Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  dicembre 28 Giovedì calendario

Nel 2024 il mondo va alle urne

Il referendum globale sul pianeta Terra, nel 2024, avrà due rivali sulle schede, Democrazia contro Autoritarismo. Quattro miliardi e 170 milioni di esseri umani andranno al voto e la loro scelta sarà cruciale, dai villaggi con le strade sterrate del Ghana, agli attici lucenti di Wall Street, dall’isola assediata di Taiwan, alle periferie siberiane in Russia: rafforzare libertà e giustizia o dar forza a regimi autoritari? In giugno voteranno i 27 paesi dell’Unione Europea, 400 milioni di elettori, selezionando per la decima volta il Parlamento comune, i partiti del centro popolare a fronteggiare la destra populista. Ove i moderati tenessero contro gli ungheresi di Viktor Orban e i francesi di Marine Le Pen, la presidente Ursula von der Leyen potrebbe tornare al governo, pur cambiando parecchi commissari, se invece non avesse la maggioranza si aprirebbero negoziati frenetici, in cui un ruolo potrebbe avere la premier Giorgia Meloni, alleata delle destre ma, almeno fino all’autogol stop al Mes, inflittole dai populisti, non ostile al mainstream Ue. La sfida per la Casa Bianca, novembre, vede il repubblicano Donald Trump avanti nei sondaggi sul democratico Joe Biden. Alle urne si attendono 160 milioni di cittadini, posta in gioco la svolta isolazionista di Trump o lo status quo atlantico di Biden. Se Europa e Stati Uniti imponessero una linea intollerante e contraria alle intese internazionali, dal clima alle guerre in Ucraina, Gaza, Golfo Persico, Africa, le altre elezioni 2024 assumerebbero luce ancor più sinistra.Vladimir Putin in Russia e il suo vassallo Aljaksandr Lukašenka in Bielorussia saranno vincenti, con i dissidenti in galera, le polizie segrete a controllare il web, maggiordomi a dominare in tv e ondate di disinformazione.Secondo i dati dell’ Economist Intelligence Unit dalla Turchia, al Pakistan fino al Chad, le nazioni voteranno in un gradiente che va dalla libertà britannica, con i laburisti vicini a Downing Street dopo dieci anni, al cupo totalitarismo. In Bangladesh il governo perseguita il dissenso, in Indonesia il presidente Joko Widodo potrebbe lasciare il potere al ministro della difesa Prabowo Subianto, in India, la più popolosa democrazia, Narendra Modi resterà al comando, grazie al boom economico, ma violando in crescente misura i diritti delle minoranze.Occhi puntati su Taiwan assediata dalla Cina, con gli eredi del Kuomintang che potrebbero vincere e ricercare un, dubbio, disgelo con Pechino. Il presidente Xi Jinping vuol riannettere Taiwan, dopo Hong Kong, la crisi si aggraverà. In Messico due donne rivali, Claudia Sheinbaum contro XóchitlGálvez, imprenditrice mecenate, per affrontare emigrazione, narcotrafficanti, futuro dell’America Latina.Ovunque la disinformazione resterà in agguato, corroborata dall’Intelligenza Artificiale: Martina Larkin, capo dell’istituto Project Liberty, assicura «Ogni leader sarà bersagliato da false notizie» e l’Ue crea dunque la task force dello European Digital Media Observatory contro la guerra ibrida delle bugie online 2024.
Stati Uniti
Tra Biden e Trump si decidono le sorti della democrazia
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PAOLO MASTROLILLI
NEW YORK – Il 5 novembre del prossimo anno sulle schede elettorali americane ci sarà il futuro della democrazia, non solo negli Usa. Come ha notato il politologo Bill Schneider, quando un “incumbent” si ricandida il voto diventa un referendum su di lui. Stavolta però gli “incumbent” saranno due, se si ripeterà la sfida del 2020: Biden, presidente in carica, e Trump, che ha lasciato la Casa Bianca senza mai riconoscere la sconfitta. Anzi, contestando la validità delle elezioni fino a fomentare e giustificare il mortale assalto al Congresso, per cui ora è penalmente incriminato. Quindi per Schneider l’esito delle presidenziali verrà deciso da un solo fattore: su quale dei due “incumbent” sarà il referendum? Se sarà su Biden, ossia inflazione, guerre, età avanzata, vincerà Trump. Se sarà su Donald, ossia i reati per cui è sotto processo, il caos che lo segue ovunque, e soprattutto lo spregio per i valori fondanti della democrazia, vincerà Joe. Ma la democrazia, come la conosciamo, difficilmente sopravviverà al primo risultato.
Unioneeuropea
Riformarsi o perire Bruxelles affronta l’assedio sovranista
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE CLAUDIO TITO
BRUXELLES – In gioco c’è l’Europa. Può sembrare tautologico o esagerato ma la posta delle elezioni europee del 6-9 giugno è proprio il futuro dell’Ue. Mai come questa volta l’Unione è a un bivio. Trasformarsi e preparare il futuro o rimanere nella palude dell’immobilismo. Gli eventi che hanno accompagnato gli ultimi cinque anni. dalla pandemia all’Ucraina, la obbligano ad aggiornarsi e a dotarsi di strumenti che la rendano davvero integrata e unita.
Per questo il voto deve dimostrare che gli istinti antieuropeisti e sovranisti non avranno la meglio. Solo se il fronte di chi intende costruire un’Ue con più poteri e competenze, più federalista e in grado di affrontare le sfide della globalizzazione, riuscirà a resistere allora il traguardo sarà raggiungibile. E lo si vedrà anche da come verrà composta la prossima Commissione. Il Parlamento dovrà dare il suo voto di fiducia alla o al presidente. Questa è la seconda posta in gioco. Direttamente legata alla prima. È un test che riguarda Ursula von der Leyen che cerca il bis o magari Mario Draghi su cui scommette in primo luogo il presidente francese Macron.
Taiwan
A Taipei si giocano i rapporti Usa-Cina dei prossimi anni
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE GIANLUCA MODOLO
PECHINO – Saranno le prime elezioni del 2024 e gli occhi del mondo saranno tutti rivolti qui. Taiwan va al voto il 13 gennaio per eleggere un nuovo presidente e un nuovo Parlamento. Un voto, questa volta più che mai, dove il “fattore Cina” sarà centrale. Un’elezione cruciale per capire che direzione prenderanno i rapporti tra le due sponde dello Stretto e quali ripercussioni avranno per le due superpotenze globali: Pechino – che da oltre 70 anni rivendica l’isola, “provincia ribelle” da unificare alla madrepatria con le buone o con le cattive – e Washington, “garante” della vecchia Formosa a cui continua a vendere armi per migliorare le proprie difese. Sarà una corsa a due tra il Partito democratico-progressista, indipendentista al governo negli ultimi 8 anni, e il Kuomintang più dialogante con la Cina. Terzo incomodo il Partito popolare: staccato nei sondaggi, ora attira sempre di più i giovani. E pronto in Parlamento ad allearsi proprio col Kuomintang. La posta in gioco è alta. Le tensioni tra Cina e Usa potrebbero raggiungere un punto critico nei prossimi 4 anni. Pechino e Washington osserveranno il voto molto attentamente.
India
Modi punta al tris per consolidare il ruolo tra i Grandi
DI CARLO PIZZATI
CHENNAI – Tra aprile e maggio del ‘24 un miliardo di indiani potranno eleggere 543 parlamentari della Lok Sabha per scegliere il nuovo governo. I sondaggi danno per vincente il partito dato più grande al mondo, con 180 milioni di iscritti, il Bharatya Janata guidato dal premier Narendra Modi, leader che gode del 78% di popolarità. Nelle votazioni di dicembre in tre Stati del Nord, il Bjp e la National Democratic Alliance (Nda) hanno fatto man bassa di voti, perdendo solo nello Stato del Sud, il Telangana, dove ha retto l’opposizione della coalizione India. La spaccatura tra Nord, di centro-destra, e Sud, di centro-sinistra, è evidente. Come anche la crisi della democrazia, dopo l’espulsione dal Parlamento di Rahul Gandhi, Mahua Moitra e quella temporanea di 141 parlamentari dell’opposizione. I temi che possono influire sono la capacità di gestire l’influenza degli Stati e quella federale, il coordinamento di un’opposizione molto ampia, la battaglia per attirare il voto delle classi meno abbienti, ma anche il ruolo in politica estera dell’India. Si prevedono poche sorprese e la conferma di un terzo mandato per Modi. Ma non si escludono colpi di scena.
Regno Unito
Dopo il flop Brexit ora i laburisti possono sperare
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE ANTONELLO GUERRERA
LONDRA – Il Labour di Sir Keir Starmer sembra destinato alla vittoria dopo 14 anni di opposizione e 27 dal trionfo di Tony Blair. Mentre i conservatori del primo ministro Rishi Sunak arrancano di oltre 20 punti nei sondaggi e lasceranno un Regno Unito per molti peggiorato a livello economico, finanziario e sociale. Esito del voto scontato? Chissà. Il cauto Starmer non è un leader troppo carismatico e finora ha puntato sull’usato sicuro (centrismo, temi “di destra” come la sicurezza) approfittando del caos tory (tre primi ministri in meno di due anni).
Sunak invece, grande alleato di Meloni, si gioca tutto sui migranti. Nel 2023 c’è stato il record di immigrazione netta: 745mila persone in più, nonostante la Brexit. Se non bastasse, morde il partito di destra Reform Uk (patron Nigel Farage), al 10% nei sondaggi. Dunque Sunak, per avere una chance, deve concretizzare la deportazione dei migranti “illegali” in Ruanda, che Starmer ha promesso di revocare. Se e appena partirà il primo volo per l’Africa, Sunak indirà le elezioni, ancora senza data. Perché anche la sfavorita Brexit venne decisa dall’immigrazione.
Russia
Putin già guarda al 2036 per battere il record di Stalin
DALLA NOSTRA INVIATA ROSALBA CASTELLETTI
MOSCA – L’unico elemento di suspence delle presidenziali russe sarà che percentuale di preferenze e affluenza otterrà Vladimir Putin. Il voto verrà diluito dal 15 al 17 marzo e si svolgerà nei seggi e online, ma non sarà che una formalità. Una foglia di fico per mascherare la “democratura” russa con gli esponenti dell’opposizione e della società civile imprigionati, esiliati o eliminati e una carrellata di innocui rivali fantoccio. Il primo dei quali, Leonid Slutskij, ha assicurato: «Non toglierò voti a Putin». I sondaggi confermano. Secondo l’indipendente Levada Tsentr, Putin gode di un indice di gradimento sopra l’80% che neppure l’Operazione militare speciale in Ucraina ha scalfito. Dato blindato grazie a una repressione sempre più penetrante, alla totale censura dei media, alla martellante propaganda statale e all’assenza di opposizione. Con il quinto mandato, Putin resterà al Cremlino almeno fino al 2030 quando mancherà di un solo anno il record di 31 anni al potere detenuto da Josif Stalin. Ma grazie alla riforma costituzionale del 2020, potrebbe restare fino al 2036 e superarlo. Putin più di Stalin.
Venezuela
Maduro in crisi accetta il confronto con l’opposizione
DI DANIELE MASTROGIACOMO
Il regime di Nicolás Maduro ha accettato la sfida delle urne. Si confronterà in un’elezione “chiara e trasparente” per decidere chi guiderà il Venezuela nei prossimi sei anni. L’accordo è stato tra gli emissari di Caracas e i rappresentanti della Piattaforma Unitaria, il fronte che raccoglie la maggioranza dei partiti dell’opposizione. Maduro ha ottenuto in cambio la sospensione temporanea (sei mesi) delle sanzioni Usa. Il delfino di Chávez si è impegnato a indire le elezioni nella seconda metà del 2024. Ma ci sono ancora molti ostacoli. Intanto, la possibilità che tutti i candidati possano partecipare. Il regime ha messo fuori gioco i principali leader dell’opposizione per reati finanziari spesso pretestuosi. La stessa opposizione fatica a prendere una posizione unitaria sul partecipare o meno al voto. Ma ha indetto le primarie, vinte da Maria Corina Machado, la storica leader della destra, con il 92% dei suffragi. Dovrebbe essere lei a sfidare Nicolás Maduro. Ma anche lei fa parte dei dirigenti politici banditi da ogni competizione da parte di una giustizia asservita al regime. Gli Usa hanno già fatto capire che si opporranno a qualsiasi esclusione.