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 2023  dicembre 27 Mercoledì calendario

Due coalizioni nella paralisi


Bilancio di fine anno per le due coalizioni, chiamiamole così, in cui si articola il bizzarro bipolarismo italiano. Hanno due caratteristiche in comune: sono entrambe male assortite e al tempo stesso inamovibili. E c’è anche una terza caratteristica: l’una e l’altra presentano gli stessi limiti e divisioni interne, per cui – al di là della propaganda – sono quasi una lo specchio dell’altra. In conclusione entrambe rappresentano una garanzia di non-governo, come avrebbe detto Ugo La Malfa in anni lontani. Vediamo perché.
Il centrodestra al potere non sa o non riesce a dare un’impronta netta alle sue scelte di politica economica, è deludente nel campo sociale, inerte sulle riforme, a cominciare dalla giustizia. Inoltre adesso dovrà gestire il rapporto con l’Europa dopo il “no” al Mes. La frattura interna che ha portato al prevalere della linea intransigente di Salvini non prefigura un’idea coerente del futuro dell’Unione né propone una credibile alternativa all’attuale establishment. Tutti hanno capito che la premier Meloni era favorevole a una soluzione di compromesso, magari un po’ pasticciata ma tale da evitare una completa rottura con Bruxelles. Invece Salvini ha colto l’occasione per regolare vecchi conti. Aveva già cominciato tempo fa con i raduni dell’estrema destra, aperti persino ai neo-nazisti tedeschi. Nessuna prospettiva di indicare un futuro per l’Europa che non sia la dissoluzione, in sintonia con i desideri dell’amico Putin.
L’obiettivo concreto, del tutto riuscito, ha coinciso con una mossa di politica interna: mettere con le spalle al muro la rivale Meloni, inchiodandola alla sua passata retorica anti-europea per spingerla verso una rinnovata delegittimazione. Così il destra-centro dimostra di trovare la sua unità, ma al prezzo di radicalizzarsi. Chi nel settembre ‘22 ha votato Fratelli d’Italia nella speranza di favorire la nascita di un moderno partito conservatore, oggi assiste al ritorno del “salvinismo”, peraltro con una peculiarità: la Lega non è più al 34 per cento nel Paese, come nel ‘19, ma appena sotto il 10. Una bella differenza, eppure è sufficiente per mettere in crisi laleadership meloniana. Di cui resta l’atlantismo, la difesa tutt’altro che ambigua dell’Ucraina e, almeno finora, delle ragioni di Israele nella tragedia mediorientale. Ma tutto il resto naufraga nei giochi tattici interni e si risolve in una forma di immobilismo.
Lo stesso immobilismo di cui dà prova la sinistra in modo quasi simmetrico. Sul Mes il Pd è favorevole in Parlamento, il partito di Conte contrario. Così da confermare che, a parti rovesciate, l’Italia non saprebbe dimostrarsi un partner affidabile, al pari della destra. Risultato: la tendenza alla paralisi si ripropone anche nella seconda coalizione, percorsa dagli stessi vizi. Un’opposizione che troppo spesso si affida agli slogan per coprire la carenza di una visione, cioè di un’idea dell’Italia, come si sarebbe detto un tempo. Al momento è certo solo che un eventuale ricambio al governo – di cui comunque non si vede alcun segnale attraverso i sondaggi – si risolverebbe con la sostituzione di un gruppo di potere a un altro. Ma l’immobilismo sarebbe ancora il filo conduttore dello psicodramma nazionale. Se Giorgia Meloni sembra aver esaurito la carica dinamica su cui aveva costruito la sua immagine, Elly Schlein è lontana dall’aver imposto la sua guida all’intesa di centrosinistra. Il prossimo futuro vede la radicalizzazione reciproca delle due coalizioni.
PS. È necessario correggere due errori apparsi negli ultimi giorni in questa rubrica. Primo, l’Ungheria non è mai stata interessata alla ratifica del Mes in quanto la nazione di Orbán non adotta l’euro. Secondo, non è esatto che Prodi non fosse membro del Parlamento nel corso della sua lunga esperienza politica. Mi scuso con l’ex premier e i lettori.
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