la Repubblica, 2 gennaio 2024
Intervista a David Memet
David Mamet venne scritturato a Hollywood per il remake del Postino suona sempre due volte.Da allora ha scritto quaranta sceneggiature, diretto dieci film ed è stato licenziato dodici volte. La sua esperienza di “missionario tra i cannibali” è diventata il soggetto diEverywhere an Oink Oink: an embittered, dyspeptic, and accurate of forty year in Hollywood nel quale l’amareggiata reazione all’indigestione di cui parla nel sottotitolo lo porta a sentirsi un “eremita” in un mondo in cui prevale il grugnito del maiale. Intelligente, provocatorio e antitetico a ogni forma di correttezza politica, il testo è appassionante quando riflette su classici come Rififie divertente quando prende in giro le mode della città: «se lo condisci con il cilantro, in California mangiano anche il gatto».La Hollywood odierna è afflitta per Mamet dalla «degenerazione aziendale» e dal controllo da stato di polizia dei «commissari della diversità», al punto che «oggi il personaggio negativo è riconoscibile dal colore bianco della sua pelle».Corredato da vignette, il testo è pieno di aneddoti su sodali quali Billy Wilder, Paul Newman, Al Pacino e Mike Nichols che pronuncia la battuta più cinica: «non c’è nulla di male ad andare a letto con la star del tuo film, ma è un grave errore smettere prima della fine delle riprese». Figlio di due ferventi comunisti, Mamet è stato un convinto liberal sino al 2008, quando ha scritto sul Village Voice :“Why I Am No Longer a Brain-Dead Liberal”. «Il titolo dell’articolo era in realtà Civiltà Politica» mi racconta nella sua villa di Santa Monica, «ma fu cambiato dai redattori: non mi è stato mai perdonato di accusare la sinistra di aver mandato il cervello all’ammasso e sono entrato nella lista nera».Sta usando il termine utilizzato all’epoca del maccartismo.«Ne sono consapevole: credi che ci sia qualche diversità tra la discriminazione messa in atto dalla destra rispetto a quella della sinistra? L’unica differenza è nell’insopportabile ipocrisia che caratterizza i liberal e il loro complesso di superiorità. È un mondo abilissimo a raccontarsi una verità parallela che lo porta politicamente a sconfitte devastanti».Winston Churchill sosteneva che è meglio essere nel giusto che coerenti.«Verissimo, e per quanto mi riguarda cerco sempre di dire la verità, anche perché è la cosa più facile da ricordare».Nel libro si scaglia contro la correttezza politica, che nasce tuttavia con motivazioni nobili.«Quello che ha generato è una serie di mostruosità, dove l’ipocrisia èarrivata ai massimi livelli: se questi sono i risultati non si riesce a giustificare né il fine né il mezzo».Quali sono i rischi più gravi in campo artistico?«È una forma di censura, come è evidente da un punto di vista semantico. Ed è contraria alla costituzione, che garantisce la libertà di espressione: nel momentoin cui imponi la correttezza, tradisci un principio cardine».La definizione “Commissari della diversità” fa pensare all’Unione Sovietica.«Sono consapevole anche di questo: la diversità in sé è una ricchezza, ma non può prevalere sulla libertà di espressione. Nel momento in cui tutto ciò viene codificato si arriva a risultati grotteschi: con le regole in voga oggi molti capolavori del passato non sarebbero immaginabili».Come è cambiata Hollywood in seguito al MeToo?«Piuttosto che elencare i cambiamenti stilistici mi interessa riflettere sul fatto che ciò avviene perché l’istituzione è malata. È ovvio che ci sono atteggiamenti inaccettabili, ed è giusto che chi ha commesso dei crimini debba pagare, ma non è un caso che siano venuti alla luce in un momento di debolezza, nel quale l’industria decadente è stata conquistata da orde di mediocri burocrati».Meglio la Hollywood potente e corrotta?«Non esiste impero che non sia corrotto. Io ho l’impressione che i cambiamenti finiranno per essere solo di superficie: i rapporti di potere saranno esercitati in maniera più subdola mentre la produzione artistica diventerà più anestetizzata e meno interessante».Lei descrive il mestiere del regista come il più bello del mondo, tuttavia ha un rapporto da sempre conflittuale con i produttori.«È come illudersi di giocare a scacchi contro un atleta che pratica il wrestling. Sei inevitabilmente schiacciato anche se ti rimane la magra consolazione di avere più talento ed essere più colto».Esiste un produttore da cui ha imparato qualcosa di importante?«Ovvio che esistono anche produttori intelligenti, ma il migliore è quello che ti lascia libero di lavorare. Uno dei sintomi di questa decadenza è che tutti vogliono essere produttori».Hollywood è descritto come un luogo a stragrande maggioranza liberal: è davvero così?«Puoi levare stragrande maggioranza e sostituirlo con l’avverbio totalmente. I pochi che non hanno quelle idee finiscono per piegarsi per opportunismo o viltà».Lei riesce ad apprezzare un artista di cui non condivide affatto le idee?«Certo, sarebbe folle il contrario e peraltro quando giro un film il 99% nella mia troupe la pensa in maniera diversa da me».Jonathan Franzen sostiene che la tempra morale di un artista affiori inevitabilmente nelle opere e quindi non riesce ad apprezzare i quadri di Caravaggio, che ha ucciso un uomo.«Non riuscirò a dormire all’idea che Franzen non riesca più ad apprezzare Caravaggio».