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 2023  dicembre 30 Sabato calendario

Sade tradotto dalla Valduga

Come tanti libri proibiti, destinati all’esecrazione dei moralisti e alla persecuzione delle autorità, anche La filosofia nel boudoir di Sade tentò, nel frontespizio della prima edizione, qualche prudente depistaggio. L’unica informazione attendibile è la data, 1795, che però si accompagna a un luogo di stampa fittizio, ovvero Londra. Quanto all’autore, il marchese de Sade sceglie ovviamente l’anonimato, ma in qualche modo firma lo scellerato libello, definendolo «opera postuma dell’autore di Justine»: il romanzo era uscito (sempre anonimo) nel 1791. Anche questo darsi per morto, non diversamente dal finto luogo di stampa, appartiene a un repertorio di vecchi trucchi di dubbia efficacia.
Ma chi potrebbe assumersi la paternità degli infami dialoghi di cui si compone La filosofia nel boudoir? L’ultima perla del frontespizio è una raccomandazione del tutto paradossale: «La madre ne prescriverà la lettura alla figlia». Si tratterebbe di una madre snaturata e perversa come se ne potrebbero trovare solo nei libri dello stesso Sade! Questa madre molto improbabile non avrebbe messo semplicemente in mano a sua figlia un repertorio di stravaganze sessuali quasi enciclopedico nella sua minuziosità, e un esempio quasi inarrivabile di oscenità linguistica.

Certo, La filosofia è anche una delle vette della scrittura pornografica di tutti i tempi, e questa nuova versione italiana di Patrizia Valduga fa onore come meglio non si potrebbe desiderare al sublime turpiloquio di Sade. Ma il sesso in Sade è sottoposto a un tale sfinimento di ripetizioni e calcolate variazioni da finire sempre per assomigliare a un complesso gioco di pazienza, dove il gusto di esaurire ogni combinazione sovrasta l’eccitazione e il piacere spensierato (è per questo motivo che Giacomo Casanova è quasi l’esatto contrario di Sade).
Nella Filosofia nel boudoir, d’altra parte, scarseggia anche ciò che siamo abituati, per conoscenza diretta o molto spesso per sentito dire, a identificare con il sadismo. Come osserva giustamente Michele Mari nella sua bella introduzione, venendo dalla lettura di libri efferati come Justine o Le 120 giornate di Sodoma questo libretto «sembra un testo ameno e leggero, improntato ai piaceri più innocui e letterariamente ricamabili». Tutto vero, ma non si pensi a un’opera minore di Sade, come se la prudenza gli avesse suggerito più miti consigli. Al contrario, possiamo dire che nella Filosofia viene esaltata la più infame delle infamie. Quella che ci viene raccontata è esattamente la storia di una corruzione.
Due consumatissimi (e molto simpatici) libertini, Madame de Saint-Ange e Monsieur Dolmancé, trasformano una giovinetta innocente in una creatura forse ancora più viziosa e più disposta a ogni abiezione dei suoi precettori.
Il tema della corruzione non è affatto nuovo nella letteratura del Settecento: se ne può citare almeno un esempio perfetto, quello delle Relazioni pericolose di Laclos, uscite nel 1782 e conosciute da Sade. Anche nel romanzo di Laclos una coppia di libertini senza scrupoli collabora alla caduta di una giovinetta innocente nell’abisso del peccato. Ma quello del Valmont di Laclos è un lavoro lento, meticoloso, implacabile: una specie di sfida, di scommessa che richiede tempo e tenacia e finisce per causare la rovina della vittima. Eugénie, l’allieva di Dolmancé e Madame de Saint-Ange, tutto al contrario approfitta di un corso accelerato di abiezione che nel giro di una sola giornata la trasformerà in un essere felice, in accordo con la Natura, capace di spremere dalla sua esistenza ogni goccia di piacere che le spetta, scrollandosi di dosso simultaneamente il peso dei pregiudizi sociali e quello dei doveri familiari.
Questa portentosa metamorfosi avviene nel luogo più propizio: un confortevole boudoir, ovvero un elegante salottino foderato di specchi, che hanno il compito di moltiplicare all’infinito le voluttà che si godono. Ma qual è il tipo di piaceri che i due maestri, incalzati dalle ingenue e provocanti domande della loro pupilla, sono così felici di insegnarle? Si tratta di pratiche sessuali, su questo non c’è dubbio. Improntata al più rigido materialismo della sua epoca, che riconosce nei sensi l’unica porta d’accesso al mondo e nel piacere lo scopo supremo della vita individuale, la filosofia che si professa nel boudoir esige per prima cosa la liberazione dagli spauracchi sociali del pudore, dell’onore, della decenza.
Ma Eugénie e i suoi precettori, come anche gli aiutanti che li raggiungono collaborando con la loro prestanza alle lezioni, amano dilungarsi nella descrizione degli atti sessuali almeno tanto quanto amano eseguirli – spesso e volentieri continuando a parlarne anche mentre li eseguono, con la stessa precisione analitica di un manuale di botanica o di chimica. E il diventare le didascalie di sé stessi genera un effetto artistico bizzarro quanto memorabile.

È tale la modernità di questo straniamento, che a volte ci sembra di leggere una prosa che avrebbero potuto scrivere Samuel Beckett o Thomas Bernhard. È un timbro comico e surreale, quello delle migliori pagine della Filosofia nel boudoir, che Patrizia Valduga riesce a rendere perfettamente in italiano, con scelte sempre intelligenti in materia di turpiloquio: anche l’imprecazione oscena, infatti, per questi estremisti del vizio, è una parte essenziale del piacere.
Intere biblioteche sono state scritte sul sadismo, ma molto più rare sono le occasioni in cui viene pienamente riconosciuta a Sade la sua grandezza di scrittore. Eppure, in pochi hanno sperimentato in maniera così radicale e illuminante il potere di suggestione e di manipolazione psicologica della letteratura. Plasmata dalle parole dei suoi maestri di libertinaggio, quella creatura perfetta che è Eugénie non è molto diversa dal lettore delle opere di Sade, che si lascia anche lui contagiare e avvelenare cedendo alla più pericolosa seduzione del linguaggio: perché le parole sono come scintille, capaci di far divampare il fuoco dell’immaginazione quando ormai è troppo tardi per chiudere il libro, o proibirlo. E l’immaginazione, come insegna Dolmancé, è «il pungolo dei piaceri». Tanto che, dopo aver professato e confessato l’inconfessabile, senza eufemismi o reticenze di ogni sorta, Dolmancé un vizio decide di tacerlo: o meglio, lo sussurra alle orecchie delle sue amiche, ma noi che leggiamo... non possiamo sentirlo. Ma a quel punto, siamo costretti a immaginarla noi, quell’ultima nefandezza: e ancora una volta, con un colpo di genio semplice ma infallibile, ci rendiamo conto che Sade ci ha messo in trappola.