La Stampa, 6 gennaio 2024
La cassaforte di Hamas
Una vasta e capillare rete finanziaria con epicentro in Turchia e ramificazioni in Medio Oriente, Golfo Persico e Africa del valore di centinaia di milioni di dollari con cui vengono finanziate le operazioni di Hamas contro Israele. È la struttura che fa capo a Zaher Jabarin, eminenza grigia incaricata della gestione delle relazioni finanziarie del movimento islamista col suo principale benefattore, l’Iran, per mezzo del quale invia denaro alla Striscia di Gaza e in Cisgiordania. Non un tesoriere, men che meno un cassiere, è una figura chiave quella di Jabarin, gestore di un portafoglio di aziende che forniscono entrate annuali ad Hamas e punto di riferimento di una rete di donatori privati e uomini d’affari che investono per il gruppo islamico. Tanto che – dice il Wall Street Journal – funzionari della sicurezza statunitensi e israeliani ritengono il 55enne abbia agevolato finanziariamente gli attacchi del 7 ottobre.
Uzi Shaya, ex funzionario della sicurezza israeliano, lo ha definito «l’amministratore delegato di Hamas», una sorta di Cardinal Richelieu dell’apparato manageriale del movimento in cui ha militato sin da giovanissimo. Facendosi notare come “enfant prodige” dallo stesso fondatore, lo sceicco Ahmed Yassin, quando gestiva una cellula negli anni Ottanta, faceva graffiti contro Israele e prendeva in prestito denaro dalla madre per comprare armi. Divenuto potente faccendiere, pur non risultando mai nei noti organigrammi dell’organizzazione, è vicino a Saleh al-Arouri, il numero due di Hamas ucciso martedì in un attacco alla periferia sud di Beirut. Con cui fonda l’ala militare di Hamas, le brigate Izz ad-Din al-Qassam. E sono entrambi considerati vicini all’Iran.
Nato nel 1968, cresce a Salfit, cittadina nel nord di West Bank, da adolescente è a capo di una banda che si unisce alla prima Intifada nel 1987, quando il movimento muove i primi passi, lì inizia l’attivismo militante e la lotta armata. Arrestato per l’uccisione di un soldato israeliano, Jabarin viene condannato all’ergastolo. In prigione impara l’ebraico, studia per la laurea e scrive un libro. Nel frattempo, Hamas diviene la fazione più popolare a Gaza, fino a strappare il controllo della Striscia all’Autorità Palestinese. Quando Jabarin viene liberato (nel 2011 con lo scambio del militare israeliano Gilad Shalit per oltre mille detenuti palestinesi) Hamas conta su una rete di società che forniscono entrate al gruppo e vengono utilizzate per riciclare denaro, secondo ex funzionari Usa e israeliani.
La base dell’organizzazione è a Jeddah, in Arabia Saudita, dove controlla una holding immobiliare, così come ne ha una nel Sudan del sodale Omar al-Bashir. Sotto la pressione delle sanzioni Usa i sauditi costringono Jabarin a lasciare Jeddah, e lui trova una nuova sede per dirigere il suo impero commerciale in Turchia. A Istanbul gestisce l’ufficio finanziario di Hamas dopo aver costruito rapporti con persone vicine al presidente Recep Tayyip Erdogan con cui strige un sodalizio.
Tanto è vero che gli Usa hanno fissato una ricompensa fino a dieci milioni di dollari per informazioni che portino all’interruzione dei meccanismi finanziari del movimento, indicando cinque nomi di facilitatori di cui quattro residenti in Turchia e uno in Sudan. Il Ceo di Hamas sviluppa un portafoglio immobiliare del valore di 500 milioni di dollari, con partecipazioni in società con sede in Algeria e negli Emirati Arabi Uniti. La risorsa di più alto profilo è l’immobiliare Trend Gyo, quotata alla Borsa turca e, secondo gli Usa, controllata per il 75% da prestanomi di Hamas. Funzionari della formazione con sede in Turchia – dice Washington – hanno aperto conti bancari turchi per spostare denaro e trasferirlo ad agenti in Cisgiordania. Jabarin di recente ha trascorso del tempo a Beirut, dove ha coltivato rapporti con Hezbollah, procura libanese di Teheran, il grande finanziatore del movimento con cui lavora a stretto contatto per far arrivare fondi nei territori anche dopo l’inizio della guerra. La sua figura di garanzia ha inoltre agevolato un aumento delle donazioni online dagli enti di beneficenza in Europa (Italia compresa), Asia e Golfo Persico anche dopo il 7 ottobre. Il 55enne è stato bersaglio di sanzioni da parte degli Usa già nel 2019, con esiti incerti visto che resta il capo finanziario (non ufficiale) del movimento.
E non è tutto, secondo funzionari egiziani, Jabarin è responsabile della gestione dei prigionieri, e con Yahya Sinwar ha negoziato l’accordo mediato da Qatar ed Egitto per il rilascio degli ostaggi israeliani in cambio di detenuti palestinesi. Funzioni che ne rafforzano l’immagine di Cardinal Richelieu, il cui impero finanziario è destinato a sopravvivere e prosperare anche dopo la distruzione annunciata (da Israele) di Hamas a Gaza. —