Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  dicembre 25 Lunedì calendario

L'IMPORTANZA DI CHIAMARSI ELVIS - L'IMPATTO DI ELVIS PRESLEY SU MUSICA, FILM E CULTURA È INCALCOLABILE E TRASCENDE IL RUOLO DI ARTISTA - LA SUA STORIA ERA UN MELODRAMMA AMERICANO CHE DEFINI' ORIZZONTI PIU' VASTI: IDEOLOGIA, SOCIETA', PAESE - UN PERSONAGGIO SHAKESPEARIANO: TIMIDO, VULNERABILE, PROFONDAMENTE EMPATICO - CON LUI NACQUE IL CULTO DELLA PERSONALITA' NELL'ARTE - IL SUO RAPPORTO CON IL GOSPEL - VIDEO -

Nessuno ci riesce meglio di Baz Luhrmann. A combinare suoni e immagini. Le sincronizza, le sposa, le fa diventare grandiose[...]. Il primo piano di un uomo. Zoom. Lo spazio che va dall'ombelico al muscolo sartorio. Indossa un completo fucsia, ma quando agita il bacino (the pelvis) è più provocante della nudità. L'insofferenza pubica che ballonzola sotto il tessuto leggero scatena l'isteria; la musica, la voce, la bellezza radiosa, il ciuffo e le sovraesposizioni di Luhrmann fanno il resto.

L'immagine si allarga, delirio in sala, Baby Let' s Play House è travolgente, il volume assordante, l'entusiasmo incontenibile - è rock' n'roll, pozione che stordisce, esalta le percezioni, scatena i sensi, scuote le membra (il demonio gli ha già messo gli occhi addosso, dietro le quinte si frega le mani; è Tom Parker, si fa chiamare Il Colonnello: «Farò di quel ragazzo un supereroe!»).

Prima della beatlemania, prima di Jagger, prima di Woodstock, prima del glam, prima del punk - prima di tutto, c'era Elvis. [...] Il regista australiano è stato più audace, e anche più fortunato: nel giovane Austin Butler ha trovato volto, voce e sex appeal per il suo protagonista; nel veterano Tom Hanks, l'interprete perfetto per il manager squalo (Il Colonnello), non esattamente a proprio agio nella sfera dell'arte ma abilissimo a manipolarla (a costo di manipolare l'artista) e tradurla in soldoni. [...]

Baz Luhrmann [...] confida che il suo flirt con Elvis Presley (1935-1977) cominciò ben prima che la regìa diventasse mestiere, quando il cinema era passione adolescenziale.

«Ricordo esattamente dov' ero quando Elvis morì: seduto nell'ultima fila dello scuolabus», racconta visibilmente infervorato e appagato. «Eravamo rimasti in due a bordo. Abbastanza inspiegabilmente provai un profondo senso di delusione: dunque non lo avrei mai incontrato di persona!? In quel momento fu come se ci fosse un misterioso legame tra Elvis e quel quattordicenne della sperduta provincia australiana (Herons Creek, Nuovo Galles del Sud). Che divenne più forte quando al cinema del paese cominciarono a proiettare un film di Elvis ogni sabato sera. Recentemente ho avuto un flashback: 1972, l'anno in cui uscì Burning Love.

A scuola avevano organizzato una gara di ballo, indossavo una T-shirt con il numero sulla schiena. Andai dal dj e chiesi quella canzone. E con il mio jive vinsi la gara! Più avanti, negli anni Settanta, cominciai ad avere altri miti: David Bowie, Elton John... Tuttavia, recentemente, mia moglie (la scenografa Catherine Martin, ndr), mi ha ricordato che non smettevo di ripetere: "Elvis è un ottimo modo per esplorare l'America: il buono e il cattivo degli Usa che s' intrecciano nella cultura pop". [...] un personaggio shakespeariano che definisce orizzonti più vasti: ideologia, società, paese».

IL CULTO DELLA PERSONALITÀ Il film ne racconta la vita dalla nascita alla morte, incernierato su tre avvenimenti cruciali: il ribelle arrestato, nel 1956, in piena elvismania, per un alterco avvenuto davanti a un distributore di benzina assediato dai fan (dopo pochi mesi avrebbe girato e inciso Jailhouse Rock); l'exploit hollywoodiano, quando cominciò a vivere dentro una bolla; il trionfale comeback televisivo del 1969, poi tradito dal malinconico entertainer intrappolato all'International Hotel di Las Vegas.

 «[...] Il mio Elvis è un melodramma americano», aggiunge il regista[...] «In effetti Elvis è il narratore che esprime due aspetti fondamentali dell'America di tre decenni: 1) l'incontro/scontro razziale 2) il culto della personalità, che nell'arte può diventare più grande della creatività, e divorarla. Il rapporto Elvis/Parker corrisponde esattamente alla mia visione del Paese».

[...]

[...]

[...] «In uno dei miei viaggi a Tupelo, scoprii che i Presley occupavano una delle poche case riservate ai bianchi nella zona prevalentemente abitata dagli afroamericani. La sua storia assomiglia tremendamente a quella di Eminem, anche lui cresciuto in un ambiente di neri (8 Mile, a Detroit, come racconta il biopic di Curtis Hanson), c'è una evidente similitudine tra i due. Ho voluto sottolineare anche quanto stretto fosse il rapporto di Elvis con il gospel: da bambino era l'unico bianco nella chiesa battista, da adulto avrebbe incontrato Mahalia Jackson. Ma stava superando la linea rossa. E fu in quel momento che Il Colonnello cominciò a tramare per de-afroamericanizzarlo».

Il pretesto fu il servizio di leva, due anni in Germania. «Non fu certo Parker a indurlo ad arruolarsi, era un obbligo e un dovere, ma certo non fece niente per evitarlo: sarebbe stato molto facile per una celebrity, ci era riuscito anche Sinatra in anni ben più critici (nel '43 The Voice fu esonerato dalla leva per una presunta perforazione del timpano!).

[...] [...]

DAL DECLINO ALLA SANTITÀ I nostri ricordi delle visite a Tupelo-Memphis-Graceland-Hollywood-Vegas s' intrecciano (Luhrmann per i necessari e ripetuti sopralluoghi, io per i tre reportage pubblicati su Repubblica, nel 1997, 2002 e 2007 in occasione delle varie ricorrenze): le testimonianze dei sopravvissuti della Memphis Mafia (il cerchio magico dei fedelissimi del Re) e l'incontro che entrambi abbiamo avuto, in tempi diversi, con Sam Bell, un afroamericano morto a 85 anni nel 2021, compagno d'infanzia di Elvis; insieme frequentavano la Gospel Tent, circhi itineranti con i più famosi predicatori e vocalist dell'epoca.

«Sam mi raccontò che Elvis si faceva attraversare dal gospel, imitava quei performer usando una scopa come microfono: ogni particolare, dai movimenti all'intonazione». [...] «Era un uomo dalla profonda spiritualità, è rimasto fedele al gospel fino alla morte, era il suo rifugio, l'unico luogo in cui si sentisse al sicuro. Dopo tre recite quotidiane a Vegas, aveva ancora voglia di cantare How Great Thou Art in camera, per gli amici. Timido, vulnerabile, profondamente empatico, con delle cadute tremende. Sì, il suo fascino sta anche nel declino».

[...] [...] «C'è qualcosa di sublime in Elvis: una deificazione del personaggio che neanche il ridicolo e la tragedia sono riusciti a scalfire», ammette Luhrmann.

«È intoccabile, inalterabile, invulnerabile, come il protagonista di un videogioco, come Marilyn Monroe - fa parte della tappezzeria della nostra memoria. Non voglio sembrare blasfemo, ma per me è il ragazzo in croce, non ho altre parole per esprimere quanto sia potente la sua immagine. Ho conosciuto Michael Jackson e ho incontrato Prince un paio di volte: usavano il palcoscenico per colmare il loro smisurato bisogno d'amore, e nel privato, come Elvis, usavano medicinali che gli sarebbero stati fatali.

[...]

L'OSSESSIONE DEL CINEMA Che ne sarebbe stato di Elvis se la sua vita non si fosse incrociata con quella del Colonnello? In musica, un artista migliore senza tutta questa gloria? E al cinema? Un nuovo James Dean? «Era la sua ossessione», conclude Luhrmann. «C'è una scena, alla fine del film, in cui dice alla moglie: "Capisci Priscilla, ho quasi quarant' anni e nessuno si ricorderà di me, non ho fatto niente d'importante: non ho girato un solo film di cui vada fiero" - la sua più grande amarezza.

Sapeva chi c'era dietro il fallimento: Il Colonnello, che usava quei filmetti che non lo impegnavano troppo come spot pubblicitari per vendere dischi. Elvis desiderava disperatamente recitare in un ruolo drammatico, e ne avrebbe avuto le capacità - in King Creole (La via del male) è un ottimo attore. Sinatra ne era geloso, perché aveva le qualità e le possibilità che lui aveva perso con l'avvento del rock' n'roll.

Quando il teen idol era lui, nell'immediato Dopoguerra, i ragazzi non avevano molti soldi da spendere, si accontentavano di ascoltare le canzoni alla radio. Elvis si trovò catapultato in una realtà che non aveva precedenti nel panorama giovanile, senza punti di riferimento. Come ha detto Paul McCartney: "Ci odiavamo, ma quando arrivarono i Beatles lui era già saldo sul trono"».