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 2024  gennaio 04 Giovedì calendario

Intervista a Piero Gros

Piero Gros, cosa ricorda del 7 gennaio 1974?
«Siamo arrivati sotto la fortezza, ed era come stare in un paese dell’est, nella Ddr. Non c’era neve, pubblico, tv, non sembrava un posto di montagna. Quattro transenne e la scrittaArrivo.Sembrava la gara dei pellegrini, il gigante della parrocchia, e invece abbiamo fatto la storia della nazionale di sci. Eravamo i più bravi del mondo».
Cinquant’anni fa nacque la Valanga Azzurra. A Berchtesgaden, sotto il Nido d’Aquila utilizzato da Hitler, Piero Gros vinse il gigante davanti a Gustav Thoeni, Erwin Stricker, Helmuth Schmalzl e Tino Pietrogiovanna. Quel giorno sullaGazzetta dello Sport fu usato per la prima volta il termine arrivato fino ai giorni nostri. Era il grido di un’Italia che si scopriva vincente prima del Mundial ’82, e reagiva a suo modo agli Anni di Piombo. Con una squadra capace di vincere 5 coppe del mondo generali (4 Thoeni, 1 Gros) e 4 ori tra Olimpiadi e Mondiali (3 Thoeni, 1 Gros).
Di quel giorno esiste un’unica foto di voi cinque.
«Il fotografo Massimo Sperotti dovette rifarla perché Tino era riuscito a piazzarsi 5° partendo dalle retrovie, ma a quel punto non avevamo più i pettorali, indossavamo le giacche, stavano sbaraccando. Ho cercato le immagini di quel giorno attraverso un amico della tv tedesca Zdf, ma nessuno è riuscito a trovarle. Peccato».
Avevate la percezione di un paese in delirio per voi?
«Lo capivamo dal pubblico al nostro seguito, a Wengen in Svizzera arrivavano 5000 italiani che lavoravano lì, facevano i camerieri.
Eravamo privilegiati, liberi e tranquilli nell’Italia dell’austerity dove la domenica non potevi circolare in auto, ma noi avevamo il permesso di andare sullo Stelvio. Lo sci era come la Formula 1: in certe gare non si riusciva a camminare per strada in mezzo a 30mila persone».
Come reagì il giovane Piero Gros scoprendo di essere famoso?
«Una domenica del ’72 a Campiglio ho vinto ed ero incazzato nero con lo storico ct Mario Cotelli, che mi spedì a Milano alla Domenica Sportiva. Ci vollero sette ore di viaggio, c’era nebbia, tornai il lunedì e il giorno dopo mi aspettava un’altra gara in cui caddi. Ho capito anni dopo che era giusto, lo sci aveva bisogno di questo, Mario chiedeva i soldi aglisponsor e dovevamo fare la nostra parte».
È vero che a Berchtesgaden tra una manche e l’altra Stricker, il “cavallo pazzo” scomparso nel 2010, disse agli austriaci che lo precedevano: “Scommettiamo che vado sul podio?”.
«Ci sta, è sicuro, lui era così, amato perché esuberante, spericolato, disubbidiente, fisicamente incredibile. Ma anche rispettato perché era l’unico nell’élite di tutte le discipline, come più avanti Mahre,Zurbriggen, Miller. E Helmuth Schmalzl? Un signore del gigante, c’era solo da imparare. Poi Pietrogiovanna, detto ‘L’elicottero’ perché le sue braccia andavano da tutte le parti come pale».
Quanto era rivale di Thoeni?
«Non potevi non essere amico di Gustav. Siamo stati utili l’uno all’altro: è stato un faro, serio, intelligente. Sono stato nel suo albergo a trovarlo, abbiamo cenato con la mia compagna e sua moglie.
Ha 12 nipoti, e lavora come un mattononostante lo abbiano operato alle anche. Gli ho detto: “Gustav, ma sei in pensione”. Mi ha risposto: “Mi sveglio alle 7, devo controllare la piscina, la Jacuzzi, fare manutenzione”.
E Piero Gros chi era?
«Uno che a 18 anni ha debuttato in Coppa del mondo e vinto subito il gigante di Val d’Isère: non è mai più successo. Uno che ha avuto sempre dentro la grinta, la voglia di mangiare i pali sulle piste dei nostri tempi, con terra ed erba, col rischiodi finire contro balle di paglia gelate, o in mezzo ai larici col pubblico a due metri. Mai avuto l’autocontrollo, se vuoi vincere devi rischiare, ma il fuoriclasse sa fino a dove. Guardo Vinatzer, che va sempre a mille poi esce: vuol dire che dà più di quello che ha, l’atleta forte sa come arrivare in fondo».
Gros si lamentava?
«Chi fa sport si deve sentire un privilegiato. Non capivo questa rivalità tra Brignone e Goggia, è sbagliata, non ci sono appigli anche se quest’anno le cose mi sembrano migliorate. Parliamo di un privilegio e non di sacrifici per non prendere in giro gente che va in ospedale a fare l’infermiere, o in fonderia, o al forno.
Me lo ha insegnato mio padre, fino a 15 anni ho fatto il contadino, e ancora adesso che sono in pensione sono presidente dell’associazione per i pascoli. Lotto per difendere la montagna anche se nessuno ti dà una lira se chiedi 10mila euro per tagliare prati che poi vanno a fuoco in Valle di Susa».
Abita a un passo da Cesana, al centro del tormentone sul bob alle Olimpiadi di Milano Cortina.
«Una ferita enorme, come l’impianto del freestyle abbandonato per 20 anni davanti a casa mia. Quel che sta succedendo è colpa del Cio, che avrebbe dovuto dire “in Europa ci sono una decina di piste, l’Olimpiade si fa su quelle”. Dovevano imporlo, visto che non siamo stati in grado di costruire una pista nei tempi previsti. Il Cio deve pregare che qualcuno voglia ancora ospitarle le Olimpiadi, perché una volta bastavano due palloncini alla cerimonia inaugurale e un paio di piste, ora per l’apertura servono 50 milioni. Non si possono spendere 140 milioni per 20 atleti del bob».
Nemmeno lo sci azzurro se la passa bene, tolti i campioni.
«Ringraziamo sempre i corpi militari, io ero nella Finanza, ma in Italia non c’è una pista chiusa a disposizione di sci club, comitati regionali, nazionali giovanili: come fai a trovare discesisti? Oggi i bambini di 8-9 anni vanno a 90 kmh, non a 30 come ai miei tempi, quindi hanno bisogno di strutture sicure: se un’atleta si ammazza perché mancano le reti l’allenatore va in galera. Quando lavoravo allo sci club a Sauze ho buttato via pullmini da 100mila km su cui viaggiavano i ragazzi. Come si p uò fare una pista di bob in queste condizioni?».