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 2023  dicembre 28 Giovedì calendario

I momenti più significativi del d-day

 L’immagine è talmente sfocata e tremolante che sul momento si fa fatica a capire il soggetto: c’è un uomo, un soldato, in acqua fino al collo, ha in testa un qualcosa che sembra un elmetto ma la sua forma si distingue a fatica e non si sa a quale esercito appartenga e in quale momento della storia delle guerre umane. Intorno la superficie liquida è chiazzata da macchie nerastre, forse pezzi di legno, sì, pezzi di legno, o forse di ferro, qualcuno di essi sporge dall’acqua come se fosse un palo, un palo storto, sì, inclinato, che ti chiedi come fa a stare su. Una foto così così, diresti, non tanto chiara, uno scatto fatto da un dilettante che gioca con l’otturatore.
Eppure quell’immagine è stata riprodotta milioni di volte, è stata scattata da quello che è considerato il più grande fotoreporter di guerra della storia, Robert Capa, ed è diventata il simbolo di uno dei più famosi fatti d’arme di tutti i tempi, lo sbarco anglo-americano sulle coste della Normandia, nella Francia occupata dai tedeschi, il 6 giugno del 1944, il D-Day. Non stupisce dunque che proprio quell’immagine apra il primo dei 30 volumi della collana «Dentro la storia. Un secolo di immagini», dedicata alle fotografie che hanno costruito l’immaginario collettivo recente. Il libro, D-Day. Lo sbarco e l’inizio della fine, sarà in edicola da oggi per due settimane con il «Corriere della Sera» e «La Gazzetta dello Sport».
L’acqua in cui è immerso l’uomo, un soldato americano (poi alla fine la forma dell’elmetto, a guardar bene, si riconosce), è mossa dalle onde che si infrangevano, in quel tempestoso giorno di giugno, su una mezzaluna sabbiosa lunga circa 8 chilometri il cui nome in codice sulle carte militari americane era Omaha e che sarebbe passata alla storia come the bloody Omaha, «Omaha l’insanguinata»: gran parte dei 2.501 soldati americani morti nel D-Day furono uccisi su quella spiaggia, il cui tributo di sangue complessivo è stimato in 5-6.000 perdite tra morti feriti e dispersi (il numero definitivo non è stato ancora accertato).
I combattimenti
Negli scontri seguiti
allo sbarco le perdite delle due parti furono di oltre mezzo milione
I pezzi di ferro o legno sono i resti degli ostacoli piantati sulla spiaggia dai tedeschi per impedire l’approdo dei mezzi da sbarco. Il soldato che lotta con le onde è l’unico riconoscibile nelle foto scattate da Capa ed è stato identificato: si chiamava Edward K. Regan ed era una recluta di 21 anni in forza alla compagnia K del 116° reggimento, 29ª divisione di fanteria Usa. Sopravvisse allo sbarco e ai combattimenti successivi, fu promosso sergente, decorato più volte e morì nel 1998, a 75 anni.
Capa, che fece entrare l’immagine di Regan nella storia, ebbe una vita assai più breve: trentunenne quando scattò la foto sul litorale spazzato dal fuoco delle mitragliatrici (era nato a Budapest nel 1913), sarebbe morto nel 1954 saltando su una mina in Vietnam durante la guerra d’indipendenza del Paese asiatico contro i colonizzatori francesi. Ma il suo nome è così legato allo sbarco (e al mestiere di giornalista) che ancora oggi, a pochi metri dal cimitero militare britannico di Bayeux, lo si trova inciso su una lapide all’inizio di un viottolo seminascosto dalla piante. Il sentiero porta al sacrario in memoria di tutti i giornalisti morti in servizio dalla Seconda guerra mondiale a oggi: ogni anno viene eretto un monolite con incisi tutti i nomi dei reporter uccisi in guerra, assassinati dalle mafie, massacrati dalle dittature, spariti nelle carceri di qualche tiranno.
L’omaggio
In Normandia è stato creato un sacrario in memoria dei giornalisti morti in servizio
Solo undici foto di quelle scattate da Capa nel D-Day sono sopravvissute. La loro vicenda, una storia nella storia, è narrata nel primo capitolo del libro che stiamo esaminando. Il secondo invece ricostruisce tutta la campagna di Normandia, dallo sbarco alla liberazione di Parigi il 25 agosto 1944. Una vicenda ben conosciuta, ma che resta affascinante per chi si interessa di storia militare: fu tra l’altro una serie di battaglie in cui il tributo di sangue pagato dai soldati delle democrazie occidentali è paragonabile a quello che avevano subito i loro padri vent’anni prima, durante la Grande guerra. Niente a che vedere con i massacri che nel frattempo avvenivano tra sovietici e tedeschi sul fronte orientale, ma comunque scontri tali da prosciugare in maniera preoccupante le risorse umane soprattutto della Gran Bretagna, stremata da cinque anni di lotta. In totale nella battaglia di Normandia gli eserciti contrapposti (tedeschi, britannici, statunitensi e canadesi) persero 550.200 uomini tra morti, feriti e dispersi (stima dell’Enciclopedia Britannica). Le perdite tra i civili francesi furono di 12.200 morti o dispersi.
Altri capitoli del volume sono dedicati alla vigilia dell’imbarco, alla traversata fino alle spiagge normanne (cinque in tutto, con i nomi in codice di Omaha, Utah, Gold, Juno e Sword), all’addestramento dei soldati alleati nei campi inglesi, alla loro vita quotidiana, al rapporto con la popolazione britannica prima dello sbarco e con quella francese dopo il D-Day. E poi ci sono le immagini, 41 foto scelte tra le centinaia di migliaia scattate non solo dagli inviati delle agenzie di stampa e dei giornali dell’epoca (il servizio di Capa dalla spiaggia Omaha per esempio fu pubblicato sul settimanale «Life»), ma anche da semplici soldati dei servizi di propaganda. Quelli americani erano arruolati nell’Army Pictorial Service, il servizio fotografico dell’esercito degli Stati Uniti, creato nel 1942 con il compito di illustrare la vita quotidiana e le imprese belliche dei soldati a beneficio del pubblico in patria. Oggi le loro foto sono visibili nei pictorial record dedicati al conflitto contro il Giappone e a quelli contro la Germania nel Mediterraneo e in Europa Occidentale disponibili sul sito dello Us Army Center of Military History.