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 2024  gennaio 02 Martedì calendario

Carlo Freccero parla dei 70 della Rai

Domani la Rai festeggia il suo settantesimo compleanno, ma lo festeggia in maniera dimessa registrando un insuccesso. Per la prima volta nella storia delle tv Mediaset ha sorpassato il servizio pubblico per l’intero anno su tutto il pubblico. Lo certifica Auditel registrando il costante aumento dell’audience delle reti Mediaset in tutte le principali fasce di palinsesto.
Perché assistiamo a tutto questo? Perché Mediaset sta ristrutturando da tempo i suoi palinsesti e la sua programmazione, sulla base di una consapevolezza mediatica. In pratica, per lungo tempo, si è ritenuto che la televisione generalista tradizionale fosse destinata ad estinguersi, sostituita da un complesso sistema di interazione mediatica. In pratica il digitale renderebbe il pubblico attivo, creatore di un proprio palinsesto individuale indipendente dall’offerta televisiva tradizionale.
Le cose non sono andate così, o meglio, non del tutto. È vero che il digitale ha portato una moltiplicazione delle offerte mediatiche ma, nonostante tutto, la televisione generalista si è ritagliata nel tempo uno zoccolo duro di utenti affezionati. È il popolo dei meno acculturati digitalmente che vive la passività rispetto ai palinsesti, come una parentesi rilassante rispetto allo stress della vita quotidiana. In un contesto di lavoro e sociale che richiede abilità complesse anche solo per interagire col proprio conto corrente bancario o per pagare bollette, una televisione che non richiede nessuno sforzo di accesso, nessuna complessità di scelta, nessuna ricerca ed impegno è quanto mai rassicurante e tranquillizzante.
È in qualche modo una metafora del privato. Varcata la soglia di casa indossiamo indumenti più comodi, ci rilassiamo, cerchiamo semplicemente una colonna sonora delle nostre attività quotidiane. La televisione generalista sopravvive perché ha una forte identità mediatica ed in un mondo minaccioso, legato alla dimestichezza con la complessità tecnologica, offre, al contrario, intrattenimento al grado zero dell’impegno.
Da tempo i grandi gruppi mediatici, dopo aver esplorato le potenzialità dei nuovi media, capiscono che una fetta importante del pubblico resterà legata alla tv tradizionale. È il caso di Discovery che dopo aver esplorato gli spazi della produzione e dell’innovazione mediatica ha intrapreso in Italia una valorizzazione della televisione generalista, rilevando prima Crozza e poi Fazio con l’obiettivo di costruire un palinsesto. Ed è il caso di Mediaset che persegue da tempo con lucidità l’obiettivo di creare un polo generalista tradizionale. Tutto questo non funziona per la Rai perché, secondo me, da tempo la Rai ha sacrificato la propria identità mediatica ad altri scopi.
In pratica, con la riforma Renzi, si è trasformata da un’emittente con logiche mediatiche, ad un’emanazione del Governo. Con i risultati che vediamo. Oggi lo spoil system non è in mano alla sinistra e dipende dall’attuale governo di destra. Ma non è questo il punto. Non è un problema politico. È un problema di dipendenza di un medium dalla politica, destra o sinistra che sia, al di là delle sue logiche mediatiche di funzionamento.
Ho sempre difeso il servizio pubblico. Oggi non mi sento più di farlo. Leggo sui social che il canone Rai rappresenta la tassa più odiata dagli italiani. Il motivo che è che la Rai non viene percepita come un servizio, ma come un’imposizione. E in un’epoca in cui l’astensionismo sale ed i partiti non godono di popolarità, è un’ingerenza del governo nella vita privata. Non è stato sempre così. La Rai nasce come servizio pubblico sulla base della specificità europea che a differenza dell’America, privilegiava il capitale culturale rispetto al capitale economico. La televisione servizio pubblico esaltava il capitale culturale. Al servizio pubblico italiano i linguisti attribuirono l’unità linguistica del Paese.
Col tempo questa visione monolitica di cultura si frantumò in tre visioni del mondo. Con la lottizzazione delle reti i principali partiti prendevano la parola per declinare tre diverse visioni del mondo corrispondenti a tre linee editoriali. L’avvento della tv commerciale ed a livello sociale del consumismo, capovolsero questo modello. La televisione commerciale attraverso la rilevazione dell’audience divenne lo specchio delle scelte e dei consumi del pubblico ed anche la Rai si allineò a questo modello generalista. Col tempo il modello economico che è andato diffondendosi, ha coinciso con la privatizzazione delle imprese statali. Si è proceduto a lungo in questa direzione per fare del servizio pubblico un’azienda privatizzabile attraverso il modello di televisione industriale che mirava a tacitare la componente d’autore per farne un’azienda produttiva e privatizzabile. Tutto questo non si è concretizzato per l’anomalia Berlusconi editore e politico.
La famosa lottizzazione della fine degli Anni 70 che attribuiva un canale ai tre maggiori partiti politici, è stata molto criticata ma poggiava su due punti fermi: la molteplicità delle visioni del mondo, l’indipendenza editoriale delle reti. Con le ultime riforme governative la differenza tra le reti viene cancellata e con essa l’indipendenza editoriale di ciascuna. La Rai viene posta alla dipendenza, non dei partiti, che rappresentano in qualche modo il Parlamento, ma direttamente dal Governo, senza rispetto né per le esigenze mediatiche della rete, né del pluralismo politico. La crisi di audience della Rai nel 2023 è in qualche modo lo specchio di un crescente astensionismo politico che investe invece il corpo elettorale. L’elettorato tende ad omologare destra e sinistra secondo la formula thatcheriana del Tina “there is no alternative”, non c’è alternativa!
I partiti possono avere programmi diversi ma alla fine nell’operato dei governi prevalgono i trattati internazionali. Mentre cresce l’attenzione e l’importanza dei media nella vita privata, cresce la disaffezione per la politica che viene percepita non più come scelta, ma come necessità. Lo stesso sentiment di necessità aleggia oggi intorno alla Rai che stenta a dotarsi di un’identità credibile.
Finito il pedagogismo l’informazione poteva diventare il fulcro del servizio pubblico. Ma una televisione di governo non può fare informazione indipendente perché il suo obiettivo non è più la sua essenza e sopravvivenza, ma la sopravvivenza del governo.
La sua unica forza sta nella memoria di un passato glorioso certificato dal suo archivio.
La nostalgia prevale sul modello presente. Senza questo passato glorioso la Rai non esisterebbe. —