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 2024  gennaio 02 Martedì calendario

Luciano Cheles in un saggio analizza la scelta del doppio registro da Almirante a Meloni e spiega perché gli eredi di Mussolini non rinnegano vocabolario e simboli del passato


Nel 1970 Giorgio Almirante, segretario del Movimento Sociale Italiano interviene al congresso del partito. Spiega che se è vero che i comunisti «hanno vinto la guerra delle parole, noi l’abbiamo finora perduta», ragione per cui quello che ora occorre fare è di «non rappresentare, proprio noi, in modo grottesco il Fascismo, o comunque in modo innaturale, anacronistico, stupidamente nostalgico». Sono trascorsi più di cinquant’anni e gli eredi del neofascismo italiano, passati nel 1995 attraverso il lavacro purificatore di Alleanza Nazionale, con il nome di Fratelli d’Italia sono arrivati al governo del Paese. La loro è stata, come dicono gli stessi dirigenti, l’attraversata del deserto, il che ha comportato, secondo i dettami dell’ex membro della Repubblica di Salò, un cambio di parole e di immagini. Davvero l’iconografia della destra che discende dal fascismo nel passaggio da Almirante a Giorgia Meloni è cambiata? Luciano Cheles studioso di visual studies in un informatissimo e dettagliato volume, dotato di un ricco apparato di immagini, Iconografia della destra (Viella, pagg. 217, euro 29), cerca di rispondere all’interrogativo con la convinzione che, alla pari delle parole, le figure esprimono le convinzioni più profonde di un movimentopolitico. In un mondo in cui l’immagine è il più importante strumento di comunicazione, reso ancora più penetrante e invasivo grazie ai nuovi media, al personal computer, ai tablet e agli smartphone, la ricerca di Cheles mostra come alcuni tratti di fondo di questa forza politica, passata dal Movimento Sociale alla nuova formazione dei Fratelli d’Italia, abbia conservato molti dei tratti del proprio passato neofascista. Si tratta di una lingua visiva composta di parole d’ordine, gesti, immagini, slogan, frasi, modulate su manifesti, volantini di propaganda, pubblicità elettorali, siti e pagine social, in cui si manifesta la propria identità, la si divulga e si fa proselitismo. Lo studioso italo-francese, storico dell’arte, ripercorre il cammino visivo che dai miti della virilità, del coraggio e del patriottismo di taglio fondamentalmente maschilista arriva a designare alla testa della formazione politica di destra una donna divenuta così la prima Presidente del Consiglio. In questo cammino il ruolo di Mosè è stato senza dubbio ricoperto da Gianfranco Fini, che ha candidato per primoin un partito fortemente maschile una donna, Alessandra Mussolini, eletta nelle politiche del 1992: giovane, bella, combattiva. Al tempo stesso Fini ha provveduto a laicizzare l’iconografia del MSI e di AN modellata sull’aspetto religioso, rendendo meno vernacolare la propria immagine e modernizzando la rappresentazione del leader del partito. Tre sono stati i grandi repertori iconografici da cui, scrive Cheles, il movimento neofascista ha tratto, a partire dal 1945, le proprie immagini: la tradizione del littorio, le espressioni religiose e quelle della sinistra italiana. Che si trattasse della droga come della figura femminile, o della lotta politica tout court, gli slogan e il frasario pescavano da quei tre bacini con una netta prevalenza delpassato fascista. Nel trascinamento creato dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi, Alleanza Nazionale ha puntato sulla figura di Fini e su un repertorio di immagini in stile Mulino bianco, cercando di controbilanciare l’irrefrenabile riferimento al Duce, al Fascio littorio, alle simbologie di Salò con il loro portato lugubre. La stessa espressione postfascismo è una riformulazione di Fini. Se è stato Berlusconi a proporre in senso pubblicitario e televisivo l’immagine dell’uomo solo al comando, Fini ha in ogni caso aperto la strada a Giorgia Meloni. L’attenta analisi di Cheles mostra come esista una sorta di inconscio ottico cui Alleanza Nazionale ha attinto per tutti gli anni Novanta e il primo decennio dei Duemila che contiene riferimenti all’iconografia fascista, una sorta di imprinting visivo cui neppure Giorgia Meloni, allora leader del movimento giovanile, è stata estranea. Molti sono gli esempi visivi, dalla fiamma iscritta nel simbolo di FdI all’uso del tricolore, dalle allusioni al volo aereo all’utilizzo della coppia oppositiva bene/ male, sino ad ampie citazioni di Mussolini e delle sue posture gestuali. Del resto il riferimento al passato – la “nostalgia dell’avvenire” formula del neofascismo delle origini – appare come una ossessione che viene utilizzata sia come mantra ideologico che come una rassicurazione nella propaganda di Giorgia Meloni. Si tratta in buona sostanza della replica rammodernata della doppiezza di Almirante: doppiopetto e manganello. Così come la ricusazione dell’antisemitismo convive con la mancata presa di distanza dal Fascismo di Fini e della Meloni. L’immagine della Presidente del Consiglio sviluppa questo aspetto duplice della destra italiana anche utilizzando la propria personale immagine femminile: l’aria angelica, rassicurante da un lato, e il piglio decisionista e autoritario dall’altro. Il taglio dei capelli, l’uso di un dress code molto friendly e informale, da signora della porta accanto, corrisponde a un lessico e a un modo d’imporsi tutt’altro che democratico, come mostra nelle sue conclusioni Cheles. Il doppio registro è lo strumento per conquistare nuovi consensi nell’Italia profonda, quella che non ha mai amato le ideologie politiche democratiche e mostra tutt’ora una spiccata propensione per una leadership forte. Giorgia Meloni sul piano della comunicazione della propria immagine ha fatto tesoro dell’esperienza degli influencer a partire da un personaggio da lei percepito come avverso, Chiara Ferragni, vissuta come una possibile rivale estetica. Circondata dall’aura del biondo capello, Giorgia Meloni, la Primavera della Garbatella, rivela una retorica linguistica e comportamentale autoritaria; si presenta come una combattente, parla d’indossare l’elmetto, di non volere cedere al nemico, ovvero usa metafore guerresche alternate ad un aspetto decisamente glamour. Cheles mostra nel suo libro attraverso vari esempi visivi il retaggio neofascista della propaganda di FdI. Dunque la doppia faccia di Giorgia non solo è destinata a permanere, ma anche a rafforzarsi senza che debba risolvere almeno per ora i problemi posti dalla propria doppiezza.