Avvenire, 7 gennaio 2024
La Valanga Azzurra 50 anni di un mito
Sulla neve resa celebre dal film Dove osano le aquile alle pendici del rifugio panoramico Kehlsteinhaus, il 7 gennaio 1974, esattamente cinquant’anni fa, nacque a Berchtesgaden, in quel lembo di Baviera che si incunea nel Salisburghese, la leggenda della valanga azzurra. Il Nido d’Aquila di Hitler battezzò una delle imprese più clamorose dello sport italiano, col monte Jenner che si tinse di tricolore grazie al trionfo di squadra di cinque ventenni d’assalto, capaci di monopolizzare le prime cinque posizioni di una prova di Coppa del mondo di sci. Accadde tra le porte larghe di uno slalom gigante, con Piero Gros (classe 1954, piemontese di Salice d’Ulzo) a precedere Gustav Thöni (classe 1951, altoatesino di Trafoi) Erwin Stricker (nato nel 1950 e mancato prematuramente nel 2010), Helmuth Schmalzl (classe 1948, gardesano di Ortisei) e Tino Pietrogiovanna (valtellinese di Santa Caterina Valfurva, nato nel 1950). Una sfilata tricolore, sigillo di una superiorità tecnica e atletica. Un moto rivoluzionario, che rotolando lungo la lingua candida travolse l’intero circo bianco. All’indomani i quotidiani dello Stivale battezzarono Berchtesgaden come il “Nido degli Italiani”, mentre qualche giorno più tardi fu coniato il termine “Valanga Azzurra”, divenuto il marchio di fabbrica di una generazione. Non fu una prima in assoluto, perché il 9 marzo 1968, nella discesa dell’Abetone, la Francia aveva piazzato sei atlete (Isabelle Mir, Annie Famose, Florence Steurer, Françoise Macchi, Jacqueline Rouvier, Britt Lafforgue) tra le migliori sei e sempre in campo femminile cinque francesi di fila avevano occupato i piani alti della classifica della discesa di Jackson Hole 1970 e del gigante di Obersegnò del 1971, mentre cinque austriache, capitanate da Annemarie Pröll, aveva demolito la concorrenza della libera di Schruns del 1973. Gli allievi diretti da Mario Cotelli e allenati da Oreste Peccedi furono i primi a realizzare il filotto in campo maschile, umiliando gli austriaci, tanto che Toni Sailer si mise le mani nei capelli, giurando che gli uomini del Wunderteam si sarebbero allenati giorno e notte pur di cancellare l’onta di una disfatta, che li aveva trafitti nell’orgoglio, e migliorare il record. Ci riuscirono, andando ben oltre, un quarto di secolo più tardi. Nel superG sulla Patscherkofel di Innsbruck del 21 dicembre 1998 furono infatti nove ai primi nove posti: Hermann Maier, Christian Mayer, Fritz Strobl, Stephan Eberharter, Rainer Salzgeber, Hans Knauss, Patrick Wirth, Andreas Schifferer e Werner Franz. Per superare gli azzurri i maestri dello sci alpino dovettero aspettare il ritiro di Alberto Tomba, che dei valori della Valanga Azzurra fu erede. La supremazia italiana affonda le radici negli Anni Settanta, quando per cinque stagioni consecutive la sfera di cristallo fu sollevata al cielo da un azzurro: quattro volte Thöni, una Gros. Il campione di Salice d’Ulzo, città di cui è stato anche sindaco dal 1985 al 1990, aveva calpestato il primo gradino più alto del podio appena diciottenne nel 1972, ma visse il suo anno di grazia proprio nel 1974 quando vinse la coppa generale, la coppetta di gigante e il bronzo al Mondiale di St. Moritz. La miccia scoppiò all’indomani della Befana in terra tedesca. Mancava un mese alla rassegna iridata, la lotta interna per acciuffare la convocazione era al fulmicotone e si respirava un clima teso in una squadra zeppa di stelle. Gros vinceva a raffica, Thoni stava tornado ai livelli alti, Schmalzl, Stricker, Pegorari, Pietrogiovanna, Bieler e Radici avevano pronto il colpo in canna. Per rendere possibile l’impresa servivano le condizioni ideali, ossia una neve ghiacciata e non morbida. Il terreno duro era infatti il preferito dagli azzurri, che erano affondati sulla neve fresca di Saalbach appena tre settimane prima. Sul ghiaccio teutonico già la prima manche distaufen la giornata perfetta, con Gros avanti di nove decimi su Thöni e più di un secondo e mezzo su Schmalzl, Stricker decimo, Pietrogiovanna (sceso col pettorale 43) tredicesimo. L’attesa tra le due discese non sconvolse i valori in campo, anzi li amplificò. Gross si impose infatti con 2”23 di vantaggio di Thöni, 2”43 su Stricker, 3”48 su Schmalzl e 3”77 su Pietrogiovanna. Distacchi enormi, se confrontati con i minuscoli odierni. Ma rispetto a oggi stupisce che di quell’impresa non ci siano riprese televisive. Il pendio impervio avrebbe necessitato infatti di troppi ponti per la produzione eurovisiva e così visti gli elevati costi la tv tedesca rinunciò. Quando il podio era ormai completato i fotografi scesero a valle per sviluppare i rullini, ne rimase solo uno in pista, l’italiano Massimo Sperotti, che scattò pertanto l’unica foto con i cinque eroi. Aquile azzurre che fecero il nido ai piedi dello strapiombo e che cinque decenni più tardi rivivranno in un docufilm targato Fandango. Ormai la serie tv è l’unico mezzo per trasmettere il ricordo alle nuove generazioni.