il Fatto Quotidiano, 31 dicembre 2023
I giovani non hanno mai voglia di fare niente
“In tutta l’Italia solo 196 giovani disposti a lavorare in campagna”: è l’allarme lanciato da un articolo de La Stampa. Pare non abbiano proprio voglia di sporcarsi le mani, questi ragazzi. Eppure, il titolo dell’articolo risale al 1977 e i giovani contro cui puntava il dito oggi hanno almeno 60 anni e sono gli stessi che a loro volta puntano il dito contro i nuovi fannulloni. La storia si ripete.
Quello de “I giovani non hanno voglia di lavorare” è infatti diventato genere mediatico-letterario piuttosto popolare in Italia, con centinaia di articoli dedicati all’imprenditore di turno che si lamenta di non trovarne da impiegare. “Offro fino a 2mila euro al mese ma non trovo giovani”. “Offro 1500 euro al mese ma rifiutano: vogliono il weekend libero”. “Chiudo la pasticcieria perché non trovo giovani disposti a sacrificarsi come ho fatto io per 50 anni”. In realtà, non si tratta di una narrazione così innovativa, anzi. Ha radici più antiche di quanto si possa pensare. Se ne trovano ampie tracce nella stampa italiana già dagli anni 50. Nel 1959, per esempio, La Stampa scriveva “Pochi giovani vogliono apprendere l’oscura e raffinata arte del cuoco”: rifuggivano questo lavoro considerato troppo faticoso e meno appagante rispetto a quello del barman.
Tornando al 1977 con l’articolo “I giovani premono per il posto ma in settori saturi”, l’allora vicepresidente di Confindustria Renato Buoncristiani e l’allora segretario della Cisl Luigi Macario si accanivano contro la scolarizzazione di massa e le aspettative di diplomati e laureati.
Nel 1983, sotto accusa finirono invece i giovani che reclamavano il diritto al riposo. Nell’articolo “La fabbrica dei giovani disoccupati” si leggono le dichiarazioni di una serie di imprenditori piuttosto inalberati: “Adagiarsi nella routine è uno del difetti del nostro Paese: i giovani che hanno trovato un posto vogliono essere certi che a una certa ora si va a casa, che il weekend è sempre e comunque sacro e inviolabile”. Poco lusinghiero anche il rapporto Censis di cui parla Repubblica nel maggio 2002: “I giovani italiani hanno sempre meno voglia di lavorare. Non è un pregiudizio ma il risultato di un accurato studio del Censis. Il patologico immobilismo dei giovani cela fenomeni diversi intrecciati fra loro. Ad esempio la paura per una condizione strutturale d’incertezza. Ma anche l’adagiarsi sul salvagente famigliare. In ogni caso la disponibilità a lasciare la cuccia calda del proprio circondario è molta bassa”.
Passano i decenni, dunque, resiste la narrazione, che si tramanda di padre in figlio nonostante sia smentita dai dati. Secondo l’Osservatorio Precariato dell’Inps, infatti, la percentuale di under 29 assunti con contratti stagionali ammontava al 37,7% nel 2019 ed è aumentata fino al 38,6% del 2022. I dati 2023 confermano il trend: nelle assunzioni dei soli primi 9 mesi dell’anno, gli under 29 costituiscono il 38,2% della forza lavoro totale.