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 2023  dicembre 30 Sabato calendario

Storia dei gesuiti

Inés Pascual è afflitta per la morte di un’amica cara. Ignazio di Loyola le scrive. La immagina stanca, le raccomanda di prendersi cura di sé, di non trascurare «las cosas necesarias al cuerpo». Poi la esorta ad affidarsi a Dio, a pregarlo perché con la fatica e il lavoro, «con labor y trabajo», converta gli spiriti fiacchi e tristi, «flacos y tristes», in spiriti forti e gioiosi nella sua lode. Sono passati 499 anni da questa lettera, la prima di Ignazio che ci sia nota. Il trentatreenne basco la scrive il 6 dicembre 1524. Da due anni ha lasciato gli agi della famiglia, sta ancora cercando la sua strada, ma ha già chiari il percorso e la meta: serviranno «labor y trabajo» perché Dio ci conceda spiriti «fuertes y gozosos en su alabanza», forti e gioiosi nella sua lode.
Dieci anni dopo, da Ignazio e dai pochi amici ritrovatisi a Parigi sarebbe nata la Compagnia di Gesù. I gesuiti, così il mondo avrebbe chiamato i membri della Compagnia, sono da allora divenuti protagonisti della modernità. In Occidente e altrove, la loro opera ha fondato il mondo come lo conosciamo. Da tempo lo storico Claudio Ferlan si dedica allo studio di quella esperienza. Nel 2015 ne ha pubblicato per il Mulino una storia intitolata I gesuiti. A fine gennaio uscirà negli Stati Uniti per l’Institute of Jesuit Sources del Boston College un suo nuovo racconto del mezzo millennio gesuita, interamente inedito, dal titolo The Jesuits. A Thematic History.
Per lo studioso friulano cinquantunenne, formatosi a Trieste, dal 2011 ricercatore a Trento presso la Fondazione Bruno Kessler, dal 2020 senior affiliated scholar presso il Boston College, non si comprende l’impronta lasciata da Ignazio e dai suoi successori se non si coglie la costante attività di fondazione e di rifondazione che ne caratterizza la storia. Trent’anni fa, nel suo The First Jesuits, John W. O’Malley individuò cinque fondazioni. Claudio Ferlan le ricapitola in una conversazione con «la Lettura».
Nella prima fondazione, a Parigi nel 1534, Ignazio e i suoi amici decisero di «fare un gruppo». Sei anni dopo, a Roma, quel sodalizio divenne «un gruppo canonico» quando la Compagnia di Gesù fu fondata giuridicamente. Trascorsa un’ulteriore decade, vennero create le scuole e con esse, sintetizza Ferlan, «l’apostolato intellettuale» dei gesuiti. Dopo la soppressione pontificia del 1773, la quarta fondazione sopraggiunse nel 1814, quando la Compagnia venne ripristinata. L’ultima fondazione, nella cronologia di O’Malley, si ebbe verso la fine del Concilio Vaticano II, nel 1965, quando divenne superiore generale Pedro Arrupe, una vita in Giappone, artefice nel quindicennio seguente del rinnovamento della Compagnia nel senso delle aperture conciliari.
Claudio Ferlan ricorda il cartello in Piazza San Pietro inneggiante al cardinale gesuita Carlo Maria Martini nei giorni dell’elezione del successore di Giovanni Paolo II. Quell’irriverente «No Martini no party» auspicava il primo gesuita Papa della storia. La novità non si ebbe allora, nel 2005, ma nel 2013 con l’elezione di Jorge Mario Bergoglio. «Spetterà agli storici del futuro studiare il papato di Bergoglio», si legge al termine del volume di Ferlan; non possono però esserci dubbi che l’elezione abbia rappresentato una svolta storica, forse l’ennesima fondazione della Compagnia di Gesù.
L’interesse suscitato dal Papa gesuita ha incoraggiato la ricerca. I «Jesuit studies», spiega Ferlan, vanno oggi nella direzione di uno studio «d’insieme» che consideri le varie epoche in continuità tra loro e valorizzi sempre più i due secoli successivi alla restaurazione del 1814. La continua fondazione della Compagnia di Gesù va ben al di là della mera dimensione cronologica. Essa attiene al nucleo più intimo e più pregnante di quella esperienza: se i gesuiti sono stati tanto determinanti – dal Giappone al Paraguay, dagli Stati Uniti alla Cina – è perché essi stessi hanno saputo fondarsi e rifondarsi, fedeli all’intuizione originaria e al contempo capaci di lasciarsi rifondare dalle vicende del mondo, obbedienti al Dio che converte Ignazio e al Dio che si manifesta nella storia.

Il libro americano di Claudio Ferlan non procede pertanto cronologicamente, ma ordina la materia, in un vero e proprio atlante tematico, nelle quattro parti dell’identità, delle missioni, delle attività e delle connessioni. Nell’ultima parte, dedicata ai rapporti con i governi e ai conflitti politici, si tratta anche dell’accusa spesso rivolta ai gesuiti di essere scaltri, falsi, privi di scrupoli, bramosi di potere. Lo studioso trentino non nega che vi siano esempi nella storia che confermano l’accusa, ma invita a guardare più in grande. Il «modo nuestro de proceder» così caratteristico dell’esperienza gesuita, è in fondo, sottolinea l’autore, quello cui rimanda l’altro principio della Compagnia che vede nei gesuiti dei «contemplativi in azione». Andrebbe compreso così Francesco, il Papa per il quale «non esiste un centro della Chiesa», che è profondamente «formato nella teologia» e che «crede nella gerarchia».
Liberata dalla lettura consueta, tutta concentrata sul potere, l’obbedienza del gesuita al superiore perinde ac cadaver, come fosse un corpo morto, riguarda proprio la contemplazione in azione. Così gli Esercizi spirituali di Ignazio sono l’opera dell’organizzatore, del visionario, ma soprattutto del mistico, dice Claudio Ferlan. Ai giorni nostri, una tale «disciplina spirituale» può rivelarsi d’ispirazione «non solo contemporanea, ma futuribile», per quanto suggerisce con la sua «qualità intellettuale» a nuove generazioni prive di un modello politico e affascinate dalle tecniche del corpo e della mente. «Per essere gesuita, studi», riassume Ferlan. Negli ultimi cinque secoli i gesuiti si sono fondati, rifondati, e per questo sono stati tanto determinanti nella fondazione del nostro mondo globale. Servono «labor y trabajo», scriveva Ignazio 499 anni fa, perché i nostri spiriti fiacchi e tristi siano resi forti e gioiosi nella lode del Signore.