La Stampa, 2 gennaio 2024
La Rai per Arbore
Renzo Arbore, come dice il suo pupillo, Nino Frassica, è la tv moderna. Esiste un avanti Arbore e un dopo Arbore. Dunque non poteva mancare al settantesimo compleanno della tv, infatti si rimette in gioco e da domani torna su Rai2 dalle 23,15, con Appresso alla musica: Premiata bottega di antiquariato musicale di Renzo Arbore, una serie di Rai Cultura, prodotta dalla Black Ice, che recupera la storia della musica della seconda metà del 900 attraverso curiosità e contributi video inediti da trasmissioni dello stesso Arbore. Venti episodi condotti da Renzo Arbore e Gegè Telesforo, autori assieme a Ugo Porcelli. Aneddoti e incontri magnifici con personaggi incredibili, tutto concorre a fare di questo programma un vero cult d’antiquariato artistico.Arbore si festeggiano i 70 anni della tv. Cosa rimpiange?«I codici del passato che forse erano più severi ma più netti. Bernabei, Agnes, Zavoli, i grandi direttori generali Rai, volevano che la tv fosse educativa, una sorta di ottava arte, dunque artistica, informativa, arricchente. Si prendeva spunto dalle novità teatrali, cinematografiche, editoriali. Una tv attenta. “L’ha detto la tv era la certezza di affidabilità».Lei come irrompe in questa tv?«Noi faticammo moltissimo a passare dalla radio alla tv, ci aiutò la rivoluzione del 1976 con la seconda rete che entrava in concorrenza con la prima. Al comando c’era il catanese Massimo Fichera, socialista. Fu lui a chiamarmi per chiedermi se avessi un’idea per un programma. Io recuperai quello che avevo scritto per l’esame di ammissione in Rai, ossia un telegiornalone dell’intrattenimento nazionale e internazionale con le novità musicali e non solo da tutto il mondo. Era L’altra domenica».Un successo epocale.«Avevamo corrispondenti ovunque, Isabella Rossellini da New York, Milly Carlucci, Irene Bignardi, Silvia Annichiarico, inventammo il cruciverbone, lanciammo il primo gruppo “en travesti” mai apparso in tv. Roberto Benigni esilarante, Mario Marenco con i finti servizi. Ci divertimmo moltissimo per tre anni e mezzo. Poi, quando mi sono reso conto che avevamo detto tutto, ho chiuso il programma. Ho sempre trattato la tv come fosse un film d’autore e mai come una serie. Oggi la tv è seriale. Per questo nel nostro nuovo programma ho scelto di riproporre i grandi che sono passati per la prima loro volta televisiva, da noi. Ho scelto le canzoni sopravvissute alla caducità del tempo. Per capire il futuro é imprescindibile conoscere il passato».Si è dato questo compito di testimone?«Alla mia età è giusto che rivendichi la bellezza del passato. Vado orgoglioso d’aver rilanciato la canzone napoletana, dimenticata e la canzone umoristica. Dopo è arrivato Elio e le storie tese e tanti altri. Si parla poco dell’Orchestra Italiana che per trent’anni ha portato in giro per il mondo le melodie napoletane. Abbiamo toccato l’Australia, il Giappone, la Cina gli Usa e tutta l’Italia da Nord a Sud».Guarda il Festival di Sanremo?«Lo guardo con interesse, è un campionario di quello che si agita nel mondo pop. Cerco di individuare chi sopravviverà alle mode del momento».Che cosa non le piace della tv di oggi?«La finta allegria e la rissaiola. Non mi piace la tv “a schiovere”, vale a dire inutile, che si parla addosso. Io navigo molto in rete dove trovi cose interessanti. I social sono una lettura alternativa che spesso recupera chicche del passato».Chi guarda con simpatia?«Fiorello lo seguo con molto interesse. Anche lui viene dalla musica e dalla improvvisazione. Usa la goliardia in senso alto, ne rispetta i codici buoni. Di Martino è una speranza, garbato, musicale. Seguo molto Rai5 e Rai Storia, io che ho vissuto buona parte di quel che si racconta, sono molto interessato. Apprezzo Augias e Barbero. Vede, esiste un pubblico non maggioritario che razzola in queste reti. La Rai dovrebbe lavorare per creare una tv alternativa dedicata a un telespettatore esigente. Oltretutto sarebbe il suo compito».Lei è uno dei rari esempi di persona entrata in Rai per concorso...«Ho avuto la fortuna di vincere il concorso di maestro programmatore di musica leggera. Compagno di banco Giandomenico Boncompagni. Il mio primo programma era nella Settimana Santa e siccome ad Harlem c’era il venerdì santo, io misi i migliori spiritual e gospel. La trasmissione radiofonica piacque molto all’allora presidente del Senato, Bucciarelli Ducci che chiese la registrazione del programma. Questo fece salire di botto le mie quotazioni così cominciai a lavorare moltissimo, con Costanzo prima, Boncompagni poi, facemmo il punto sul fenomeno Beat che non era stato ben inquadrato».Ha fatto di tutto ma che tv ha veramente voluto?«Quando mi sono impegnato nella tv, l’ho concepita perché durasse, perché potesse essere riciclata».Chi ama ricordare?«Mario Marenco, un architetto curiosissimo, Riccardo Pazzaglia, Luciano De Crescenzo. Lui come me e come Raffaele La Capria, si è rivolto a una Napoli elegante e borghese, la Napoli signora così poco raccontata eppure bellissima». —