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 2023  dicembre 24 Domenica calendario

Il giro del mondo in 80 stadi

L’altra partita, l’altro calcio, l’altra vita si giocano fra le vette più alte al mondo, ravvivano distese di sabbia o colorano colate di ghiaccio. Il giornalista francese Vladimir Crescenzo ha compiuto un eccentrico e strabiliante giro del mondo in 80 stadi, perlopiù sconosciuti ai nostri occhi e ai nostri passi di tifosi mainstream. Conosciamo il Santiago Bernabeu di Madrid o la Johan Cruijff Arena di Amsterdam come il giardino di casa ma ci sono altre partite, un altro calcio, altri stadi. Come trovarli fra i milioni di campi esistenti al mondo? Crescenzo risponde con una domanda: «quale miglior modo di celebrare l’estetica di un impianto, se non tener conto dell’ambiente in cui è inserito?».
Così passiamo dalla copertura a conchiglia che si apre nella foresta di grattacieli di Hong Kong al campo galleggiante di Koh Panyee in Thailandia, dal Meshchersky Park della foresta siberiana al campo di una township di Windhoek, capitale della Namibia. Un rettangolo di terra battuta segnato solo da quattro linee e dalle aree di rigore. Una vera cattedrale nel deserto. Niente più, eppure di una potenza iconica che vale il tutto esaurito all’Etihad Stadium di Manchester. Anche quel campo tracciato fra le baracche e la miseria nasce l’8 dicembre 1863, quando, alla Freemasons’ Tavern di Londra, un gruppo di appassionati guidati dall’avvocato Ebenezer Cobb Morley, primo segretario della Football Association, stila le tredici regole del calcio. Regola nr. 1: «La lunghezza e la larghezza massima del campo sono rispettivamente di 200 e 100 yard (183 e 91,5 metri) e devono essere delimitate da bandierine; la porta è delimitata da due pali verticali, distanti 8 yard (7,3 metri), senza alcun nastro o barra sopra di essi». Chissà se quei pionieri avrebbero mai pensato di arrivare così lontano, di diventare così ubiqui.
Il viaggio di Crescenzo a caccia degli impianti più scenografici è stato lungo. Quando l’idea è nata da un confronto con Tristan Duchet, patron della casa editrice francese Éditions du Chemin des Crêtes, ha contattato fotografi ai quattro angoli del mondo e si è messo in viaggio. La bellezza di certi impianti è struggente, essenziale, purissima. L’ambiente intorno – foreste, deserti, vette infinite, distese di ghiaccio – è una corona che esalta il rettangolo di gioco ma la ricerca dell’autore è andata oltre, innerva sport e storia: «Quest’opera è nata anche per dimostrare che l’anima e la singolarità di uno stadio, tanto nel calcio professionistico che amatoriale, sono commisurate a ciò che vi si racconta, alla storia che vi si scrive. E di ciò che ci svela della cultura locale, non solo calcistica». Così, il più democratico degli sport – basta una palla, una porta e una maglia qualsiasi, anche una busta di plastica come aveva fatto quel bimbo iracheno per imitare Messi – si fa storia, sociologia, umanità, lontana dai milioni di Erling Haaland o Jude Bellingham. Si fa cioè vita di tutti, a ogni latitudine, per ricchi e poveri, in pace e in guerra, e Crescenzo racconta impianti sportivi ma soprattutto uomini e donne, la libertà e il sogno.
Dopo sette giorni di ascensione verso i 5.756 metri del cratere vulcanico del Kilimangiaro, trenta atlete di venti nazionalità diverse giocano la partita di calcio più alta del pianeta: «Scaliamo le montagne ogni giorno, solo per avere diritto a giocare a calcio, perché non scalarne una gigantesca e avere un grande impatto?», si chiede Laura Youngson, dell’Ong Equal Playing Field per la parità di accesso delle ragazze al calcio. All’Estadio San Carlos de Apoquindo di Las Condes, sobborgo di Santiago del Cile, ai piedi delle Ande, va in scena la lotta di un popolo attraverso le parole del calciatore Gary Medel: «Rappresentiamo un intero Paese. Ci sono altre priorità che superano il calcio: l’obiettivo più importante è l’uguaglianza e il desiderio di cambiare il Cile per vivere in un Paese più giusto». Dall’America del Sud all’Europa per un tuffo nella luce diafana del circolo polare. Henningsvær è un villaggio da 500 abitanti alle Lofoten, dove ragazzi e ragazze giocano sempre insieme, altrimenti come potrebbero costruire due squadre, con tanto di riserve. Il rettangolo verde, pur perso fra i ghiacci, non congela mai grazie all’aria salmastra, fa da essiccatoio per lo stoccafisso e, da quel puntino lontano, si è alzata la voce di Ada Hegerberg, biondissima dall’opportunismo sfacciato in area di rigore e prima donna a vincere il Pallone d’Oro nel 2018. Chiedeva equal pay per calciatori e calciatrici.
Gli impianti di questo giro del mondo, dalla Nuova Zelanda alla Somalia, dall’Uruguay alla Cina, dal Nepal alla Groenlandia, sono cartoline infinite, hanno visto scendere in campo atleti, diritti, rivendicazioni e libertà, ribadendo quanto “vuoti” possano essere certi nostri stadi, anche se così li vuole lo show business: luminarie, connessione ovunque, musica a palla, pubblicità fino all’ultimo centimetro quadrato libero, e morti innocenti, come accaduto per la costruzione degli impianti in Qatar.
Ma il calcio con i suoi stadi sa dribblare gli uomini. Il mare li porta lontano e arrivano fino alle falesie delle isole Faroe o in quell’ansa del fiume Riachuelo, quasi un cuore dove si trova l’Estadio Saturnino Moure. Certo, a Buenos Aires, la concorrenza è serrata, in città giocano quindici squadre ma la poesia ha la sua parte. Come al Pago Park Soccer Stadium, sulle Isole Samoa Americane, 45mila abitanti e 5mila chilometri a est di Sydney. Anni fa, su quel tappeto verdissimo incastonato fra diamanti di foresta rigogliosa, l’Australia vinse 31-0. Poco male, agli sconfitti, le Isole Samoa, resta la consolazione che certe partite sono effimere come i sogni.
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Vladimir Crescenzo
Il giro del mondo in 80 stadi
Meltemi, pagg. 192, € 30