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 2024  gennaio 05 Venerdì calendario

Il Maestro e Mr Bernstein la sinfonia privata dell’uomo che si fece genio


Seduto al pianoforte. Sigaretta sempre accesa. Bicchiere di whisky a portata di mano. Ecco Leonard Bernstein tale e quale. Attacca così Maestro, il film di e con Bradley Cooper (su Netflix).
Biopic biografico più che artistico. Scene da un matrimonio aperto in cui tanti poliamori maschili mulinano attorno al protagonista, che accidentalmente risulta anche essere il più grande direttore d’orchestra americano. Perché qui interessa non tanto il Maestro, quanto l’uomo. Brillante. Sofisticato. Carismatico. Affabile. Famelico di esperienze: per non venir sopraffatto dalla depressione rifugge inoperosità e solitudine, tanto da non chiudere la porta nemmeno quando va in bagno. Padre e marito sensibile, innamoratissimo della moglie Felicia (che l’ha scelto conoscendone le complessità), via via che invecchia si accompagna a boyfriend sempre più giovani. D’altra parte «Lenny non riesce a essere una sola cosa», viene detto a Felicia quando il matrimonio pare al capolinea.
E proprio il sottolineare quanto quest’uomo sia molte cose contemporaneamente schiude uno spiraglio sull’aspetto più rilevante del suo policentrismo, quello musicale. Amori multipli riflesso di creatività multipla. Questa però importa meno al film: due ore srotolate con una flemma antitetica alla vorticosa esuberanza che ha segnato l’esistenza di Bernstein. Cooper lavora sulle emozioni, non intende raccontare una storia formato Wikipedia. I dati storici preferisce sminuzzarli qua e là: bricioline che concorrono a tratteggiare la poliedrica personalità del Maestro. La cui ambizione era comporre. E l’ha fatto, certo. Già solo West side story basterebbe. Però non gli è riuscito comporre quanto avrebbe desiderato, dato che gliene ha tolto il tempo la carriera da direttore giramondo, di divulgatore tv, di insegnante generoso. A ciascuna di queste facce il film dedica un tassello: il mentore Koussevitzky che lo sprona a far soltanto il direttore, il debutto con la New York Philharmonic in sostituzione di un grande collega indisposto (alla convocazione telefonica poche ore prima del concerto, Bernstein ancora a letto festeggia tamburellando sul sedere del fidanzato d’allora), lafortuna dei suoi musical a Broadway, le lezioni per i giovani talenti a Tanglewood. Manca invece il Bernstein al di qua dell’oceano. Come se non fosse stato il primo statunitense a dirigere un’opera alla Scala (con la Callas in scena), di casa alla Filarmonica di Vienna, sul podio di una memorabile Nona diBeethoven a Berlino dopo la caduta del muro. A meno che tutto questo non si consideri condensato nella sequenza clou: l’esecuzione del finale della seconda sinfonia di Mahler con la London Symphony nella cattedrale inglese di Ely.
Qui il Cooper attore è di nuovo Bernstein tale e quale. Gesto spettacolare, euforico, ampio. Occhi entusiasti. Mano sinistra che si tocca il petto. Fronte imperlata di sudore. Bocca spalancata per cantare insieme al coro. Merito anche di un coach d’eccezione durante le riprese, il direttore canadese Yannick Nézet-Séguin, nipotino idealedel Maestro