La Stampa, 2 gennaio 2024
Tornano di moda le casalinghe anni 20
Milano. Chissà se la senatrice Lavinia Mennuni di Fratelli d’Italia, madrina dell’ultima esternazione trash dello scorso anno, quella sulla maternità che deve diventare cool, sa che oltreoceano esiste già una schiera di giovani influencer che si dedicano a raccontare quanto sia fantastica, emozionante e anche esteticamente gradevole la vita delle mamme. Sono le “stay at home mum”, le mamme che stanno a casa, l’evoluzione delle “stay at home girlfriend”, le fidanzate che stanno a casa. Trovarle è abbastanza semplice, basta seguire l’hashtag #tradwife, che sta per “traditional wife”, la moglie tradizionale.
Al primo sguardo sembrano una parodia. Non si tratta di una manciata di star del web da milioni di follower, ma di una moltitudine di account con un seguito da qualche decine di migliaia di persone. Sono invariabilmente giovani mamme, graziose, sempre con trucco e parrucco perfetto anche se dai colori neutri, in palette con l’estrattore verdino e le formine per i biscotti. Femminili ma non provocanti, direbbero le Sarah e le Rachel con capelli sempre lunghi e boccolosi, “supercute” anche quando impastano il pane per tutta la famiglia e danno consigli che paiono usciti da un altro secolo del tipo «sei trucchi per conquistare un uomo che si prenderà cura di te». Raccomandano non solo di cucinare ogni giorno e con gioia per tutta la famiglia, ma pure di farlo vestite bene. Il loro manifesto sono frasi motivazionali del tipo «le donne non sono state create per lavorare cinque giorni su sette fuori casa, ma sette giorni su sette dentro casa» e via così.
Non è auto ironica parodia della casalinga americana degli anni ’50, ma struggente malinconia per i cosiddetti «valori tradizionali»: la casa, il marito e i figli con una spolverata di glamour che va dal grembiulino rosso con volant che piace al maschio di casa al pigiama di Natale a quadretti per tutta la famiglia.
Ma che cosa c’è dietro alla tendenza online conosciuta come “tradwifery”? «È un movimento che è in parte estetico e in parte ideologico, che incoraggia le donne ad abbracciare caratteristiche apparentemente femminili come la castità e la sottomissione e a barattare l’emancipazione femminista con una visione patriarcale delle norme di genere», spiegano i ricercatori del Political Research Associates, che al tema hanno dedicato un saggio. Spesso definirsi “tradwife” vuol dire identificarsi come cristiana fondamentalista e credere che le donne non dovrebbero né lavorare né avere il diritto di voto, ma sottomettersi al marito e vivere una felice vita da casalinga. Nato come movimento online intorno alle elezioni del 2016 e all’ascesa dell’Alt Right, la prima generazione di “tradwife” dominata da casalinghe e madri millennial ha un pubblico da centinaia di migliaia di follower su Instagram, YouTube e Tik Tok. È un movimento basato sui social media e definito da strategie di marketing contemporanee: si potrebbero definire come centinaia di emule di Chiara Ferragni che però non si pensano libere, ma madri e mogli.
È la voce dell’America che combatte contro il diritto all’aborto, narrazione congeniale a quella della maternità come destino, inevitabile ma grandioso, spaventoso perché eccezionale. Così eccezionale da meritare il sacrificio di ogni fibra del nostro corpo, ma anche alla portata di tutte noi, perché natura e istinto. Non bisogna aver paura di diventare mamme, perché non esistono le mamme infelici, vogliono spiegarci le Sarah e le Rachel, con i loro capelli perfetti e circondate da bimbi stranamente sempre puliti. È l’America delle battaglie pro vita e dell’home schooling, la scelta sempre più diffusa nel mondo occidentale – Italia compresa – di istruire i figli a casa, al sicuro dai pericoli delle idee progressiste.
Altra bandiera della “tradwife” è la cura dei figli, che si fa esclusiva. Padri non pervenuti, compaiono giusto nelle foto di famiglia. Avere una baby sitter è come dichiarare la resa e delegare il più emozionante lavoro del mondo a un’estranea male intenzionata. Da mattino a sera, estate e inverno questi figli tradizionali stanno a casa, con le madri tradizionali. Che poi è il posto dove stanno per la maggior parte del tempo pure i nostri, in cronica mancanza di alternative sociali al mai tramontato welfare familiare. Ma loro ti dicono, e allora? Quello è il posto migliore del mondo, casa non è solo dove devi stare, ma dove devi essere anche felice di stare. Perché è cool.
Una vita di pancake la mattina, panni color lavanda e salvia e beige da stendere al sole con i piedi scalzi e tazze di caffè da sorseggiare sul dondolo nel portico. È reale? No, ma questa è la narrazione del sogno americano in pillole motivazionali da trenta secondi. Come può questo mappazzone di luoghi comuni e luce giusta fare presa sulla Gen Z, i nati dopo il 1996, statisticamente più progressisti e meno attenti a ruoli di genere fissi rispetto alla maggior parte delle generazioni che li hanno preceduti?
È una nicchia che colleziona cuori e visualizzazioni su TikTok e canta in sincronizzazione labiale o ballando al ritmo di musica rap citando la Bibbia e riflettendo sugli abiti modesti – ma carini – che indosseranno una volta sposate.
Mentre gran parte della ricerca sull’estrema destra si è concentrata sulla radicalizzazione dei giovani nei gruppi suprematisti bianchi e nazionalisti bianchi, c’è molta meno attenzione al processo di radicalizzazione delle adolescenti moderne. «Non solo questa ideologia sta diventando sempre più diffusa tra il pubblico femminile più giovane e di destra, ma si sta anche integrando nella cultura Internet della generazione Z, assumendo tendenze culturali attuali, opinioni politiche e concetti di genere – spiegano i ricercatori del Political Research Associates -. La “tradwifery” è un movimento complicato, intrappolato in una storia difficile di religiosità patriarcale, razzismo e misoginia, ma le aspiranti “tradwives” lavorano per semplificarlo e far passare l’ideologia in divertenti video musicali, facilmente digeribili dai loro follower».
Meglio non farlo sapere alla senatrice Mennuni. Sia mai si faccia un’idea più precisa di come un’uscita trash si possa trasformare in un nuovo trend.