il Fatto Quotidiano, 2 gennaio 2024
Croce e il primo summit per la Repubblica
Fu l’incubatore della nostra Costituzione. Il primo anello della catena che portò l’Italia alla Costituente; la prima pietra della Repubblica. Il Congresso dei Comitati di Liberazione nazionale, di cui ricorre l’ottantesimo anniversario, si tenne al “Teatro Comunale Piccinni” di Bari il 28 e 29 gennaio del 1944, suscitando anche una vasta eco internazionale.
E quest’anno, in un contesto politico inedito, la celebrazione potrebbe assumere un particolare rilievo se il Capo dello Stato Sergio Mattarella sciogliesse la riserva e decidesse di partecipare alla cerimonia.
A dicembre del ’43, le truppe tedesche in ritirata si trovavano ancora a Cassino. Nel timore che la riunione di tutte le forze antifasciste, appena dopo la caduta del regime, potesse provocare disordini di piazza e irritare il governo Badoglio insediato a Brindisi dopo l’armistizio, il Comando delle forze alleate non ne autorizzò l’organizzazione a Napoli come avrebbe voluto Benedetto Croce. Così lo storico Congresso si svolse alla fine del mese successivo nel capoluogo pugliese, in un’atmosfera di tensione e di grande fervore democratico. Una rara foto d’epoca in bianco e nero dell’Imperial War Museum of London, conservata nell’archivio dell’Istituto Luce, mostra una colonna militare con i fucili d’ordinanza in spalla che presidia l’ingresso del teatro.
Quella fu, come recita solennemente l’intestazione degli Atti raccolti da due giovani giornalisti, Ciro Buonanno e Oronzo Valentini, “la prima libera Assemblea dell’Italia e dell’Europa liberata”. E, in mancanza di registrazioni audio o visive, il comitato provinciale di liberazione di Bari, organizzatore del congresso, diede atto che “il testo stenografico è stato riconosciuto perfettamente fedele allo svolgimento dei lavori”. Vi parteciparono 116 delegati dei partiti democratici, confluiti da tutte le regioni a Bari: dal Pci alla Dc, dal Psi al Partito d’Azione e a quello liberale. Nell’elenco dei congressisti, figuravano tra gli altri un futuro presidente della Repubblica, il democristiano Antonio Segni; lo scrittore socialista Tommaso Fiore; il liberale Giuseppe Laterza, fondatore della casa editrice barese; e l’azionista Filippo Caracciolo, padre di Carlo, editore del Gruppo L’Espresso. Oltre a Croce che tenne il discorso inaugurale, intervennero altre personalità come il conte Carlo Sforza, repubblicano, diplomatico e ministro degli Esteri prima del Regno d’Italia e poi della Repubblica italiana; Giulio Rodinò, uno dei fondatori del Partito popolare e della Democrazia cristiana; e il comunista Paolo Tedeschi.
Alle 10,21 di quel 28 gennaio di ottant’anni fa, il segretario del comitato organizzatore, Michele Cifarelli, apre la seduta antimeridiana. “Commozione profonda è in tutti noi – esordisce con enfasi al microfono – perché questa è la prima assemblea dell’Italia che risorge, della nostra Patria che, pur attraverso infinite rovine e lutti e devastazioni e tutta una tragedia senza nome, riappare oggi alla ribalta della storia, riprendendo il cammino luminoso della libertà dalla quale essa non si è lasciata mai sviare”. Poi Cifarelli passa la parola, per il saluto inaugurale, a Vincenzo Arangio-Ruiz, presidente del Comitato napoletano di Liberazione. Lui stesso viene indicato da molti come presidente del Congresso, ma declina l’invito per non rinunciare al suo intervento politico. Viene nominato quindi un Ufficio di presidenza, composto da Alberto Cianca e Tito Zaniboni.
Un “entusiastico applauso” da parte di tutti i congressisti e del pubblico in piedi, come si legge negli Atti, accoglie l’ingresso di Benedetto Croce sul palcoscenico per il discorso d’apertura. “Signori, questo nostro è un convegno politico”, inizia il filosofo liberale: “E nessuno meno di me, che ne ho tenacemente difeso nel campo dottrinale l’autonomia e l’originalità, può pensare di prendere la parola per negare l’ufficio e l’importanza della politica nella vita dei popoli come degli individui. Senza politica, nessun proposito, pur nobile che sia, giunge alla sua pratica attuazione”.
Nel trasporto retorico dell’occasione, Croce non rinuncia a impartire una lezione di filosofia morale. “Ma la politica – prosegue – è una parte e non è il tutto dell’uomo, della sua spiritualità, della realtà, della storia; e al tutto io voglio per un istante richiamarvi”. E dopo una dissertazione internazionale, in cui rievoca l’impegno contro tutte le dittature, dalla Spagna fino alla Cina, don Benedetto conclude con una convinzione che al giorno d’oggi viene messa a dura prova dall’ondata di populismo e sovranismo: “Questo gli italiani hanno, con le dure lezioni dell’esperienza, bene appreso: che i regimi autoritari, comunque si chiamino e con qualunque veste si presentino, non sono conservatori di ordine sociale, come danno a credere alla gente paurosa e irriflessiva, ma impoverendo le forze sociali, ingenerando imperizia e indifferenza, sono preparatori di fiacchezza e d’intimo disordine e provocatori, essi, di rivoluzioni”.
Annotano in corsivo, fra parentesi, gli estensori del testo stenografico contagiati anche loro dall’entusiasmo: “Una lunghissima ovazione saluta la fine del discorso, che già era stato frequentemente sottolineato nei suoi passaggi più salienti dagli applausi e dai consensi fervidissimi dell’uditorio”.
Lo storico Congresso di Bari si concluse l’indomani, 29 gennaio ’44, con l’approvazione all’unanimità di un ordine del giorno che rappresenta l’atto costitutivo della Repubblica italiana. L’embrione dell’unità nazionale all’insegna dell’antifascismo. Nel documento finale, si dichiarava “la necessità di pervenire alla formazione di un governo con i pieni poteri del momento di eccezione e con la partecipazione di tutti i partiti rappresentati al Congresso che abbia i compiti d’intensificare al massimo lo sforzo bellico, di avviare a soluzione i più urgenti problemi della vita italiana, con l’appoggio delle masse popolari, al cui benessere intende lavorare, e di predisporre con garanzia di imparzialità e libertà la convocazione dell’Assemblea Costituente, da indirsi appena cessate le ostilità”.
Di tutti quei gloriosi partiti – in ordine di firma: quello liberale, democristiano, della democrazia del lavoro, azionista, socialista e comunista – nell’Italia contemporanea non ne sopravvive più nessuno. Ma, al di là delle sigle e delle bandiere, il Congresso di Bari lascia in eredità lo spirito antifascista su cui si fonda la nostra Costituzione. Ed è proprio questa la ragione per cui la “prima libera assemblea dell’Italia e dell’Europa liberata”, resta quantomai attuale a ottant’anni di distanza.