il Giornale, 6 gennaio 2024
Topolino nei lager
G urs, un villaggio di poche centinaia di anime posto ai piedi dei Pirenei francesi. Nessuno ne serberebbe oggi la memoria, se non fosse che nel 1939 vi viene costruito uno dei più grandi campi di internamento d’oltralpe, poi smantellato nel 1946. All’inizio ospita rifugiati spagnoli e baschi in fuga dalla dittatura franchista, dopo la sconfitta delle Brigate Internazionali e delle forze repubblicane nella guerra civile. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, comincia l’internamento dei cittadini tedeschi che in quel momento si trovano in Francia, a prescindere che siano sostenitori di Hitler o suoi oppositori. La loro colpa è quella di appartenere al popolo nemico; anche alcuni ebrei tedeschi, fuggiti dalla Germania a causa delle persecuzioni, finiscono a Gurs. In seguito all’occupazione di Parigi da parte delle truppe naziste e all’instaurazione del governo collaborazionista di Vichy, la struttura è convertita in campo di concentramento per gli Untermenschen. Vengono rinchiusi ebrei, zingari, omosessuali, antifascisti. Dal 6 agosto 1942 cominciano le deportazioni degli ebrei ad Auschwitz.
Scorrendo i nomi dei prigionieri del campo troviamo una figura che non ha bisogno di presentazioni: la politologa e storica Hannah Arendt, ebrea tedesca. Riparata a Parigi nel 1933, viene internata a Gurs nel 1940 in quanto «straniera sospetta». La sua prigionia dura poche settimane: dopo una fuga rocambolesca percorre 300 chilometri a piedi e in autostop riesce a ricongiungersi col marito e raggiungere Lisbona, dove si imbarcano per l’America. Due parole vanno spese per l’artista anarchico Giandante X, al secolo Dante Pescò. Milanese, di famiglia agiata, a vent’anni è già docente di architettura (il più giovane d’Italia), diventando poi uno degli animatori della scena artistica meneghina tra gli anni Venti e Trenta. È scultore, pittore, illustratore per l’Unità di Gramsci; partecipa alla guerra civile spagnola combattendo e realizzando volantini di propaganda per le Brigate Internazionali. Viene preso prigioniero in Francia e portato a Gurs. Leggete il seguito della sua storia nell’interessante libro di Roberto Farina Giandante X (Milieu), che delinea la figura di questo poco noto esponente dell’arte italiana.
Anche Horst Rosenthal è tra i prigionieri di Gurs. Oltre a essere ebreo, è socialista. Decisamente una pessima accoppiata nella Germania di allora. Per sfuggire alle persecuzioni passa la frontiera nel 1933, chiede asilo politico in Francia, lo ottiene. È salvo, ma dura poco. Allo scoppiare delle ostilità tutti i cittadini tedeschi sono visti con sospetto, possono essere spie, sabotatori. Per loro scatta l’internamento; Rosenthal non fa eccezione. A nulla gli vale lo status di rifugiato politico e, dopo vari trasferimenti in diverse strutture, nel 1940 si ritrova a Gurs. Non perché tedesco ma in quanto ebreo: la Francia è infatti ormai sotto l’egida nazista. Ci resta fino al 25 agosto 1942, quando è tra gli ebrei deportati ad Auschwitz. Al suo arrivo, l’11 settembre, viene subito ucciso in una camera a gas, probabilmente a causa di una paralisi alla mano destra che lo rende inabile al lavoro nel campo di sterminio.
Rosenthal, che era un disegnatore, ci ha lasciato tre carnet di schizzi, testimonianze preziose della sua permanenza a Gurs. Sono reperibili online in italiano grazie al lavoro degli studenti delle classi 3^, 4^ e 5^ E del Liceo Linguistico Leonardo da Vinci di Civitanova Marche, supportati e supervisionati dagli insegnanti Edith Orhan, Rita Baldoni e Maurizio Bravetti.
È facile immaginare che circolassero tra gli internati suscitando risate per il loro contenuto satirico. La Journée d’un hébergé (La giornata di un ospite) è uno spaccato ironico di vita quotidiana, mentre Petit guide à travers le camp de Gurs (Piccola guida attraverso il campo di Gurs), parodiando le guide turistiche, racconta le sofferenze degli internati nel «villaggio vacanze».
Ma il più interessante è il terzo quaderno, quindici fogli rilegati a mano in orizzontale, con disegni a china e acquerello accompagnati da un testo in francese e da qualche nuvoletta. Datato 1942, narra le vicende di un protagonista d’eccezione: Mickey Mouse. Sì, proprio Topolino, con gli immancabili pantaloni corti rossi ornati da due bottoni, secondo l’iconografia dell’epoca resa celebre dal disegnatore Floyd Gottfredson. Il carnet si intitola Mickey au camp de Gurs e in copertina ha una nota: «Pubblicato senza l’autorizzazione di Walt Disney». Si capisce subito che l’ironia è il filo conduttore della vicenda. Topolino incontra un gendarme che gli chiede i documenti. Ovviamente ne è sprovvisto e l’affermare «sono cittadino del mondo» equivale a un’ammissione di colpa. Viene condotto a Gurs, qui la domanda è: «Sei ebreo?». Topolino non sa cosa rispondere ed è subito internato. Si ritrova alle prese con la burocrazia che regola la vita nel campo, le baracche fatiscenti, il cibo scarso e pessimo, il mercato nero, la censura.
Mickey nel campo di Gurs è l’unico fumetto a noi giunto realizzato in un campo di internamento; il primo a parlare della persecuzione degli ebrei e a utilizzare un personaggio antropomorfo ben preciso il topo per raffigurare l’ebreo. Nella propaganda antisemita i giudei erano spesso rappresentati come orridi ratti portatori di peste, da debellare senza pietà. Per certi aspetti Rosenthal anticipa Maus di Art Spiegelman, capolavoro a fumetti premiato con il Pulitzer nel 1992. Spiegelman racconta la storia del padre, ebreo di Sosnowiec sopravvissuto ad Auschwitz, disegnandolo con le fattezze di un topo (in tedesco maus), mentre gatti e maiali sono rispettivamente nazisti e polacchi. Rosenthal ricorre a Mickey Mouse con fini dissacratori, tuttavia si percepisce chiaramente la tragedia che vivono i prigionieri. Alla fine del quaderno Topolino, in quanto personaggio del mondo dei fumetti, si cancella con un colpo di gomma e torna negli Stati Uniti, la terra degli uomini liberi, contrapposti a una Francia dove, a causa dell’appoggio al nazismo, le parole libertà, uguaglianza, fraternità non hanno più senso. Per milioni di Horst Rosenthal, invece, non ci sarà via di scampo.