Corriere della Sera, 2 gennaio 2024
Ritratto di Margrethe di Danimarca
Non sarebbe mai dovuta diventare regina. E invece è stata l’ultima, la decana, la più longeva sovrana regnante d’Europa, per 52 anni sul trono. Meglio di lei solo Elisabetta II arrivata al Giubileo di Platino, 70 anni di regno. Non sarebbe mai dovuta diventare regina e invece i danesi hanno voluto che Margrethe lo fosse, prima del Paese dopo oltre 500 anni: un referendum nel 1953 aprì le porte a una rivoluzione a corte che è stata anche di genere destinata poi a spalancare altre strade.
Alla morte del padre, Frederik IX, il trono era destinato al fratello del re visto che la regina consorte Ingrid aveva avuto solo figlie femmine alle quali non spettava alcun diritto sulla corona. Ma un faticoso processo di revisione della successione avviato nel 1947 spezzò quel soffitto di cristallo regale. Divenne regina il 14 gennaio del 1972.
La sua corona è stata insomma una bandiera dell’uguaglianza di genere per tutta la società danese. E forse è anche per questo che Margrethe – che con Elisabetta II condivideva una bisnonna, la regina Vittoria – ha continuato a rompere gli schemi.
Nata il 16 aprile 1940 al palazzo di Amalienborg a Copenaghen dove ancora oggi risiede la famiglia reale, ricevette anche il nome islandese Porhildur, poiché all’epoca il nonno Christian X era pure sovrano d’Islanda che avrà l’indipendenza nel 1945.
Da ragazza, volle un francese al suo fianco, s’innamorò alla London School of Economics del conte Henri de Laborde de Monpezat e lo portò all’altare nel 1967 fra i malumori di corte. Amore a prima vista: «Fu come se il cielo stesse per esplodere, non avrei mai potuto sposarmi senza essere follemente innamorata» confesserà poi. Un amore nato nella Swinging London e che a palazzo soffrì della sindrome della gabbia dorata: il ruolo di principe consorte stava stretto ad Henri, diventato Henrik sposando Margrethe. Nel 2002 lui se la prese per esser stato messo in secondo piano dai riflettori accesi solo sull’erede Frederik. Poi si ritirerà nella sua Francia, fra i vigneti di famiglia, fino alla morte nel 2018.
Le tensioni in famiglia sono state l’unica spina nella vita della regina che ha guidato con mano salda un Paese in trasformazione. Una donna colta, curiosa del mondo – un solo vizio, il fumo che le ha guadagnato il soprannome di «ashtray queen», regina posacenere – che nei discorsi di fine anno, scritti di suo pugno, ha spesso guardato più lontano della società danese.
Come quando nel 2016 notò che il Paese stava diventando multietnico: «Non direi che siamo un Paese multiculturale ma sempre più persone hanno radici differenti, un passato e una religione diversa». E ancora: «È mio dovere e desiderio di regina assicurare che la monarchia si modelli sempre al passo con i tempi». Nel 2011, a 70 anni, in mimetica visitò le truppe danesi impegnate in Afghanistan. Amata in patria anche per questo, con un consenso tra il 70 e l’80%, «slightly bookish», un po’ il profilo della letterata, notò Jeremy Paxman della Bbc, ai libri ha dedicato anche il suo talento artistico: sue le illustrazioni per il «Signore degli Anelli» di Tolkien, ma anche costumi per Netflix e per balletti.
Sempre lei ha fatto notizia un anno fa per aver, ancora una volta, tracciato la strada con la decisione di snellire l’assetto reale, lasciando il titolo di principe solo ai figli dell’erede Frederick. E alle proteste del cadetto Joachim aveva risposto con una lettera pubblica: «Mi dispiace, ma lo chiede la Corona».