Corriere della Sera, 2 gennaio 2024
Il sondaggio di Nando Pagnoncelli
In cima alle preoccupazioni rimangono i temi economici
ma con un calo rispetto al 2022
Cresce la richiesta di «protezione»
mentre l’inflazione fa meno paura
Sul futuro prevale il pessimismo:
per il 35% la situazione peggiorerà
nei primi sei mesi dell’anno
Poi le aspettative migliorano
a conclusione di questo travagliato anno vede confermarsi il sostanziale pessimismo che aveva caratterizzato il 2022. All’uscita della pandemia, nel 2021, avevamo cominciato a pensare che le cose stessero migliorando. Era l’anno della brillante ripresa economica testimoniata da una performance del nostro Pil che superava abbondantemente i grandi Paesi europei, Germania e Francia compresi, con una ritrovata centralità nel nostro Paese nel continente, anche (e forse soprattutto) grazie al governo Draghi. Ma questo relativo ottimismo subisce una pesante contrazione nel 2022, con la guerra in Ucraina, la crescita dell’inflazione, i costi pesanti dell’energia, l’appannarsi della ripresa economica. Nel 2023, a fronte di una contrazione dell’inflazione che sperabilmente sembra attestarsi su valori contenuti, permane la bassa crescita e alla guerra in Ucraina si aggiunge il conflitto Israele/Hamas, acuendo quella sensazione di incertezza e di rischio che si è affermata a partire dallo scorso anno.
Le preoccupazioni degli italiani tendono, quest’anno, ad articolarsi. Le priorità dell’Italia, menzionate spontaneamente dalle persone intervistate nel nostro sondaggio (erano invitate ad indicarne tre), vedono anche quest’anno al primo posto i temi dell’economia e del lavoro (citati dal 56% dei nostri intervistati), ma con un calo che appare quasi brusco rispetto agli anni precedenti (nel 2022 eravamo al 66% delle citazioni). Questo perché, appunto, cresce un ampio ventaglio di altri aspetti preoccupanti. Intanto il tema della sanità citato dal 31% che sale di 10 punti rispetto allo scorso anno soprattutto a causa sia della ricomparsa del Covid che speravamo avere sostanzialmente superato, sia del mancato forte investimento nel comparto che appariva necessario dopo la pandemia. E se decresce, coerentemente con il calo dell’inflazione, la preoccupazione per il potere d’acquisto (30% oggi contro il 42% dello scorso anno), si accentuano gli aspetti relativi alla protezione e alla sicurezza. Cresce la preoccupazione per l’immigrazione (27%, +9 punti sul 2022), per la sicurezza (21%, +8 punti) e per il welfare e l’assistenza sociale (25%, + 6 punti). In piccola crescita anche la preoccupazione per il funzionamento delle istituzioni e per la situazione politica del Paese (28%, + 4 punti). Le priorità nella propria zona risultano parzialmente diverse poiché, per quanto rimanga al primo posto il tema del lavoro e dell’economia pur in misura decisamente ridotta rispetto al livello nazionale (36%, anche in questo caso in diminuzione di 4 punti rispetto allo scorso anno), compaiono immediatamente dopo i temi della mobilità e dell’ambiente, sostanzialmente stabili. Seguono funzionamento delle istituzioni e della politica locale (24%), sicurezza (24%), welfare e assistenza (18%), sanità e Covid (16%), immigrazione (11%) e potere d’acquisto (10%). Le differenze rispetto al 2022 in questo caso sono più contenute, ma indicano le stesse tendenze: in crescita i temi della sicurezza e della protezione, in calo la preoccupazione per il potere di acquisto.
Abbiamo visto ridursi l’apprensione degli italiani per il calo del potere d’acquisto, ma questo non significa che l’inflazione non continui a produrre ansietà: circa tre quarti degli italiani ne sono preoccupati, e per oltre un terzo si tratta di una forte inquietudine, dati in coerenza con quanto rilevato precedentemente. D’altronde il contenimento dell’inflazione non significa una riduzione dei prezzi, e sappiamo che l’Italia è un Paese in cui i salari non sono cresciuti, a differenza di quanto avvenuto per la maggioranza dei Paesi europei. Inflazione che pesa e che durerà ancora: solo pochi pensano che ne usciremo in pochi mesi, un quarto spera entro un anno, ma la metà esatta pensa che ci vorrà di più. Dati ancora una volta in linea con il passato. E si conferma quanto abbiamo visto nel panorama politico della scorsa settimana: il giudizio sulla capacità del governo di affrontare questo tema si contrae, con il 53% che esprime giudizi negativi sull’operato dell’esecutivo contro il 35% che lo approva. Dati in progressivo peggioramento rispetto sia a un anno fa che a sei mesi fa.
In questo quadro si confermano le preoccupazioni per l’andamento economico del Paese. La breve fiammata di ottimismo che abbiamo visto alla fine del 2021 è prontamente rientrata e quest’anno troviamo gli stessi dati del 2022, con la prevalenza di chi ritiene che a breve, nei prossimi sei mesi, la situazione economica del Paese tenderà a peggiorare. Oggi lo pensa il 35% dei nostri intervistati, contro meno di un quarto (il 23%) che al contrario vede una schiarita. Dati sostanzialmente coerenti con quanto rilevato da Istat, che individua un andamento simile e una contrazione della fiducia dei consumatori negli ultimi mesi, particolarmente evidente per il clima economico dell’Italia. Ma solitamente, allargando lo sguardo, gli italiani tendono ad essere più fiduciosi. Se infatti si passa dai prossimi sei mesi ai prossimi tre anni tende a prevalere l’ottimismo di chi si aspetta un miglioramento. Succede anche quest’anno, ma in misura sensibilmente più contenuta: se nel 2021 e nel 2022 il saldo era positivo per oltre 20 punti, cioè gli ottimisti prevalevano nettamente, oggi questo dato peggiora drasticamente. Il 36% infatti scommette su un miglioramento dell’economia ma il 27% prevede un peggioramento, con un saldo positivo di soli 9 punti, 11 in meno del dato registrato lo scorso anno. Anche per le previsioni relative alla propria situazione economica familiare nei prossimi sei mesi prevale il pessimismo, con un saldo negativo di 5 punti, 4 in meno del 2022. Insomma, nel breve periodo il Paese andrà male, ma le ripercussioni sulla concretezza quotidiana saranno contenute. Dato avvalorato anche dal fatto che oramai in molte famiglie sono presenti redditi da pensione, che non subiranno variazioni, e dalla tradizionale capacità di larga parte dei cittadini di adottare strategie di adattamento dei propri consumi all’aumento dei prezzi.
L’incertezza
Ad alimentare l’incertezza anche i conflitti in Ucraina e Medio Oriente
Vale la pena di fare un breve accenno alla pandemia, che negli ultimi mesi ha rialzato la testa. Per quanto gli italiani si accorgano della recrudescenza, si tratta tuttavia di una minaccia percepita come contenuta e si continua a pensare che il peggio sia già passato.
Dei conflitti abbiamo già parlato negli scorsi mesi e non ci torneremo se non per dire che contribuiscono, in misura non irrilevante, ad accentuare il clima di incertezza e disagio che sembra essere la cifra del sentimento degli italiani.
In sostanza sembra che quest’anno gli italiani si sentano circondati da diverse aggressioni più o meno consistenti. Non ci sono più le punte che abbiamo visto negli scorsi anni, dominati dalla preoccupazione per l’economia e il lavoro (sempre nettamente prevalente) di volta in volta coniugata con la pandemia (2020 e 2021) oppure con il brusco calo del potere d’acquisto (2022). Oggi potremmo parlare, con un termine coniato negli anni Novanta, e recentemente rilanciato da Adam Tooze, di «policrisi», ovvero di un sommarsi articolato di preoccupazioni e ansie che hanno riferimenti interni e internazionali e che sembrano difficili da superare. Preoccupazioni che hanno il loro punto di caduta in una richiesta di protezione (non solo securitaria ma anche sociale in senso ampio) che tende a crescere proprio di fronte a un panorama di profonda incertezza e difficoltà che provoca non tanto rabbia e conflitti sociali (come pure sta avvenendo in altri Paesi a noi vicini) ma sentimenti di stanchezza, un vero e proprio «sfinimento emotivo». Anche perché la richiesta di protezione trova sempre meno risposta: il Pnrr non sembra aver dato i risultati che ci si aspettava, il governo, come abbiamo visto (e ne riparleremo la prossima settimana) fatica a trovare soluzioni, l’economia non sembra in grado di reagire adeguatamente. Il rischio è la rassegnazione a questo andamento.