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 2023  dicembre 30 Sabato calendario

Su Fassbinder

Steve Della CasaIan Penman è un critico inglese che si è occupato soprattutto di musica (ha collaborato con alcune delle più importanti testate musicali britanniche) ma anche di cinema, di fotografia (ha curato una mostra su Robert Frank) e di contaminazioni tra varie discipline. Una produzione eclettica, avvincente, piena di spunti e capace di cambiare direzione ogni volta. Ma Ian Penman ha anche un’ossessione che lo ha accompagnato per tutta la vita. E questa ossessione ha un nome: Rainer Werner Fassbinder.L’inizio della monografia a lui dedicata parte proprio evocando quanto sia stato fondamentale per l’immaginario dell’autore la visione (più volte reiterata negli anni) del segmento fassbinderiano del film collettivo Germania in autunno, nato per raccontare come l’epoca segnata dalle rivolte e dall’attività dei terroristi della Raf appartenesse ormai al passato. Ma chi pensa che Penman abbia pensato a una monografia tradizionale sull’autore tedesco si troverà invece di fronte a una narrazione completamente diversa. Penman ci segnala che questo libro è stato scritto in due mesi ma pensato per quarant’anni. E la narrazione è volutamente non organica: una serie di considerazioni segnalate con un numero progressivo, brevi appunti scritti di getto seguendo il filo dei pensieri. In stile fassbinderiano, potremmo dire: e questo perché anche il regista tedesco agiva di istinto, e solo così è riuscito a proporre nella sua breve vita un numero così alto di film per il cinema e per la televisione. Fassbinder dirigeva un film ogni 100 giorni, un record difficilmente eguagliabile.La sua produzione artistica era quindi enorme e a getto continuo. Fassbinder era superorganizzato e capace di trovare sempre i soldi necessari per girare i suoi film. Quando è morto aveva progetti che avrebbero coperto i cinque anni successivi. Ma a differenza dei ragionieri dello spettacolo Fassbinder era anche un grande scialacquatore: i suoi film erano messaggi volutamente dispersivi, detestava la razionalità organizzativa pur essendo un genio nell’organizzazione. E aveva riferimenti molto diversi ai quali attingeva, quasi volesse nascondere le tracce di chi lo aveva ispirato.Anche la sua famiglia di origine era multiforme, e questo ha sicuramente influenzato il giovane Fassbinder. Suo padre era un medico che non si tirava indietro quando si trattava di portare soccorso alle prostitute, la madre era una importante traduttrice e aveva adattato tra gli altri anche Truman Capote. La vita privata di Fassbinder era l’opposto del culto della persona che si stava diffondendo quasi come reazione agli anni dell’impegno politico. Fassbinder fumava ottanta sigarette al giorno, tracannava interi boccali di birra, era sovrappeso e il suo volto era sempre imperlato di sudore. Era dichiaratamente omosessuale, ma odiava il perbenismo omosex che era tutt’uno con il culto della persona, dell’estetica, del glamour. Non faceva politica attiva ma non nascondeva una certa attrazione per i militanti dell’estrema sinistra proprio come accadeva per Jean-Marie Straub e Danielle Huillet, che come lui erano cineasti fuori dal coro: loro avevano addirittura dedicato il loro film Mosè e Aronne a Holger Meins, uno dei leader della Raf che prima di entrare in clandestinità era stato loro direttore della fotografia e che morirà in carcere durante uno sciopero della fame.Ma Fassbinder ha anche saputo evitare l’etichetta di autore politico, i suoi riferimenti erano molteplici. Come tanti della sua generazione, aveva come oggetto di culto alcuni registi della Hollywood classica. E proprio guardando i film hollywoodiani Fassbinder aveva maturato il proprio amore per il cinema fin da bambino: prima guardando soprattutto «western quelli con le carovane», e in seguito estendendo le visioni e mantenendo sempre la media di due film al giorno. Uno dei suoi registi più amati era sicuramente Raoul Walsh (che Fassbinder in alcune occasioni usa come proprio pseudonimo, modificandone lievemente la grafia), ma il principale è sicuramente Douglas Sirk, il re del melodramma fiammeggiante e che Fassbinder riteneva «superiore a tutti, anche a Godard». Altri riferimenti erano più contraddittori, a partire da Orson Welles (altro grande genio di creatività e scialacquatore di attività), per passare a Bertolt Brecht, Daniel Cohn-Bendit, Sid Vicious, Claude Chabrol (amato, ma definito «un entomologo» per come raccontava il mondo della borghesia di provincia), Jean Genet, Nabokov (che però è alla base di Despair, il film con Dick Bogarde che avrebbe dovuto segnare il passaggio di Fassbinder al cinema autoriale più anestetizzato e che risulta essere il suo film più impersonale).Un viaggio fluido, nervoso, continuo che tradisce una grandissima conoscenza dell’opera di Fassbinder e anche la volontà di analizzarla senza pretese universali, ma semplicemente registrando le impressioni che provoca un cinema in cui il coefficiente emotivo è davvero molto, molto elevato.—