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 2023  dicembre 26 Martedì calendario

La crisi cronica del governo Scholz

BERLINO – Il governo Scholz è piombato di nuovo nel caos. E i sondaggi sono devastanti. Tre quarti della Germania è insoddisfatta dell’operato del cancelliere. È il peggior risultato di sempre. Numeri che innervosiscono da tempo i partner di governo e l’opposizione. Nei liberali della Fdp, che oscillano intorno alla soglia di sbarramento del 5% e rischiano di finire fuori dal Parlamento, sono partite raccolte di firme per farla finita con la scomoda coabitazione a tre con verdi e socialdemocratici. E il regalo di Natale della Cdu/Csu – l’opposizione del centrodestra popolare – è stata l’ennesima richiesta di un voto anticipato.
Eppure, è difficile che questa perenne emergenza politica nel governo “semaforo” che ha contribuito a far crescere esponenzialmente l’ultradestra di Afd sfoci in una classica crisi di governo. In Germania l’asticella è alta: la regola della sfiducia costruttiva vuole che si abbia una maggioranza alternativa pronta per cambiare un governo in corsa. E il più grande partito d’opposizione, la Cdu, non ha alcun interesse a prestarsi a un’operazione del genere.
Altro discorso, però, è Olaf Scholz. Apparentemente, la Spd continua a sostenerlo: lo ha blindato al recente congresso anche isolando qualche “ribelle” come Michael Roth. Ma qualcuno comincia a temere – o ad augurarsi – che un’altra tegola possa travolgere l’attuale esecutivo, costringendo l’impopolarissimo cancelliere al passo indietro. Tanto che in un’ala dei socialdemocratici si mormora già il nome di chi potrebbe sostituirlo senza provocare troppi terremoti all’esecutivo e alla Spd. Anzi, attirando sicuramente più simpatie dei tedeschi di quelle che si percepiscono oggi alla Willy-Brandt-Haus. A porte chiuse sta circolando un nome che potrebbe sostituirlo, nel caso che uno scandalo butti giù il cancelliere: è quello del ministro della Difesa, Boris Pistorius. In tutti i sondaggi, è il politico più popolare in Germania dopo il presidente della Repubblica Steinmeier.
Ma perché qualcuno comincia a paventare il rischio che il cancelliere si debba dimettere? Semplice, perché al Bundestag cominciano a girare brutte voci. Per Scholz, sostengono, il pericolo non viene dalla crisi perenne della sua maggioranza o dall’opposizione o dall’estrema destra in crescita. Non viene da Berlino. Viene da Mosca, da una “spia che venne dal freddo” e che al freddo è tornata. Due fonti parlamentari tedesche sussurrano a microfoni spenti che l’unico nome che il cancelliere socialdemocratico debba temere è quello di Jan Masalek, l’ex enfant prodige della finanza tedesca tramutatosi improvvisamente nel corresponsabile del più grave scandalo finanziario della storia: Wirecard.
È importante ricordare questa totale debacle del “sistema Germania”, anche a sommi capi. Il bubbone scoppia nel 2020, quando emerge che Wirecard, la ‘paypal tedesca’, diventata in dieci anni da oscuro metodo di pagamento per siti porno a fintech più coccolata dalla Germania – in Borsa finisce persino per valere più dei colossi del credito tedesco – ha fatto sparire due miliardi di euro in Asia. Il responsabile degli affari di Wirecard in quella parte di mondo è proprio Jan Marsalek. Che nei giorni del crac sparisce, inghiottito nel nulla. In quelle ore, l’ennesimo bubbone che scoppia nel mondo della finanza tedesca imbarazza molto il governo Merkel.

Tutti i controlli hanno fallito. Anzi, quando il Financial Times ha cominciato a fare i primi scoop sui fondi spariti in Asia, l’autorità per le banche Bafin (di cui è responsabile il ministero delle Finanze, ai tempi retto da Scholz in un esecutivo di coalizione con la Cdu), il governo Merkel e parecchi giornalisti finanziari tedeschi si sono schierati come una falange a difesa dell’azienda di Masalek. E negli “anni d’oro” di Wirecard, la cancelliera aveva già fatto lobbying per Wirecard persino con i cinesi, chiedendo a Pechino di aprire il mercato alla fintech made in Germany. Un consigliere di Scholz che lo ha seguito anche alla cancelleria, Joerg Kukies, aveva persino esercitato pressioni su una banca per ottenere l’allungamento di un prestito per Wirecard.
Finora il ministero delle Finanze ha respinto ogni richiesta di rendere pubblici gli incontri tra i vertici di Wirecard, Scholz e i suoi uomini. Ma man mano che vanno avanti a Monaco i processi legati a quello scandalo e che emergono dettagli sempre più inquietanti su Marsalek, sta diventando anche più urgente che sui rapporti tra Scholz e personaggi come l’ex direttore top manager austriaco sia fatta piena chiarezza. Il punto è che nel 2020 Masalek, qualche settimana dopo la misteriosa sparizione in Germania, riemerge a Mosca, secondo alcune indiscrezioni giornalistiche. Nel frattempo è ricercato dall’Interpol, ma secondo varie inchieste sarebbe sotto l’ala protettiva dei servizi segreti Fsb. Un tribunale di Londra che indaga su cinque spie bulgare al soldo del Cremlino gli assegna nei mesi successivi persino un ruolo importante, nell’intelligence russa. E il Wall Street Journal scrive poco prima di Natale che Masalek è stato una spia russa per addirittura dieci anni – tutti quelli in cui era top manager di Wirecard. Anni che avrebbe impiegato anche per riciclare denaro per conto di Mosca. In realtà, già nel 2020 sono trapelate testimonianze dall’interno dell’azienda che raccontano di come Marsalek non facesse mistero dei suoi rapporti con i servizi segreti russi e che si fosse persino vantato di potersi procurare il Novichok, il potente veleno con cui è stato avvelenato ad esempio Aleksej Navalny.

Adesso Marsalek, sempre secondo i giornali americani, continua a lavorare al servizio di Putin. E in ruolo importante: dopo la morte di Prigozhin, l’austriaco starebbe riorganizzando i miliziani di Wagner da Dubai. E il fatto che l’ex top manager di Wirecard sia sospettato di essere una spia del Fsb è una spada di Damocle. Il cancelliere rischierebbe grosso, se qualche fatto o testimonianza al processo lo associasse a un uomo che potrebbe essersi macchiato di alto tradimento. Lo ha spiegato bene uno che continua a seguire da vicino il processo a Monaco su Wirecard ed era nella commissione d’inchiesta parlamentare. L’ex deputato della Linke Fabio de Masi non ha paura di accendere il microfono, quando parla di Wirecard: “con le cose che sa”, ha detto di recente, “Marsalek è un fattore di rischio per la Germania”. E soprattutto per Scholz. Mentre è una risorsa inestimabile per Putin. De Masi è addirittura convinto che “grazie a Wirecard, Putin ha in mano il governo”.