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 2023  dicembre 31 Domenica calendario

La politica del 2024


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Anno di esami, quello che sta per arrivare. Per i leader e per i partiti di casa nostra, ma anche per le sorti del Continente e per il futuro degli Stati Uniti, che sceglieranno il nuovo presidente, con riflessi robusti sul divenire del pianeta e senz’altro dell’Italia. Anno senza vie di fuga, da una parte i promossi e dall’altra i bocciati, con un segno preciso, tracciato dall’andamento della società e dell’economia, e inciso sulle schede elettorali delle Europee, delle elezioni regionali e comunali, in attesa poi del referendum sulle riforme istituzionali. Pochi alla fine potranno dire di aver vinto e qualche testa, metaforicamente, rotolerà.
Si vota a giugno, con il proporzionale, ci si guarda dagli avversari e soprattutto dagli amici. Ognuno fa per sé, con una campagna elettorale ormai iniziata che occupa l’attenzione dei leader assai più del dovuto, già pronti a dedicarsi alla propaganda più che ai bisogni del Paese. Giorgia Meloni, come tutti i favoriti della vigilia, è quella che rischia di più. Occhi puntati su ogni eventuale scricchiolio. Ma ha anche l’occasione di sbaragliare la concorrenza e di dimostrare che non è arrivata a Palazzo Chigi per caso. Dovrà guardarsi soprattutto da Matteo Salvini, che mai ha digerito di essere stato disarcionato, e punta alla rimonta spostandosi decisamente a destra, scavalcando la premier sul suo stesso terreno. È pronto, e ci conta, a giocarsi la carta della candidatura di Roberto Vannacci, nominato capo di Stato Maggiore con la speranza di Fratelli d’Italia che questo basti a tenerlo lontano dalla politica. La contromossa di Giorgia potrebbe essere quella di scendere in campo in prima persona, magari come capolista in tutte le circoscrizioni. Una scelta che probabilmente porterebbe Elly Schlein a fare altrettanto. Per Meloni, vorrebbe dire scegliersi un’avversaria di comodo, almeno sulla carta facilmente battibile. Per Schlein il vantaggio di tenere a bada gli appetiti elettorali personali del suo partito, e la possibilità di convogliare sul Pd maggiori consensi, con il ruolo di sfidante ufficiale. Ma anche con il rischio che corre chi gioca il tutto per tutto, con metà dei dem che attendono un suo inciampo. Giuseppe Conte, nel caso, punterà sulla denuncia di candidature finte, perché Giorgia e Elly non andrebbero poi veramente a fare le parlamentari europee. Lui mira a prendere un voto in più del Pd, e sa che se invece non ci riuscisse la sua leadership traballerebbe. Ad Antonio Tajani il compito arduo di dimostrare che Forza Italia può esistere e resistere anche senza Silvio Berlusconi, con evidenti rischi di deflagrazione nel caso contrario. Per Matteo Renzi, e soprattutto per Carlo Calenda, meno manovriero, il voto sa di ultima spiaggia per conquistare un certificato di esistenza, politica, in vita. Ma il punto chiave sarà capire chi conquisterà il timone della guida dell’Europa, quale alleanza vecchia o nuova prevarrà, se si andrà verso un Continente più unito o se invece ci sarà un ritorno prepotente degli interessi delle singole nazioni.
Mai dire mai, in politica. Ma la strada sembra segnata. E il centrodestra appare ormai convinto che quella del premierato deve percorrerla da solo. Pensa, non senza qualche ragione, che a sinistra si punti soltanto a dilazionare e a boicottare. Ma resta il vulnus di proporre una riforma che cambia il volto dello Stato a maggioranza. Una doppia lettura quindi, alla Camera e al Senato, e poi se il disegno andrà in porto senza il consenso dei due terzi, la via obbligata del referendum costituzionale, che non ha bisogno del quorum. I tentativi precedenti, senza intesa, sono stati bocciati nelle urne. Un colpo, sia per Silvio Berlusconi che per Matteo Renzi. Il referendum arriverà probabilmente a metà del 2025, ma è nell’anno che viene che si creeranno le basi della sfida. E sia la maggioranza che l’opposizione non potranno fare a meno di metterci la faccia, con tutte le conseguenze di una conferma o di una bocciatura popolare. Aleggia anche un robusto fronte di conflitto sull’autonomia differenziata che marcia parallela con il premierato, non senza contraddizioni.
Le riforme
Ci sarà anche il voto nei Comuni e nelle Regioni
E poi le riforme. Il centrodestra appare convinto di andare avanti con il premierato, ma resta il vulnus di una legge che cambia il volto dello Stato a maggioranza
Non ci sono solo le elezioni europee e il referendum. Il 2024 è ricco di tornate di voto amministrativo. Ci sono le Regionali in Abruzzo, Basilicata, Piemonte, Sardegna, Umbria. Si rinnovano i sindaci in 3.700 comuni, tra cui Bari, Firenze, Cagliari, Campobasso, Potenza, Perugia. Sfide che fanno tremare le vene e i polsi soprattutto allo sbrindellato schieramento progressista, che fatica a trovare alleanze e candidati comuni, contro un centrodestra che litiga come da tradizione ma che alla fine riesce quasi sempre a presentarsi con un solo volto. Sul piatto, per un futuro non lontano, anche la questione del terzo mandato, con i presidenti di regione in scadenza che premono. Due su tutti: Luca Zaia, Lega, in Veneto e Vincenzo De Luca, Pd, in Campania.
Ci vorrebbe la sfera di cristallo per immaginare lo stato di salute degli opposti schieramenti alla fine dell’anno che verrà. La maggioranza appare al momento litigiosa ma solida e molto dipenderà dalla geografia che verrà fuori dalle Europee. Ma non c’è dubbio che ad attendere Giorgia Meloni ci sono passaggi importanti: il Pnrr, l’occupazione, i conti pubblici, la sanità, la casa, l’immigrazione, i diritti civili. Bisognerà anche vedere se, per obbligo o per interesse, spunterà la tentazione di elezioni anticipate. Scenario al momento improbabile, ma che coglierebbe le opposizioni a dir poco impreparate. Non è facile trovare un federatore per forze che appaiono al momento divise, non solo nelle ambizioni dei leader, ma anche nella visione del Paese e del mondo. L’unità tra Pd e Cinque Stelle è assai difficile, e se anche fosse avverrebbe a scapito di altre alleanze, rendendo poco credibile agli elettori la possibilità di un’alternativa. Dovranno insomma inventarsi qualcosa di nuovo, o qualcosa di nuovo dovrà nascere.
Il 5 novembre 2024 può apparire lontano, ma si avvicina come una valanga e la sfida tra Joe Biden e Donald Trump è quella che si prospetta al momento. Impensabile che la collocazione atlantista dell’Italia possa cambiare, chiunque vinca. Ma non c’è dubbio che la politica americana sia a un bivio tra la prosecuzione delle scelte di questi anni e un cambiamento radicale di fronte alla guerra in Ucraina, che attende quel voto tra morte e distruzione. E verso il Medio Oriente, devastato dai conflitti. Così come nei confronti dei rapporti con l’Europa. Tutte situazioni che porterebbero inevitabilmente i partiti italiani a ricalibrare la propria politica estera e interna.