La Lettura, 6 gennaio 2024
Gli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta dell’Ottocento in Francia
Gli anni Sessanta e Settanta dell’Ottocento sono quelli in cui nasce l’Impressionismo (la celebre mostra collettiva è del 1874, ma i protagonisti della nuova arte danno scandalo e si fanno escludere dall’accademico Salon fin dagli anni Sessanta) e sono anche un tempo di grande fermento in letteratura. Così come l’arte abbandona la rappresentazione oggettiva della realtà per preferire l’Impression, come s’intitola il celebre dipinto di Claude Monet, così anche in letteratura qualcosa cambia: la soggettività vince, si raccontano ambienti quotidiani, interni modesti, in poesia si lavora per pennellate, allusioni, evocazioni indefinite. È un incontro di stili ma anche di vite: molti scrittori o poeti e molti impressionisti sono amici, si recensiscono a vicenda, scambiano ritratti in prosa e su tela, frequentano gli stessi salotti, si sostengono nelle continue polemiche o nei rovesci di fortuna.
I grandi autori dell’epoca sono raccontati nella sezione dedicata all’Ottocento del nuovo saggio Breve storia della letteratura francese (Einaudi) di Ida Merello, che è stata per trent’anni docente di Storia della letteratura francese all’università di Genova e che illustra alla Lettura il mutamento di quegli anni: «Fu uno spartiacque. Si potrebbero distinguere due correnti diverse, di cui Charles Baudelaire è al centro. Una più legata all’estetica della forma, quella del Parnasse (la corrente poetica dell’“arte per l’arte”, ndr), più lontana dagli impressionisti perché tende a una costruzione ancora legata alle forme del passato; dall’altra parte c’è, ed è dirompente, la novità costituita da ciò che precede la corrente simbolista, definita come corrente nel 1876 quand’è già quasi finita». Sono gruppi di autori e artisti che peraltro frequentano gli stessi luoghi, continua la studiosa: «Possiamo parlare del salotto di Nina de Villard, che radunava il bel mondo della pittura e della poesia; del salotto di Méry Laurent, che era anche l’amante di Stéphane Mallarmé; o di quello di Judith Gautier. E possiamo parlare di tutto quel che nasce dalla poesia degli anni Sessanta e Settanta, con la mancata definizione delle forme in funzione di un “indefinito”, di un “impreciso” che sa cogliere però meglio il rapporto dell’uomo con la realtà, come fanno gli impressionisti». Oltre a Mallarmé, frequentano questi salotti autori come Charles Baudelaire, Octave Mirbeau, Charles Cros, Edmond de Goncourt, accanto a pittori come Claude Monet, Paul Cezanne, Édouard Manet...
Tra i sodali degli impressionisti, anche un autore che parrebbe lontano dalla loro visione, e invece è vicinissimo, spiega Merello: «Paradossalmente, in letteratura, una grande attenzione all’occhio, alla visione, si trova in Émile Zola, non solo “amico” degli impressionisti (ricordiamo il Ritratto di Émile Zola di Édouard Manet, con i dipinti di Manet sulla parete di fondo): malgrado la sua idea di romanzo sperimentale, Zola imita gli impressionisti nella sua scrittura per piccoli tocchi, che cerca di rappresentare la realtà con un occhio cui è sottratta la riflessione concettuale, quella che potrebbe dare la prospettiva. Ad esempio, nel romanzo L’Oeuvre, quando il personaggio di Lantier va al mercato, quel mercato è un tripudio di colori: quasi fatichiamo a distinguere i frutti e le verdure, vediamo solo i colori. Tra l’altro, di solito si dice che Lantier è la rappresentazione del fallimento di Cézanne come pittore, e che per questo i due ruppero l’amicizia: non è vero, le lettere dimostrano che rimasero sempre molto legati». Amicizie e relazioni possono suggerire una rete di vicinanze e assonanze: nel saggio di Merello è citata una lettera di Gustave Flaubert all’amica Louise Colet, in cui lo scrittore si dice intenzionato a dimostrare che «la poesia è puramente soggettiva, che non esistono in letteratura bei soggetti d’arte», e che sta per dedicarsi a un romanzo «su nulla»: sarà Madame Bovary (1856), che, pur studiatissimo nella forma e nella struttura, si spalanca però alla soggettività dello sguardo, alla fluidità del punto di vista.
Molti scrittori sono ospiti dei salotti «impressionisti» di de Villard, Laurent e Gautier. Tra loro, Guy de Maupassant, discepolo di Flaubert e sodale di Zola, che in Pierre e Jean ricostruisce i luoghi e i ricordi familiari dell’infanzia in Normandia. E poi il caposcuola Charles Baudelaire, saldamente intrecciato agli impressionisti da fervide amicizie (per tutta la vita difese e protesse l’amico incompreso Édouard Manet), ritratto da sodali pittori come Gustave Courbet, che lo dipinse nel suo L’atelier del pittore (1855), nonché autore del saggio Il pittore della vita moderna (1863), quasi un manifesto della nuova arte, in cui tesse l’elogio della vita quotidiana, della città moderna, e della velocità di esecuzione. Anche Alphonse Daudet, che passò dai mondi fantasiosi di Tartarin di Tarascona all’autobiografia di Le Petit Chose, si guadagnò nel 1889 dal critico Ferdinand Brunetière per i suoi libri la definizione di «impressionismo letterario». Edmond de Goncourt fu tra le anime della vita letteraria e artistica di Parigi insieme al fratello Jules: con lui compilò i Journal, che registravano gli eventi del loro mondo, riversando il quotidiano, il mondo della strada e della città, nella creazione artistica, cercando di unire la ricerca estetica al realismo alla Zola. Un autore come Octave Mirbeau si spende con tutto il suo impegno per favorire l’ascesa degli impressionisti, cercando di aiutare quelli in difficoltà, e comperando le loro opere, come fece con Vincent van Gogh. In Paul Verlaine, oltre all’apertura «soggettiva» e sensoriale, si nota anche una forte sovrapposizione con il mondo musicale, che lo spingerà anche più in là dell’impressionismo: arriverà alle Romances sans paroles.
Continua Merello: «Ma è Stéphane Mallarmé a corrispondere più di tutti agli impressionisti: egli stesso sostiene di voler dipingere l’effetto che suscita una cosa. Pensiamo a L’après-midi d’un faune, che il poeta comincia nel 1879: non vuole dipingere i fauni o rappresentare le ninfe – lui lascia intuire. Sono elementi completamente impressionisti». Peccato, conclude la francesista, che le donne capaci di organizzare i salotti più influenti di Parigi (mentre ai café era loro vietato l’ingresso), siano state più muse che creatrici, almeno in campo letterario, e non abbiano lasciato opere narrative di gran valore.
Molti autori citati confluiranno poi nel Simbolismo, nel Decadentismo e in altre correnti letterarie. Però l’onda lunga della concezione letteraria di quest’epoca, l’epoca dell’Impressionismo, se ha come diretto precursore Flaubert, si spinge molto probabilmente fino a un grande erede, in cui lo sguardo soggettivo, la forte voce interiore, il flusso di coscienza, l’attenzione ai personaggi, i caratteri ora umili ora elevati, il racconto della società moderna, il naturalismo e l’inaspettata vividezza delle immagini troveranno un’espressione definitiva, e nuova: Marcel Proust.