la Repubblica, 2 gennaio 2024
Se i computer sbagliano
Anche i computer sbagliano: quante volte si è impallato o interrotto un programma? I computer quantistici promettono di trasformare la nostra vita ma sbagliano ancora di più, perché i loro stati sono estremamente fragili e basta pochissimo per rovinarli. Diventa quindi di fondamentale importanza sviluppare dei meccanismi di controllo e correzione degli errori: i primi esperimenti sono stati eseguiti da Google e resi noti sulla rivista Nature lo scorso febbraio, suscitando l’interesse della comunità scientifica internazionale e dei media. Poi Nature ha pubblicato nuovi studi sullo stesso argomento, a testimonianza dell’importanza della materia: senza un controllo sufficientemente preciso degli errori, questi strumenti non potranno dispiegare tutte le loro potenzialità.
I computer quantistici sono già realtà e oggi chiunque può utilizzarne uno, anche in maniera relativamente semplice. Ad esempio, Ibm offre un servizio gratuito di accesso remoto ai loro computer base, che comprende una interfaccia user-friendly per manipolare a distanza i qubit, la versione quantistica dei bit. Il bit è l’unità base dell’informazione classica e assume solo due valori, o 0 o 1. Il qubit invece può assumere questi valori contemporaneamente, e ciò apre lo spazio per soluzioni innovative e veloci a problemi altrimenti intrattabili. Servizi simili sono offerti anche da Amazon, Google, D-Wave, Microsoft, e altre aziende ancora.
Tuttavia, gli attuali computer sono ancora troppo imprecisi. Per arrivare alla vera rivoluzione che cambierà il mondo della computazione, come ad esempio la possibilità di studiare molecole complesse per farmaci di nuova generazione, bisognerà trovare il modo di contenere e correggere gli errori. La soluzione (che poi è la stessa utilizzata nei comuni pc) è stata teorizzata negli anni passati e ora studiata da Google e da altri gruppi di ricerca: ridondare, cioè ripetere l’informazione più volte per essere sicuri che non vada persa. Si stima che serviranno almeno un milione di qubit per avere un computer quantistico potente e preciso; ad oggi siamo fermi a circa un migliaio di qubit, che è comunque già un ottimo traguardo.
Il mondo dei quantum computer è in fermento e continua evoluzione. Ai grandi giganti del settore, in anni recenti si sono affiancate un numero significativo di startup. Senza troppe sorprese, gli Stati Uniti fanno la parte del leone, seguiti da Regno Unito e Canada, le cui aziende sono sostenute da massicci investimenti privati. Secondo un recente rapporto di McKinsey, delle 10 imprese che hanno attratto i maggiori investimenti, quattro sono americane, tre inglesi, una canadese, una australiana e una svizzera. In cima alla classifica svetta PsiQuantum, fondata nel 2016 nella Silicon Valley, la quale due anni fa ha raccolto la cifra record di 450 milioni di dollari per realizzare un computer fotonico. Questo dimostra che la costruzione dei computer quantistici è uscita dal mondo accademico e ora è affare delle società private.
Sempre secondo il rapporto di McKinsey, la crescita del numero di startup e di investimenti è stata esponenziale dal 2000 a oggi, ma ha cominciato a rallentare negli ultimi tre anni: è il segno che dalle promesse iniziali si sta passando alla fase in cui bisogna tradurle in realtà. La costruzione dei futuri computer quantistici è una gigantesca sfida scientifica e ingegneristica; bisognerà inventare nuove tecnologie, e migliorare quelle esistenti, per coordinare un numero crescente di qubit, proteggendoli dagli errori, e questo richiederà un massiccio lavoro di integrazione e miniaturizzazione delle diverse componenti.
L’Europa sta cercando di reagire al dinamismo anglosassone: il numero di startup europee è aumentato in maniera significativa negli ultimi cinque anni soprattutto in Francia, Germania, Spagna, Finlandia e Olanda, e non è un caso, perché in gran parte questi Paesi sono state avviate ambiziose politiche di investimento nel campo delle tecnologie quantistiche. E l’Italia? Il rapporto di McKinsey registra che siamo al secondo posto in Europa nella produzione scientifica assieme alla Francia, preceduti solo dalla Germania; tuttavia non siamo in grado di trasformare questa preziosa conoscenza in tecnologia e prodotti. È un limite culturale dell’Italia, che va superato, anche attraverso politiche di investimento paragonabili a quelle degli altri maggiori Paesi europei.