la Repubblica, 2 gennaio 2024
Gli aforismi di Patti Smith
«Trecentosessantasei modi di dire ciao». È questa la definizione più semplice e più autentica di A Book of Days(Bompiani). Patti Smith ci consegna una collezione di immagini, una per ogni giorno dell’anno, dopo una introduzione dal titolo «Ciao a tutti». Il libro è un saluto che viene dalla vita, dai ricordi e dalle intuizioni. Le frasi che accompagnano le foto sono intime, divertenti, perspicaci: «Le didascalie e le immagini sono le chiavi per sbloccare i pensieri», scrive.Patti è stata una delle grandi protagoniste del proto-punk e della new wave. Il suo album di debuttoHorses del 1975 è considerato un capolavoro del rock. Ma lei ha generato una vera e propria galassia espressiva nella quale convergono parola, suono, gesto e immagine. Ha pubblicato varie raccolte di poesia, oltre a un libro di memorie come Just Kids.Ma la sua produzione è piena di prose visionarie, riflessioni sulla sua ispirazione creativa, frammenti onirici, pagine di diario (M Train, Devotions, L’anno della scimmia, The New Jerusalem …), spesso accompagnate da immagini scattate con la sua Polaroid Land 250 con telemetro Zeiss, la sua «idiosincratica compagna di lavoro».Dal 20 marzo 2018, equinozio di primavera, ha cominciato a condividere su Instagram le proprie foto, unendo il suo archivio di vecchie istantanee con le immagini catturate con lo smartphone. Il nitore tecnologico delle seconde si unisce alla bassa definizione delle prime: «Non c’è niente che sia davvero come l’atmosfera della vecchia pellicola Polaroid. Tranne forse una poesia, una frase musicale, o una foresta nella nebbia», scrive. Ne risulta un diario privato messo in pubblico che sviluppa un’estetica dal tratto personale e riconoscibile che solca il tempo: dal movimento della controcultura degli anni Sessanta al presente. Non ha natura del calendario, anche se scandisce il tempo, né è solamente un memoriale. È un modo per assimilare l’esperienza di oggi, e dunque un’estetica, un modo per lanciare «frecce che puntano al cuore comune delle cose». Insomma, la sua è chiaramente una operazione poetica.Nel corso del tempo la macchina fotografica è diventata diffusa e popolare. La Polaroid a sviluppo istantaneo è stata parte integrante di questo processo. Ha lasciato il passo alla fotografia digitale che, apartire dal 2002 è diventata di massa da quando Nokia presentò il primo telefono cellulare con fotocamera integrata (il mitico 7650). Dunque la fotografia è diventata un gesto «democratico».Lo sa bene Patti, che è consapevole del valore politico del suo Libro di giorni. «I social media, nel modo distorto in cui praticano lademocrazia, a volte incoraggiano la crudeltà, i commenti reazionari, la disinformazione e il nazionalismo, ma possono anche esserci utili. Sta a noi saper distinguere», afferma. Insomma, la sua è chiaramente una operazione politica.Oggi la logica del social network, sposandosi con quella dello scatto ha così trasformato la fotografia da memoria a esperienza. Si scattano foto per “vedere” meglio ciò che si vede con gli occhi. E le istantanee diventano i pezzi di una narrazione lifestreaming. La condivisione in diretta delle fotografie sviluppa un flusso di immagini ininterrotto. Le foto si accavallano, si sostituiscono, man mano che vengono postate in successione. Patti vuole fissare l’istante e recuperare la memoria senza però creare un classico “album” di fotografie.La memoria qui distilla un racconto coinvolgente, dove i personaggi sono oggetti-simbolo, quasi talismani: ora la chitarra Mosrite del marito Fred, ora un raro biglietto da visita di Rimbaud, ora una colomba di porcellana appartenuta a suo padre, ora i suoi vecchi stivali italiani da cowboy. Tanti i simboli di un percorso religioso: da Giovanna d’Arco a una statuetta di Gesù bambino a Natale adagiato su un volume di immagini di Marco Tirelli, a un crocifisso per il Venerdì santo.Ma soprattutto tanti i volti di scrittori e artisti a lei cari – da Rimbaud a Bulgakov, da Rothko a Joan Baez – spesso ritratti per il giorno del loro compleanno, accanto ai volti familiari, soprattutto quello della figlia Jesse. Insomma, quella di Patti è chiaramente una operazione narrativa fatta di storie e personaggi, che siano esseri umani oppure oggetti.Pagina dopo pagina si scoprono corrispondenze che creano la trama del racconto, che è anche mappa mentale ed emotiva, frutto dell’isolamento dei giorni della pandemia, quando Patti era nella sua stanza da sola. Il primo novembre svela la poltrona dove si fermava a pensare: «Mi siedo e lei mi porta dove vuole, come se fosse una barchetta di legno, o semplicemente me ne sto a guardare la luce che si muove sul lino che la ricopre».Il libro ha una firma: la foto della mano della poetessa del rock. La mano, infatti, «è una delle icone più antiche, una corrispondenza diretta tra fantasia e messa in atto. L’energia curativa viene incanalata attraverso le nostre mani. Tendiamo una mano in segno di saluto e servizio; solleviamo una mano come promessa». Geniale l’idea: sulle pareti della grotta Chauvet- Pont d’Arc nel sud-est della Francia sono state ritrovate impronte di mani color ocra, vecchie di migliaia di anni, realizzate mettendo pigmento rosso su una mano e premendola contro una parete di pietra per dare una qualche dimostrazione di forza, o forse per manifestare una preistorica affermazione dell’io. Qui si trova il senso ultimo dell’operazione compiuta dal poetic punk genius di Patti.A book of days è un calendario dei giorni che iniziano intesi come tempo della possibilità. Si apre con una foto che la mostra di spalle mentre guarda il mare: «Un nuovo anno si dispiega, l’ignoto davanti a noi, traboccante di possibilità», commenta. E il volume si chiude con una foto che la ritrae col sorriso e le mani levate sul palco con alle spalle tanta gente. Come didascalia un ricordo: «Per ogni mio compleanno, mia madre mi chiamava alle 6 e 01 della mattina e lasciava un messaggio: “Svegliati, Patricia, sei nata”. Felice anno nuovo a tutti! Siamo vivi insieme».