Domenicale, 24 dicembre 2023
Storia di un antico testo tagliato
Se ne potrebbe fare il tema di un inedito, e curiosissimo, gioco internazionale, coinvolgendo tutte le maggiori biblioteche europee e nordamericane in una ricerca dagli esiti finalmente dirimenti. Tutti a tirar giù, ognuno dal proprio scaffale, l’esemplare delle Storie fiorentine di Bernardo Segni (1504-1558), nella prima edizione a stampa. Quella di Augusta 1723, ufficialmente «Appresso David Raimondo Mertz, e Gio. Jacopo Majer», ma è noto che si tratta di un’indicazione falsa. Un bel soffio deciso a liberare dalla polvere il taglio superiore, e poi a colpo sicuro su pagina 304. Quella incriminata.
Esattamente come consigliavano di fare, già due secoli fa, i manuali per bibliofili e collezionisti: «Convien osservare che gli esemplari non abbiano alcuna lacuna alla facciata 304», raccomandava Bartolommeo Gamba, mentre Domenico Moreni aveva già allertato tutti nel 1805: «In questa magnifica edizione èvvi una laguna a pag. 304 lasciatavi a bella posta». E, infatti, nella maggior parte degli esemplari che si squadernerebbero in questo caso di cooperazione (erudita) internazionale, si troverebbe, in esatta corrispondenza del luogo indicato, una bizzarra anomalia. Il testo si interrompe bruscamente alla linea diciassette, lasciando a mezzo non solo la riga, ma anche la frase principale: «Pierluigi suo figliuolo, ancorché di alcune buone parti d’ingegno fosse dotato, pareva che recasse…». A seguire sedici linee di scrittura vuote, intervallate da qualche punto – con un effetto che non dispiacerebbe a Emilio Isgrò – e poi la narrazione riprende a correre senza intoppi, fatta eccezione per un’altra riga, in cui i caratteri sono stati rimossi dalla forma di stampa, per lasciare un altro vuoto testuale. Molto più breve, ma pur sempre evidentissimo.
Il fatto è che censurare un testo non è operazione così facile come si vorrebbe, soprattutto se ne è in corso la stampa. Eliminarne un passaggio comporta ricominciare daccapo nella disposizione dei singoli caratteri e degli spazi, e non solo della pagina incriminata, ma anche di tutte le successive, che magari erano già state composte e tirate, e attendevano in fascicoli ben ripiegati di essere unite a quelle precedenti. Intervenire previamente è un conto, ma farlo quando già diversi fascicoli sono stampati e le forme delle pagine sono già composte, è un’operazione disperante, oltre che costosissima. Meglio prendere di peso le linee problematiche e asportarle dalla forma, mettendo al loro posto dei “vuoti”.
Fu esattamente questo che ordinò di fare l’ideatore e il finanziatore della stampa delle Storie fiorentine di Segni, il cavalier Francesco Settimani, esule fiorentino in Germania, amante della propria tradizione letteraria e fautore della pubblicazione e diffusione delle principali opere storiografiche della sua amata città. Appena un anno prima aveva fatto stampare la Storia fiorentina di Messer Bendetto Varchi, ufficialmente «In Colonia, appresso Pietro Martello», in realtà ad Augsburg presso Paolo Kuhzio. Quella prima volta, a parte lo stratagemma consolidatissimo di utilizzare un luogo di stampa e il nome di uno stampatore falsi, tutto era andato liscio: questa volta invece era scoppiato il caso diplomatico. A pag. 304, infatti, come annunciava già la titolazione a margine (anch’essa eliminata), cadeva la narrazione, fatta da Segni delle «Dissolutezze di Pierluigi Farnese». Ossia il racconto dettagliato, nero su bianco, di quello che fu il caso forse più osceno del pontificato di Paolo III, commesso non dal papa in persona, ma da quel figlio scellerato e degenere, per il quale mise a repentaglio testardissimamente anche l’equilibrio politico della Penisola. Mi riferisco alla violenza fisica perpetrata da Pierluigi e dai suoi scherani contro il giovane, colto e virtuoso vescovo di Fano, Cosimo Gheri, che ne sarebbe morto di inedia qualche giorno più tardi. Fatto inaudito e gravissimo, ma passato da due secoli, se non che a Parma regnavano ancora i Farnese e il duca, informato della pubblicazione delle Storie fiorentine, intervenne per bloccarla o farne sparire le copie. Settimani, preso alle strette, diede allora ordine al proto di eliminare dalla forma di pagina 304 le righe incriminate, e salvare così la pubblicazione dell’opera.
E tuttavia, l’intervento di Francesco Farnese non impedì che qualche esemplare – subito divenuto raro e ricercatissimo – venisse tirato in maniera completa con la titolazione a margine, il racconto dell’“oltraggio di Fano” e quella riga solitaria giù in fondo alla pagina, che nei volumi a testo pieno recita: «E so bene che le cose vituperose raccontate di Pierluigi imbrattano la Storia, ma non ho voluto tacerle a confusione de’ Grandi, i quali sappiano d’essere sottoposti, se non alle leggi umane, almeno alla fama degli uomini, perché si guardino da vizzj straordinarj, e che trapassano il segno». Fiero emulo del suo idolo letterario anche Settimani non si diede per vinto e, cambiata città, fece tirare un foglietto delle dimensioni esatte delle due lacune di pagina 304, sul quale col medesimo carattere tipografico erano stampati il resoconto del turpe eccesso di Pier Luigi Farnese e la riga del giudizio finale, da acquistare separatamente, ritagliare e applicare con la colla al proprio esemplare. È lui stesso a raccontarlo in una nota inedita, appena rinvenuta, che coincide perfettamente con lo stato attuale delle copie note dell’opera. O almeno di quelle visonate fino ad ora.
A questo punto, infatti, andrebbe lanciato il gioco e chiesto riscontro a biblioteche e collezionisti. In Vaticana, delle otto copie complessive, quattro presentano la lacuna, una è completa, una ha il foglio volante ben incollato, una solo fissato su un lato, e nell’ultima gli ammanchi sono risarciti a mano. Con buona pace di chi pensa che gli esemplari di una stessa edizione siano tutti uguali, che sia sufficiente possederne uno e che ulteriori esemplari possano essere veduti, venduti o barattati.