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 2024  gennaio 04 Giovedì calendario

La solitudine di Grillo

ROMA «L’Elevato è sceso per dirvi che gli errori dei grandi uomini ci dispiacciono perché danno l’occasione agli scemi di correggerli», scriveva sui social soltanto tre anni fa, al tramonto dell’anno 2020, nella piena evoluzione del governo giallorosso che aveva benedetto insieme a quell’alleanza tra la sua creatura politica e gli ex arcinemici del Pd, quando in tasca aveva ancora il pendolo in grado di far oscillare i destini del Paese e quel pendolo lo agitava soprattutto nella notte di San Silvestro, col controdiscorso («contro» rispetto a quello del capo dello Stato) che un tempo veniva trasmesso da Telepiù e in seguito diffuso dal suo blog.
Oggi di tutto quello non rimane niente, se non la versione politicamente triste, solitaria y final di Beppe Grillo. Anche le intuizioni avveniristiche, un tempo votate all’esaltazione della macchina e della sua sfida contro l’uomo, alla Rete che «non perdona», alle stampanti in 3D, nell’epoca dell’intelligenza artificiale sono riviste al ribasso. Come per esempio un nuovo calendario, e i 365 giorni dell’anno da redistribuire, non più dodici mesi ma tredici, non più mesi aritmeticamente traballanti ma tutti della stessa misura, come febbraio, «di 28 giorni»; e quell’esaltazione della vita offline, alla fuga dalle reti digitali «che stanno diventando sempre più sovraffollate», con la maggior parte delle persone «che sembrano non sapere quando fare una pausa».
Alla domanda su che cosa nasconda la malinconia politica di Grillo, le risposte sono molteplici. Il telefono che squilla sempre meno, la pattuglia degli eletti in Parlamento che non ne compulsa i sentimenti e le sensazioni, quel desiderio più volte espresso di fuga dalla politica che alla fine si è realizzato, ma non come si sarebbe aspettato lui.
Uno dei suoi antichi seguaci, oggi fuori dal Parlamento ma ancora presente nella vita del Movimento, dietro la garanzia dell’anonimato la spiega così: «Se ci fosse da scegliere tra lui e Conte, la stragrande maggioranza dei militanti starebbe con Conte. L’ultimo scherzo che Grillo ha provato a fare a Conte è stato imporgli il rispetto del tetto dei due mandati per gli eletti. È stato il canto del cigno: forse voleva fargli un danno e invece gli ha fatto un super favore, come s’è visto alle elezioni. E oggi è come se Beppe fosse evaporato, anche se in fondo è quel che voleva, forse…».
L’amarezza in tv
Il messaggio da Fazio: ho fallito, tutti quelli che ho mandato a quel paese sono al governo
Fino a un anno e mezzo fa, quando da «fondatore» era diventato «garante» ma la sua figura non s’era ancora sbiadita del tutto nelle funzioni di «consulente per la comunicazione» (per quanto ben pagato) tutto passava da lui. O, se non tutto, quantomeno il grosso.
La linea segreta col Partito democratico, attraverso le interlocuzioni riservate con Dario Franceschini; persino un filo diretto con Palazzo Chigi e quelle telefonate con Mario Draghi, una delle quali finì per provocare la slavina che avrebbe fatto tracollare l’esecutivo e consegnato il Paese alle elezioni anticipate (disse a Domenico de Masi che il premier gli aveva chiesto di «rimuovere» Conte, De Masi lo disse in tv, il resto è storia). Adesso che la golden share non sta più tra le sue mani, oggi che nel taschino non si nasconde più nessun jolly, tutto sembra la fotografia sbiadita di un tempo che non c’è più. Dal rito del controdiscorso di fine anno che infatti non si celebra più, a quel tariffario per le interviste (da 2.000 euro a domanda per le interviste scritte, da 5.000 euro al minuto per giornali e riviste, da 10.000 euro al minuto per le tv) coi prezzi crollati come dopo l’esplosione di una bolla, superato di fatto con l’uscita da Fabio Fazio e quel messaggio triste, solitario y final: «Ho fallito, tutti quelli che ho mandato a quel paese sono al governo».
Su che cosa possa riservare al Grillo politico il resto dell’anno, difficile fare previsioni. A febbraio del 2023, l’unica previsione sul suo anno l’aveva fatta lui stesso, a Teatro Mancinelli di Orvieto. «Non conto più niente».
Gli undici mesi successivi hanno fatto di tutto pur di dargli ragione.