Corriere della Sera, 31 dicembre 2023
La rincorsa di Haley
«Un’altra gaffe di Nimarata» hanno commentato, trionfanti, tv e giornali schierati con Donald Trump dopo che Nikki Haley – ambasciatrice all’Onu del suo governo e ora sua avversaria nella corsa alla Casa Bianca – l’ha fatta grossa parlando delle origini della Guerra civile americana dell’Ottocento senza citare lo schiavismo che ne fu la causa principale. Attaccata duramente, l’unica donna di peso del fronte repubblicano, già da tempo sotto il tiro degli altri candidati che hanno usato contro di lei anche argomenti sessisti, ha cercato di limitare i danni: «Sono una donna del Sud, volete che non lo sapessi? Certo che dipese dallo schiavismo, volevo andare oltre l’ovvio».
In realtà l’incidente, durante un incontro con gli elettori in New Hampshire, è stato serio e danneggia l’immagine che Haley ha cercato di costruire: una candidata conservatrice come Trump ma più capace di lui, più eleggibile, con principi più sani. E più giovane. The Donald attacca spesso Biden, di tre anni più vecchio di lui, dandogli del rimbambito: ma lo spot televisivo di maggior successo di una campagna elettorale nella quale Nikki sta spendendo molto più di Ron DeSantis e dello stesso Trump, mette i leader dei due partiti sullo stesso piano: «Volete davvero due ottantenni alla guida del Paese?».
Partita dalle retrovie, Nikki Haley ha guadagnato terreno raggiungendo e, ormai, scavalcando quello che fino a qualche mese fa sembrava l’unico vero sfidante di Trump: il governatore della Florida Ron DeSantis. Al di là dei sondaggi che la danno in crescita ma sempre lontana dall’ex presidente, la prova che lei è divenuta il suo avversario più pericoloso viene proprio dalla campagna dell’ex presidente che ha intensificato gli attacchi contro Nikki e ha cominciato a chiamarla col nome di battesimo, Nimarata, e il cognome che aveva prima di sposare Michael Haley, Randhawa, per sottolineare la sua origine straniera. Donna e pure indiana: questo il messaggio, neanche tanto subliminale, passato al cuore dell’elettorato conservatore, soprattutto bianco e non di rado con qualche tendenza maschilista.
In realtà Nikki è un’americana di origine indiana: nata negli Stati Uniti (altrimenti non potrebbe puntare alla Casa Bianca), è figlia di due emigrati del Punjab arrivati oltre mezzo secolo fa in South Carolina dove hanno insegnato per trent’anni in scuole e università, gestendo al tempo stesso un negozio di abiti esotici. Nikki, di religione sikh, si è convertita al cristianesimo quando ha sposato Michael, conosciuto sui banchi di scuola. Questa donna, oggi 51enne, si è inserita talmente bene nella società americana da riuscire, nel 2010, a farsi eleggere governatrice del South Carolina. Carica lasciata sei anni dopo quando Trump l’ha chiamata a far parte del suo governo: ambasciatrice all’Onu e membro del Consiglio per la Sicurezza nazionale.
I giudizi su di lei sono divergenti. Chi la critica la considera un’opportunista con pochi principi: durante la campagna del 2016 definì antiamericano il candidato Trump per la sua minaccia di impedire l’ingresso negli Usa ai musulmani, ma una volta al governo difese la scelta del presidente di negare i visti ai cittadini di sette Paesi islamici. Oggi Haley attacca Trump per il suo scarso rispetto per le istituzioni e per gli alleati degli Stati Uniti, ma negli anni della sua presidenza non ha fatto nulla per frenarlo.
Per i maligni era scesa in campo solo per mettersi in mostra e farsi scegliere da Trump come vice: ha cominciato a picchiare duro solo quando ha capito che The Donald ha programmi diversi. Chi la appoggia (anche i miliardari Koch e molti finanziatori repubblicani alla ricerca di un’alternativa a Trump) vede in tutto ciò segni di pragmatismo, maturità politica, capacità di manovra.
Ma la meta, per lei, resta lontanissima. In Iowa, dove si vota il 15 gennaio, ha circa il 20% dei consensi nei sondaggi contro il 50 di Trump. In New Hampshire (primarie il 23 gennaio) è salita al 26% (con Trump al 44). Qui potrebbe, se non vincere, emergere come un’alternativa credibile. Ma poi toccherà al South Carolina: è il suo Stato, ma proprio qui Trump ha lavorato duro accumulando il distacco maggiore dagli inseguitori.