi in prima fascia. Altri prima di me non lo avevano fatto. Ci sarà a gennaio una selezione conformemente alla legge. Sono sicuro che sarà una grande personalità».
C’è attesa anche per la presidenza dell’Egizio…
«Ho espresso la mia stima al direttore Christian Greco, che sto coinvolgendo per un rilancio del Museo egizio di Benevento. Per la presidenza, non essendo al calciomercato, si valuterà sulla base di criteri di valore».
Cosa si aspetta dal Salone del libro diretto da Benini?
«Mi aspetto un Salone plurale, aperto, democratico, dove chiunque possa esporre le proprie idee. Il confronto arricchisce sempre. Non come è avvenuto con l’azione squadrista che impedì al ministro Roccella di presentare il suo libro».
Il 9 gennaio sono vent’anni dalla morte di Norberto Bobbio, ha in mente qualcosa?
«Ho sostenuto l’esame universitario di Filosofia del diritto proprio su un testo di Bobbio, Teoria generale della norma, edito da Giappichelli. Mi fece scoprire Kelsen. Poi nella mia biografia di Prezzolini cito spesso il suo Profilo ideologico del Novecento italiano, opera fondamentale. Ci sono decine di citazioni di Bobbio nei miei articoli, sempre favorevoli, anche nell’introduzione fatta da ministro al catalogo della mostra sulle Riviste del primo Novecento che è agli Uffizi. È stato uno straordinario intellettuale del Novecento, antifascista e azionista, che merita stima e un adeguato ricordo. C’è stata poi la polemica per l’adesione giovanile di Bobbio al fascismo, da lui più volte ammessa e la sua lettera al Duce su cui si innestò la famosa intervista di Pietrangelo Buttafuoco».
L’11 giugno sono quarant’anni dalla morte di Enrico Berlinguer, come va ricordato?
«Il 25 maggio del 2022 ricorsero i cento anni dalla sua nascita e l’unico telegiornale a dedicargli un servizio fu il Tg 2 da me diretto, mentre quelli che a Roma chiamano “i giornalisti de sinistra” si distrassero. Bianca Berlinguer lo vide e mi inviò un cuoricino rosso. Certo che va ricordato. Comprese, prima di altri suoi compagni, che “la spinta propulsiva” del comunismo si era esaurita, schierò il Pci senza ambiguità nella lotta al terrorismo e definì disumano l’assassinio del giovane militante del Fronte della Gioventù Paolo Di Nella. Qualche anno fa ho partecipato come relatore alla presentazione del libro di Antonio Padellaro sui presunti incontri tra Giorgio Almirante e Enrico Berlinguer per pacificare l’Italia. Una storia affascinante».
La proposta di una targa per Gramsci è genuina o è l’ennesima tappa di un’appropriazione da parte della destra?
«Ho scritto ai vertici della clinica Quisisana di Roma per chiedere di apporre una targa ricordo di Gramsci, nel luogo dove morì dopo l’ingiusta persecuzione fascista. Gli dedicheremo anche una mostra. È stato un grande intellettuale che ha dimostrato una lucida capacità di analisi. Il suo pregio più importante è stato quello di correggere il marxismo classico aprendo al popolo-nazione e alla storia. Sottoscrivo Gramsci quando in Letteratura e vita nazionale se la prende con i pappagalli».
Come va la mostra su Tolkien e dove andrà in tour?
«È un grande successo con oltre 40 mila visitatori in un mese e Tolkien è stato di nuovo citato da Papa Francesco nella Santa messa di Natale. Un giornalista britannico mi ha telefonato per dirmi che aveva pregiudizi prima di venire invece l’ha trovata bellissima. La mostra andrà a Palazzo Reale a Napoli, poi a Torino e a Catania».
Come procede l’egemonia culturale della destra?
«Non ha senso pensare ad un’egemonia culturale della destra da sostituire a quella di sinistra. Non ci sono casematte da assaltare. C’è da garantire una cultura aperta e plurale, dove chiunque parli liberamente, senza censura e pregiudizi. Tutti abbiano la libera possibilità di mostrare capacità e misurarsi, superando consorterie e “amichettismo"».
Che ne pensa della riforma costituzionale in discussione?
«L’ho votata e la condivido in ogni suo punto. Tutti si dichiarano riformisti, salvo disattendere ogni cambiamento. Si discute di cambiare la parte modificabile delle Costituzione, quella dei principi non va toccata, dalla fine degli anni ’70. Abbiamo attraversato il lodo Spadolini e tre commissioni bicamerali. Nel merito faccio mie le parole di Giorgia Meloni: la riforma rafforza la stabilità dei governi, un problema storico dell’Italia che abbiamo pagato pesantemente».
Come si concilia la destra prezzoliniana di cui lei parla spesso con quella attuale?
«Prezzolini elabora in una posizione politica lo storicismo di Croce, l’idealismo di Gentile ma anche l’apotismo suo e di Gobetti. Poi avendo vissuto per circa trent’anni negli Stati Uniti fa sua la lezione del conservatorismo americano. Due sono i testi rilevanti: il Manifesto dei conservatori e l’Intervista sulla destra. Poi sul Corriere, nei primi anni ‘70, scrive un articolo sulla “destra che non c’è” denunciando l’assenza di un polo conservatore che esiste invece in tutte le grandi democrazie occidentali. Credo che questo vulnus ora sia stato sanato con la presenza di un grande partito conservatore. Vale oggi quello che scrisse Prezzolini: “Il progressista è la persona del domani, il conservatore la persona del dopodomani, perché innova la società salvaguardandone i valori fondanti"».
Ha scritto libri su Putin, Trump e Xi, come li vede posizionati nello scacchiere globale?
«Ho scandagliato questi personaggi e la storia non è affatto finita come aveva preconizzato Fukuyama, ma in movimento. L’Occidente deve difendere la sua cultura della libertà e dei diritti individuali».
Dopo il ministero si vede ancora in politica o è una parentesi?
«Penso a fare bene ora, con onestà, passione e dedizione. Ringrazio Giorgia Meloni per avermi dato la possibilità di servire l’Italia che amo. Sembrerò retorico, ma sono i miei più sinceri sentimenti». —