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 2024  gennaio 02 Martedì calendario

Intervista a Giovanni Diamanti


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C’era una volta il kingmaker , «colui che fa i re», soprannome di Richard Neville, conte di Warwick, il quale in Inghilterra, durante la Guerra delle Due Rose, mise sul trono Edoardo IV e poi lo fece deporre, restaurando Enrico VI. Oggi in Italia c’è il mayormaker , «colui che fa i sindaci». Il parallelo storico rabbuia Giovanni Diamanti: «Non credo nei guru, ma nel mio team, Quorum. Il suo brand più noto è YouTrend. Sedi a Torino e Vicenza». Lo fondò con otto soci quando aveva 22 anni. Oggi che ne ha 34 insegna marketing politico all’Università di Padova. Compare spesso su Rai e La7. Suo padre Ilvo è il sociologo e politologo che scrive per La Repubblica . «Sono nato con la sindrome del “figlio di”», ammette il giovanotto. Per superarla a 18 anni si candidò a Vicenza con la lista civica Variati sindaco: subito eletto in consiglio comunale.
È dal 2016 che Diamanti junior non manca un bersaglio. Ha contribuito a far eleggere Beppe Sala a Milano, Dario Nardella a Firenze, Roberto Gualtieri a Roma, Davide Galimberti a Varese, Damiano Tommasi a Verona, Michele Guerra a Parma, Sergio Giordani a Padova e Giacomo Possamai a Vicenza. Fin dal 2013 aveva imposto i presidenti di due Regioni, Debora Serracchiani nel Friuli-Venezia Giulia e Vincenzo De Luca in Campania. Nel 2019 ha assistito Nicola Zingaretti alle primarie per la segreteria del Pd, vinte, e poi alle elezioni europee.
Che cosa ha imparato da suo padre?
«La complessità della politica. Un po’ meno la passione per i numeri. All’università ripetei due volte, forse tre, l’esame di statistica. Alla fine strappai un 18».
Esattamente il suo mestiere qual è?
«Consulente per le strategie della comunicazione in ambito elettorale. Non mi piace la definizione di spin doctor».
Ha lavorato pure per Barack Obama.
«Nel 2012 fui canvasser nel comitato Obama for America».
Traduciamo: galoppino elettorale.
«Sì. Cercavano volontari. Mi offrii con il mio amico Possamai. Restammo a Philadelphia un mese, ospiti in casa di un dirigente d’azienda e una pittrice. Viaggio a nostre spese. Esperienza notevole».
Le sue strategie sono di tipo militare?
«Il paragone bellico mi disturba, ma le origini sono quelle: L’arte della guerra di Sun Tzu, Carl von Clausewitz, Che Guevara e il suo La guerra di guerriglia».
Chi fu il primo sindaco a cercarla?
«Nel 2009 mi proposi per le elezioni a Isola Vicentina. Il primo incarico professionale arrivò nel 2012 da Gianni Casarotto, candidato sindaco a Thiene. Non avevo ancora compiuto 23 anni».
La sua giovane età non impensieriva?
«Suscita tuttora perplessità fra i candidati veterani delle campagne elettorali. Solo che io ne ho combattute di più».
Che cosa chiede all’aspirante sindaco?
«“Perché si candida?”. Di solito le risposte sono banali. Mi tocca scavare».
Quanto banali? Faccia degli esempi.
«“Hanno insistito”. “Sono vicesindaco”. “Mi sento portato per la politica”».
Quindi si candidano per vanità.
«Anche. Ma non l’ex calciatore Tommasi. Rispose: “Perché ho sei figli”. Mi stravolse. Credevo d’incontrare una star, invece trovai un educatore, che ha fondato una scuola per inseguire un ideale».
Di Beppe Sala che mi dice?
«Al primo turno superò Stefano Parisi di soli 4.938 voti. Si sporcò le mani, girò nei quartieri, pancia a terra. E vinse».
Di Dario Nardella?
«È capace di realizzare le cose».
Di Roberto Gualtieri?
«Uomo di enorme esperienza e prestigio. Sa usarli nelle situazioni difficili».
Di Davide Galimberti?
«È nato per fare il sindaco».
Di Michele Guerra?
«Molto perbene, molto ammodo. Riesce a mettere chiunque a suo agio».
Di Sergio Giordani?
«Un guerriero. Fu colto da ictus a un mese dal voto e perse l’uso della parola. Ma volle proseguire lo stesso la campagna elettorale. Che grinta, che umanità».
Di Giacomo Possamai?
«A 8 anni disse ai genitori: “Da grande farò il sindaco”. Ha la capacità di esserci. Capisce la politica come pochi».
Di Debora Serracchiani?
«È passionale».
Di Vincenzo De Luca?
«Leadership forte. Molto divertente».
Di Nicola Zingaretti?
«Un generoso».
Costa caro farsi assistere da lei?
«Si paga un’agenzia che è formata da 20 professionisti. Io preparo il piano, do i supporti strategici. Non seguo la quotidianità, non faccio l’ufficio stampa».
Ha una tariffa oraria?
«No, forfettaria. Spannometrica. Se il candidato mi piace, gli vado incontro».
Fornite anche i sondaggi?
«Certo. Per poter elaborare una strategia servono i dati, non i santoni».
Chiesi a Luigi Crespi, all’epoca sondaggista prediletto di Silvio Berlusconi: chi ci assicura che i suoi dati non siano inventati? Rispose: «La verifica del giorno dopo. O sono esatti o non lo sono».
«Aveva ragione. Devi intervistare la gente. Se cambi i dati, si vede. E nessuno resta sul mercato dopo molti errori».
Ai candidati sindaci scrive i discorsi?
«A volte. Ma per i concetti importanti preferiscono arrangiarsi da soli».
Iniziai come galoppino di Obama
Giorgia Meloni? Una leader
Non assisterei mai Vannacci
Voglio molto bene a Buttafuoco
Le chiedono anche il programma?
«È capitato. Non mi sono mai prestato. I politici fanno la politica, gli strateghi fanno la strategia. Se manca la politica, il nostro lavoro è difficile. Anzi, inutile».
Inventa lei gli slogan elettorali?
«Spesso. Orientano in modo netto la campagna, come accadde nella prima elezione del 2012, in cui Casarotto sfidava la sindaca uscente Maria Rita Busetti, segretaria provinciale della Lega a Vicenza. Il claim fu “Il mio partito è Thiene”».
Sceglie anche il colore dei manifesti? A sinistra è molto gettonato l’arancione.
«Se me lo chiedono. Trovo meno convenzionale il giallo».
Qual è il segreto del suo successo?
«Il fatto di non lavorare da solo. E lo studio meticoloso dell’identità di una città. È come cucire un abito su misura».
Credevo fosse un altro: ai candidati di sinistra impone di non farsi mai vedere in compagnia dei leader nazionali.
«Non lo nego. Ho imparato da Jacques Séguéla, pubblicitario francese di 89 anni. Insegna che si votano le persone, non i partiti. Per un aspirante sindaco avere accanto un volto famoso è più un segno di debolezza che di forza».
Non ricordo un segretario del Pd sul palco con Tommasi o Possamai.
«Però per Gualtieri era schierato mezzo governo di centrosinistra e a chiudere la campagna di Nardella fu Zingaretti».
Elly Schlein le ha chiesto consigli?
«Ha già un suo staff di alto livello».
A Matteo Renzi ne ha dati?
«Non ho mai lavorato per lui».
Molti dei sindaci che ha lanciato sono vicini a Enrico Letta. Un caso?
«Sì, nel modo più assoluto».
Che «quid» mancava a Letta premier?
«La forza del Pd e un po’ di cinismo».
Ha mai lavorato per il M5S?
«Devo fidarmi delle persone, prima di valutare. I 5 Stelle e il centrodestra non stanno in cima alle mie preferenze».
Ci sono politici che s’è rifiutato di avere come clienti di Quorum/YouTrend?
«Sì, e non le rivelo certo i loro nomi».
Uno che non assisterebbe mai?
«Il generale Roberto Vannacci».
Quanto potrebbe valere alle elezioni?
«Se si candidasse con la Lega, lo zero virgola. Presentando una sua lista non supererebbe lo sbarramento. Ma non esercito l’arte della divinazione».
Lei abita in Veneto, che nel 2025 voterà per la Regione. Luca Zaia resta in gioco?
«Non amo i mandati lunghi. Zaia è già al terzo. Arriverebbe a 20 anni, se si candidasse e vincesse. Molto dipenderà dall’esito delle elezioni europee. La battaglia è interna al centrodestra. La Lega farà di tutto per tenersi la presidenza della Regione. Ma non sono convinto che fare di tutto oggi sia abbastanza».
Pure FdI e FI vogliono quella poltrona.
«Forza Italia ha poche chance, riposte in Flavio Tosi, che mantiene un forte consenso a Verona. Meno nel Veneto».
Com’è la situazione politica italiana?
«Interessante. Chi si aspettava che Fratelli d’Italia arrivasse a questi livelli?».
Lei ha dichiarato che il centrodestra sta puntando all’egemonia culturale.
«Cerca d’incidere nel dominio del senso comune. Però un conto è provarci, un altro riuscirci. Nel breve tempo la vedo un’impresa ardua. Anche se può contare su qualche figura di altissimo livello».
Chi? Un nome.
«Pietrangelo Buttafuoco, neopresidente della Biennale. Un amico. Lo stimo enormemente, gli voglio molto bene».
Che cosa pensa di Giorgia Meloni?
«È una leader».
Che dovrebbe fare il Pd per scalzarla?
«Opposizione vera su temi veri. La battaglia sul salario minimo è forte, riconoscibile. Per troppi anni i dem non hanno avuto il loro reddito di cittadinanza».
Consiglierebbe o no a un futuro sindaco di presentarsi ai suoi elettori come dichiaratamente gay, nel caso lo fosse?
«Certamente».
Guadagnerebbe voti o ne perderebbe?
«C’è un unico rischio quando si chiede il voto: raccontarsi per ciò che non si è».
Che cosa fa quando vince le elezioni?
«Siccome ai candidati mi affeziono tanto, festeggio tanto».
Fiumi di Prosecco.
«Per i sindaci di Verona e Vicenza mi sono ubriacato per giorni interi».
Ma lei è felice?
«Felice e fortunato. Faccio il lavoro che sognavo da ragazzo, con gente che amo. Qui ho conosciuto mia moglie. Vabbè, poi abbiamo divorziato, ora vivo con due gatti, ma resta nel mio team. E ho trovato un’amica che è più di una sorella».