La Stampa, 2 gennaio 2024
Nino Frassica ricorda gli albori della Rai
I settant’anni della televisione sono, per Nino Frassica, un salto nel passato. Un bel salto tra umori e sensazioni che non esistono più, una sorta di suggestione alla Nuovo Cinema Paradiso, schermo acceso, tante chiacchiere e risate. Anche qui lo scenario è siciliano, paese piccolo, tutti ne parlano.Frassica qual è il suo primo ricordo della tv?«In paese mio zio era l’unico a possedere una televisione, dunque la sera si andava tutti da lui, circa una trentina, quanti ne potevano entrare. Mio zio però era tirchio e considerava il Carosello come tempo perso, energia elettrica sprecata. Così si era fatto un calcolo, spegneva dopo il tg e riaccendeva per la prima serata, era diventato precisissimo».E voi?«Noi aspettavamo, io mi divertivo moltissimo soprattutto ai commenti, perché non esisteva guardare un programma in silenzio. Si parlava in dialetto, si interagiva con i protagonisti al di là dello schermo, spesso partivano insulti. Come si stesse al teatro dei pupi o al cinema».Il suo primo ricordo da interno tv?«"Quelli della notte”. Prima la gavetta nelle tv private, ma lì sentii di avere finalmente fatto il salto, la prima trasmissione della Rai e ancora non sapevo che contemporaneamente stavamo rivoluzionando il modo di concepire la televisione. Nasceva con noi seduti sui divani, sera dopo sera, la modernità».Come vi sentivate?«Emozionati, mai preoccupati. Eravamo un gruppo, tutti amici, questo ci aiutava moltissimo. Mettevamo su uno spettacolo molto diverso dal classico varietà. Renzo Arbore sapeva fare squadra, notte dopo notte dava corpo alla festa. Improvvisamente il presentatore paludato e le vallette erano roba vecchia».Un successo epocale...«Arbore poi mi premiò con “Indietro Tutta” che questa volta non mi vedeva in un contesto corale ma da protagonista, il bravo presentatore. Abbiamo subito capito, anche questa volta, che funzionava ma non era più un fenomeno a sé, Renzo aveva colpito ancora una volta».Le manca qualcosa di allora?«I tempi giusti, quelli comodi che rimpiango. Allora ebbi questa fortuna. Per i comici di oggi è complicato, se cedi per un attimo sai che in agguato c’è il telecomando. Io mi sono adeguato, da Fabio Fazio ci metto dentro settanta cose per non perdere mai il ritmo».Non succede solo per i comici?«Per noi è più dura. Prendiamo i talk. Cento ospiti a puntata parlano pochi secondi e si cambia. È un nuovo linguaggio, veloce. I primi a dare questo slancio furono quelli di Italia1, la tv dei giovani. Arbore ci dava la possibilità di esprimerci e da musicista aveva l’orecchio per capire quando sterzare. Chissà se oggi un Walter Chiari avrebbe ancora la possibilità di far durare una barzelletta 20 minuti».E quale televisione ricorda con maggiore nostalgia?«Mi piacevano molto i gialli, Maigret di Gino Cervi, Nero Wolf di Tino Buazzelli, il Tenente Sheridan di Ubaldo Lay. Ma se le rivedi adesso, sembrano telenovela brasiliane, lentissimi e con i mezzi tecnici di allora. Adesso tutto è migliorato».I difetti dei giorni nostri?«Prendiamo i varietà, sono troppo lunghi. In quattro ore dilati, ti accontenti pur di arrivare a coprire tutto il tempo a disposizione. Bravissimo Fiorello che da uomo intelligente ha capito e fa della brevità un altro valore della sua trasmissione. Purtroppo adesso tutto è legato ai soldi e allo share. Se allunghi hai risparmiato sulla seconda serata e se arrivi oltre la concorrenza, guadagni in ascolti. Oramai tutte le tv fanno questo giochetto perché tutte vogliono diventare generaliste».Mercoledì è prevista una serata evento condotta da Carlo Conti, un omaggio al mitico «Rischia Tutto». C’è anche lei giusto?«Sì, ci sono tre coppie, io con Chiambretti, Loretta Goggi con Luca Argentero e Venier-Matano. Senza spoilerare le posso dire che vinco io».Tra i personaggi della tv, chi le piace di più lasciando fuori Arbore perché sarebbe una risposta scontata?«Fazio perché studia molto oltre ad avere un talento naturale. Da spettatore Mario Riva, Baudo. Ma quando arrivò Arbore si capì che tutto era cambiato. Tortora, Corrado, Bongiorno erano bravissimi ma non erano originali. Villaggio che insultava il pubblico lo era, i surreali Cochi e Renato lo erano. E soppiantarono il quartetto d’oro dei presentatori. La prevedibilità dei bravissimi non mi diverte. Falqui era un grandissimo, i suoi show erano perfetti ma non conosceva il fascino del disordine».