il Fatto Quotidiano, 2 gennaio 2024
(Ri)Scoprire Lautréamont. E nulla sarà come prima
Sto leggendo I Canti di Maldoror di Lautréamont. Li avevo affrontati a vent’anni, e sfogliata qualche pagina, avevo lasciato perdere. Non ero sufficientemente pronto per una lettura così impegnativa.
La stessa cosa mi è capitata con Proust. Per quattro o cinque volte avevo iniziato La strada di Swann e alla cinquantesima pagina avevo sbattuto il primo degli otto volumi della Recherche, pubblicati da Mondadori, contro il muro. A quarant’anni, un’estate, divorai tutti gli otto volumi. Ed è ovvio. La Recherche è il grandioso affresco di un’epoca, un trattato di psicanalisi, ma anche e soprattutto un libro sul Tempo e sulla memoria (la madeleine).
E a vent’anni di memoria se ne ha meno che a quaranta, si è impegnati a percorrere quei tratti di vita che diventeranno a loro volta memoria. Bisogna quindi diffidare degli estenuati proustiani di vent’anni, o lo fanno per darsi un tono o per sublimare in quel modo la loro omosessualità (anche se oggi, con l’omosessualità sdoganata, questo travestimento è meno necessario).
L’apprezzamento di un libro, di un film, di qualsiasi opera d’arte dipende dal momento della vita in cui l’affrontiamo. Non è sempre detto che quello della maturità sia il migliore per capire. Rimbaud, per esempio, è molto più vicino alla sensibilità degli adolescenti o dei post-adolescenti, essendo adolescente lui stesso. Scrisse Una stagione all’Inferno a 19 anni e la sua opera si concentra in quattro anni, poi non ne vorrà più sapere della sua attività di poeta e di scrittore, attraverserà più volte a piedi le Alpi finché si imbarcherà per l’Africa a fare il mercante, rifiutando qualsiasi contatto con editori e giornali. A uno di questi, particolarmente insistente, dirà: “La mia stagione è finita, questo è tutto”.
Lautréamont è, insieme a Rimbaud (“il poeta si fa veggente attraverso un lungo e ragionato sregolamento di tutti i sensi”, espressione che usò in una lettera a un amico, non a Verlaine come si crede comunemente) il fondatore della poesia, della letteratura moderna, della cultura moderna.
L’intera arte del primo Novecento, letterati, poeti, pittori, scrittori, giornalisti – Guillaume Apollinaire – respira Lautréamont, dal surrealismo al cubismo al fauvismo al puntinismo al simbolismo. Spesso in modo inconscio, a volte conscio. Lo aveva letto, per esempio, Amedeo Modigliani, una delle figure più luminose, straordinarie e generose di quella irripetibile Parigi che va dalla fine dell’Ottocento agli anni Trenta del Novecento in cui si raccolsero pittori, scrittori, musicisti, provenienti da tutta Europa, dalla Spagna alla Russia alla Romania alla Bulgaria alla Turchia e in seguito agli americani il cui ruolo principale, anche se non unico – Hemingway, Fitzgerald, Henry Miller – fu di farsi intelligenti mercanti d’arte comprando le opere di pittori tutti squattrinati, a parte Picabia, ma Picasso compreso.
Il tentativo titanico di Lautréamont, di Rimbaud, di Baudelaire fu di scardinare, a metà dell’Ottocento, nel breve tempo della loro vita (Lautréamont muore a 24 anni, Rimbaud, come poeta a 22, Baudelaire a 46) le strutture sociali ed economiche della loro epoca, cioè le strutture della borghesia.
Il più possente in quest’opera è Lautréamont, con la sua straordinaria, nuovissima scrittura, con la sua poesia in prosa, si legga l’Ode all’Oceano del primo canto di Maldoror.
Insomma dopo aver letto Lautréamont non si può più essere simili a quello che eravamo prima.