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 2024  gennaio 02 Martedì calendario

Intervista a Danilo Coppola. Racconta tutta la sua storia

Danilo, come stai?
«È chiaro che non sto bene. Ormai questa mia vicenda che dura da diciotto anni mi ha logorato, sotto tutti i punti di vista».

La prima volta che ci siamo parlati eravamo nel pieno della prima ondata di Covid: io da una parte dello schermo lui dall’altro. L’idea era quella di scrivere la sua biografia. Passiamo più di 25 ore così, lui raccontava e io ascoltavo, prendevo appunti e cercavo di mettere ordine al casino della sua storia. Un romanzo perfettamente italiano, quello di Danilo Coppola, imprenditore partito dal niente, con un piccolo investimento edile fatto dopo aver ricevuto un risarcimento a seguito di un incidente stradale che lo ha sfigurato, e arrivato a essere il ventunesimo uomo più ricco d’Italia, con partecipazioni in Mediobanca, Bnl e nella Roma: una scalata che si è portata dietro anche sospetti, voci di legami con la banda della Magliana (risultate completamente inventate), report della Guardia di Finanza e le attenzioni della magistratura. Nel 2007 il primo arresto. Da allora carcere, detenzioni domiciliari e processi su processi, dai quali è sempre uscito assolto. Il libro, per il momento, è fermo. La magistratura invece non si è fermata e il 7 dicembre Danilo Coppola è stato arrestato a Dubai, dove si era nascosto dopo un ordine di cattura. Solo che qualche giorno fa ricevo un messaggio su Whatsapp: è lui e mi dice che vorrebbe rilasciare un’intervista. «Ma sei libero?» gli chiedo. Danilo mi manda un video dal suo profilo instagram, dove spiega che la Svizzera, Paese nel quale ha la residenza, non ha concesso l’estradizione. Ed ecco che ci ritroviamo, lui da una parte dello schermo e io dall’altra. Danilo fa nomi e cognomi e mi dice: «Scrivi tutto, mi assumo io tutte le responsabilità».

Partiamo dall’attualità...
«Queste Procure che fabbricano capi d’imputazione sulla mia persona avevano chiesto l’estradizione, il reato che mi contestavano era la tentata estorsione. Immagina se la civilissima Svizzera non contemplasse l’estorsione fra suoi reati. Però le persone preposte, guardando i documenti inviati dalla Procura di Milano, hanno visto che non sussiste alcun reato, quindi non l’hanno concessa».
Perché ti hanno accusato di tentata estorsione?
«La tentata estorsione che mi viene imputata è la mail di un avvocato di un importantissimo studio milanese, lo studio Tremolada-Arata; Arata è purtroppo morto l’anno scorso e mi dispiace moltissimo, era una persona eccezionale, al di sopra delle righe, un avvocato preparatissimo. Tu immagina se il suo studio potesse mai commettere un reato. Ha fatto una mail all’avvocato del Fondo Niche, la società proprietaria di Porta Vittoria a Milano, che avevo costruito io anni fa; mail tra l’altro fatta dall’avvocato e non da Danilo Coppola, e inviata senza il mio consenso ma sentendo solo il mio avvocato Luca Ricci. Immagina la follia».
Cosa c’era scritto in questa mail?
«Stavamo cercando di fare una transazione a chiusura, come avviene in milioni di casi, e in questa trattativa l’avvocato ha agito in buona fede».
Bisogna procedere con ordine per districarsi in questa storia. E sul caso di Porta Vittoria ci torneremo tra poco. Tu adesso sei a Dubai, quindi?
«Sì».
Da quanto tempo ormai?
«Da poco più di un anno. In esilio... È chiaro che la mia persona dal 2007 ha ricevuto degli attacchi violenti. Mi hanno accusato di tutto, pure di rubare energia elettrica quando in realtà in un mio cantiere c’era stato qualcuno che si era attaccato non so dove. Poi fui prosciolto perché non c’entravo assolutamente nulla. Sul Sole 24 Ore diretto da Ferruccio De Bortoli vennero commissionati articoli pesantissimi contro di me. E un pm, Giuseppe Cascini, mi giurò guerra, che non è ancora finita. Lui e i suoi discepoli continuano a perseguitarmi».
 
Nel 2007 Coppola aveva molto potere, ma faceva parte di una cordata di nuovi imprenditori che stavano entrando con prepotenza dentro i salotti romani. Possedeva il 5 per cento di Mediobanca e lui, insieme a Caltagirone, Statuto, Ricucci e altri nomi di peso avevano scalato Banca Nazionale del Lavoro e l’avevano venduta a Unipol per farla rimanere italiana, mettendosi contro i Della Valle e i Geronzi. Sempre in quel periodo si vociferava della volontà di acquistare il Corriere della Sera, stringeva rapporti con la politica, diventava confidente di Francesco Cossiga e un’altra sua scalata, alla banca Antonveneta, trovava anche l’appoggio del governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio. Risultato? Uno alla volta tutti questi nuovi imprenditori vengono diffamati, arrestati, fatti fuori. La vendita di Bnl a Unipol viene bloccata e finisce ai francesi di Paribas e per Coppola comincia un calvario con la giustizia. L’accusa, nemmeno tanto velata, è che chi deteneva il potere allora aveva messo in moto la magistratura per evitare che i maggiori asset italiani andassero in mano a persone che non potevano controllare.
 
I processi come sono finiti?
«Cossiga mi diceva: “Ve la faranno pagare”. La sua profezia si è avverata. Mi hanno rovinato, mi hanno accusato di aggiotaggio, insider trading, appropriazione indebita, falso ideologico, riciclaggio, bancarotta, c’erano almeno dodici o tredici accuse, ma sono stato assolto da tutto».
Quando torni definitivamente libero fai l’operazione Porta Vittoria, ma una mattina ti vengono ad arrestare di nuovo. Con quale accusa?
«Una roba ridicola. Vengo arrestato nel 2016, ma nel 2015 mi ero rivolto al mio avvocato e gli avevo detto che stavo subendo dei soprusi enormi portati avanti dal Banco Popolare».
Cosa c’entra il Banco Popolare?
«Mi finanziava l’operazione ma – attenzione, questo è importante – a un certo punto il Banco comincia ad imporre strategie imprenditoriali e chiudere dei leasing senza che ci fossero morosità. Cominciamo a lamentarci e a fare delle diffide al Banco Popolare. Poi a fine 2015 lo denunciamo. Greco, che stava correndo per diventare Procuratore capo di Milano, disse al mio avvocato Lucibello: “Questa è una cosa grave, porta la querela a me, poi ci penso io”. Ci fece aspettare mesi e quando ci diede il semaforo verde per presentarla la mise in un cassetto. Non ha mai aperto il fascicolo. Questo è gravissimo, noi abbiamo la prova oggi. Pensa che il giudice fallimentare Simonetti, anni dopo, emise un provvedimento in cui ci ha dato ragione, sanzionando il Banco proprio per tutti quegli argomenti da noi esposti nella denuncia che Greco non portò avanti. Purtroppo nel frattempo la mia società era già stata fatta fallire proprio dal Banco Popolare. Incredibile che il mio arresto ordinato da Greco ed eseguito dai suoi fedelissimi si sia verificato dopo che io avevo presentato un concordato preventivo, assistito dai migliori avvocati concorsualisti italiani che pagava il 100% a tutti i creditori della società Porta Vittoria S.p.A che era sotto attacco dalla banca, concordato assistito da fideiussione bancaria».
Perché il Banco Popolare, nonostante questo voleva farvi fallire?
«Perché il mio gruppo lo aveva citato per centinaia di milioni di euro di danni per le operazioni che la giudice Simonetti constatò anni dopo. Tieni presente che queste citazioni con richieste di danno erano patrocinate dal professor Natalino Irti che tutti sappiamo non inizierebbe mai una bega del genere se le cause non fossero fondatissime».
Ai tempi chi c’era al Banco Popolare, chi lo muoveva?
«Giuseppe Mercanti, è lui il deus ex machina del Banco Popolare. Quando mi hanno arrestato la società non era fallita. In carcere ai tempi mi venne a trovare, in maniera devo dire anche abbastanza ingenua, l’avvocato Lucibello, in buona fede. Mi disse: “Guarda, mi hanno detto i pm Baggio e Clerici che se fai fallire la società Porta Vittoria loro ti mandano a casa”. A quel punto io prendo carta e penna e dal carcere di San Vittore scrivo all’avvocato che curava Porta Vittoria chiedendogli di smetterla dal mandare avanti quel concordato che pagava il 100% a tutti i creditori, in modo che la società fallisse non essendo più seguita da nessuno. Poi, dagli arresti domiciliari, ho dato mandato ai miei avvocati di prendere contatti con il fondo Algebris di Davide Serra per predisporre un concordato fallimentare per Porta Vittoria, solo che appena è uscita fuori la notizia, la Procura ha mandato la Guardia di Finanza da Algebris e Serra si è chiamato fuori».
Porta Vittoria alla fine a chi è andata?
«Qui sta l’assurdo, a una società fantoccia nelle Isole Cayman, dalla quale non si può risalire al proprietario, che ha fatto un accordo con il Banco Popolare mentre lo stesso Banco era accusato con i miei stessi capi d’imputazione, in virtù del provvedimento firmato dalla giudice fallimentare Simonetti, che lo sanzionava per aver commesso tutti quegli illeciti sulle società del mio gruppo. Per tale ragione finalmente la Procura dovette iscrivere al registro degli indagati anche il Banco Popolare. Ne parlò anche Report ma alla Procura e alla Finanza non interessò, pensarono solo ad affossare me e la mia società».
Perché questo accanimento contro di te?
«I pm che mi perseguitano, sia a Milano che a Roma, sono tutti collegati. Però è come se qualcuno avesse in qualche modo detto: “Danilo Coppola deve morire”».
Questo qualcuno è ancora al potere oggi?
«Questo qualcuno era potente nel 2007 e lo è anche adesso. È chiaro poi che quando lanci il sasso, questo continua a camminare».
Poi il tuo caso è diventato quasi una guerra personale con il pm Giuseppe Cascini.
«Feci un’intervista contro di lui e all’epoca mi querelò. Divenne incompatibile nel giudicarmi ma iniziò a telecomandare tutti i miei processi perché aveva fatto una figura non impeccabile, fermandomi con delle accuse che poi si sono sciolte come neve sotto il sole. Un altro pm, Paolo Ielo, ai miei avvocati diceva: “A me Coppola non sta nemmeno antipatico ma Cascini vuole che lo condanni severamente”. Cascini è stato coinvolto in diverse vicende: dalla presunta loggia Ungheria, alla questione Palamara, fino alle intercettazioni per avere i biglietti gratis della Roma. Ma come fa una persona del genere ad essere stato nel Csm? La meritocrazia dov’è? Quanti magistrati bravi ci sono in Italia che lavorano in penombra e non fanno operazioni soltanto mediatiche? Tutte le inchieste fatte da lui sono state dei flop. Gli hanno portato notorietà ma poi non sono servite a niente, anzi hanno procurato solo dei danni, guardate Bnl».
Per chiudere, Danilo, adesso tu cosa hai intenzione di fare e cosa avrai intenzione di fare in futuro?
«Finalmente ho trovato un team di avvocati che lavora 24 ore al giorno per me e che è determinato a farsi valere».
Adesso la politica in Italia ti dà speranza che possano cambiare alcuni poteri oppure no?
«Nella giustizia la Meloni ha davanti delle difficoltà insormontabili. All’interno della magistratura ritengo che il 90 per cento dei magistrati sia gente per bene. Purtroppo ci sono dei clan che hanno consolidato un potere enorme, ed è chiaro che il governo e le istituzioni hanno problemi a scardinare questa egemonia. La riforma del ministro Nordio può essere valida ma, credimi, per migliorare tantissimo la nostra giustizia basterebbe sospendere quei personaggi che palesemente negli ultimi vent’anni hanno fatto operazioni di potere invece di pensare all’applicazione della legge».
In questi giorni si sta parlando della cosiddetta legge bavaglio, che vieterebbe di pubblicare gli ordini di custodia cautelare.
«Ti faccio un esempio. Nel 2005 io venni attaccato per far parte della malavita romana, tutto questo finì sui giornali e la banca Nomura tolse un finanziamento per 750 milioni di euro al mio gruppo. Era tutto falso, naturalmente, ma nel frattempo ero finito nel tritacarne mediatico. Ti pare corretto? È giusto che le indagini vadano avanti ma è altrettanto giusto che la reputazione delle persone, fin quando non arriva almeno il rinvio a giudizio, non venga sputtanata. Più che legge bavaglio questa è una legge per arginare chi si approfitta del potere che ha per divulgare notizie che rovinano le persone. Infatti se cerchi notizie su di me trovi solo riferimenti agli arresti e alle accuse, di tutte le assoluzioni ci sono pochissime tracce».
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