Domenicale, 24 dicembre 2023
I soldi di Pinocchio
L’ internal rate of return (irr) o tasso di rendimento interno è un tasso di attualizzazione utilizzato per valutare la convenienza delle attività finanziarie. Gli operatori di private equity ne fanno largo uso per decidere se effettuare un investimento. Al di là della formula matematica (il metodo di calcolo è iterativo), il risultato dipende dal ritorno sul denaro investito e dal tempo trascorso. Nel capitolo 11, Pinocchio riceve in regalo da Mangiafuoco cinque monete d’oro per portarle a Geppetto. Il Gatto e la Volpe, incontrati per via, gli propongono però uno straordinario investimento. Dice la Volpe: «Vuoi raddoppiare le tue monete d’oro?» «Cioè?» «Vuoi tu di cinque miserabili zecchini, farne cento, mille, duemila?» (...)
L’idea che sia la terra a generare ricchezza aveva avuto una certa diffusione a partire dagli anni Settanta del Settecento. Se più tardi Margaret Mitchell faceva dire a Rossella O’Hara: «La terra rossa di Tara. L’unica cosa che duri» (Margaret Mitchell, Gone with the Wind, The Macmillan Company, 1936. In italiano Via col vento, traduzione di Ada Salvatore ed Enrico Piceni, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, prima ed. 1937), nel XVIII secolo la dottrina fisiocratica secondo cui la vera fonte di ricchezza risiede nell’agricoltura per la capacità della terra di produrre beni (industria e commercio provvederebbero solo a trasformazione e distribuzione) ebbe notevole diffusione a partire dal lavoro del medico ed economista François Quesnay, Tableau économique (François Quesnay, Analyse de la formule arithmétique du table au économique de la distribution des dépenses annuelles d’une Nation agricole, in «Journal de l’Agriculture, du Commerce et des Finances», 2, 3, 1766, pp. 11-41; la prima edizione del 1758 non pare sopravvissuta). Sue peraltro sono le voci «Fittavolo» e «Grani», nell’Encyclopédie (Denis Diderot & Jean Le Rond d’Alembert, E ncyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers par une société de gens de lettres, Paris, Briasson, David, Le breton, Durand, 1751-1772).
L’investimento proposto dal Gatto e dalla Volpe ha però del miracoloso (non a caso gli zecchini vanno piantati nel Campo dei Miracoli). L’ipotesi formulata è di moltiplicare per 500 il capitale investito. Immaginando che il costo dell’acqua e del sale siano trascurabili, se la moltiplicazione per 500 avvenisse nell’arco di un anno, l’irr sarebbe del 49.900%. Posto che il ritorno dell’investimento è previsto per il giorno dopo (in realtà, il tempo trascorso dovrebbe andare da dopo la mezzanotte alla mattina e quindi la redditività sarebbe quasi il triplo), Excel non riesce nemmeno a calcolare l’irr perché è troppo alto. Se il raccolto fosse a un mese, già raggiungerebbe la stratosferica cifra del 6.000.607.399.260. 920.000.000.000.000.000.000 per cento. Facile dire che non si ha notizia di investimenti così remunerativi.
Diceva Friedman – come altri prima di lui – che «in natura non esiste nulla di simile a un pasto gratis» (Milton Friedman, There Is No Such Thing as a Free Lunch, Chicago, Open Court Publishing, 1975). Pinocchio avrebbe fatto bene ad ascoltare l’ombra del Grillo Parlante: «Non ti fidare di quelli che promettono di farti ricco dalla mattina alla sera. Per il solito sono matti o imbroglioni» (cap. 13).
A proposito di questi ultimi, i rendimenti promessi da Bernie Madoff, pur allettanti, non avevano nulla a che vedere con quelli vagheggiati per Pinocchio. Eppure, Madoff, garantendo interessi fissi del 10% all’anno, è riuscito a scavare un buco da 65 miliardi di dollari con il classico “schema Ponzi”.
Pinocchio esce negli anni Ottanta dell’Ottocento. È un mondo diverso. Un’Italia a cavallo dell’Unità in cui l’attività prevalente è l’agricoltura, gran parte della popolazione è analfabeta e il livello di povertà elevatissimo. Mangiafuoco chiede a Pinocchio. «Che mestiere fa tuo padre?» «Il povero». «Guadagna molto?» «Guadagna tanto quanto ci vuole per non avere mai un centesimo in tasca» (cap. 12).
Nelle Avventure di Pinocchio le note economiche sono scarne e gli scambi sono spesso basati sul baratto. Di denaro si parla poche volte. La prima è quando al capitolo 8 Geppetto vende la casacca per comprare un abbecedario. Non sappiamo quale sia il prezzo, ma l’abbecedario viene svenduto per quattro soldi (espressione proverbiale) a un rivenditore di panni usati (cap. 9). Le vicende sono ambientate all’epoca del granducato di Toscana, dove gli zecchini d’oro (regalo di Mangiafuoco) circolavano insieme ai soldi o “quattrini” (moneta di minimo prezzo, così detta dal valore di quattro denari, o “piccioli”).
Una transazione “di mercato” si incontra nel capitolo 13. All’osteria del Gambero Rosso, Pinocchio paga uno zecchino per l’alloggio e per la cena (e che cena!). La cifra non è piccola perché uno zecchino o fiorino d’oro valeva 20 paoli, cioè 13,33 lire toscane che equivalevano anche a 8 fiorini (il sistema monetario toscano era basato sul sistema duodecimale di derivazione romana ed etrusca). Al momento dell’Unità italiana la moneta di conto base del granducato era la lira toscana o fiorentina, equivalente a 84 centesimi di lira italiana del tempo. Una lira era costituita da 20 soldi toscani, equivalenti a 1,50 paoli o 0,60 fiorini (0,84 lire italiane). Un fiorino toscano valeva 100 quattrini o 2,5 paoli, cioè 1,66 lire (1,40 lire italiane). Un soldo corrispondeva a 3 quattrini o 12 denari o 0,075 paoli, quindi 0,05 lire o 0,03 fiorini; 1 quattrino a 4 denari o 0,025 paoli o 0,0155 lire, e cioè 0,01 fiorini. Calcolando che l’abbecedario viene venduto per 4 soldi e che a Pinocchio ne offrono 4 per tirare i carretti di carbone o 5 per portare la calce (cap. 24) la cena (e il pernottamento) costano più di 8 abbecedari o di 6 giornate di lavoro.
Peraltro, nel dicembre 1882 Lorenzini cede al fiorentino Felice Paggi, suo primo editore, i diritti su Pinocchio per 500 lire (italiane), destinate a raddoppiare nei tre anni successivi (Cristina Taglietti, C’era una volta un burattino che valeva mille lire, in «La Lettura», 1° ottobre 2023). Al di là della svalutazione di quegli anni, 500 lire italiane corrispondono a 568 lire toscane ovvero a 42,6 zecchini.
Chissà cosa ne avrebbe detto Collodi se avesse saputo che una singola copia del libro sarebbe stata venduta quest’anno a € 21.420 (martello € 17.000) da Pandolfini. Altra copia realizza € 30.240 da Sotheby’s nell’ottobre 2022. E dire che la copia Sotheby’s, pur completa delle quattro pagine di avvertimenti editoriali in fine, non aveva le famose brossure! Copie note in brossura passate in asta sono quella aggiudicata a € 40.000 da Minerva Auction nel 2012 e quella di Gonnelli aggiudicata a € 21.250 nel 2019 (la lista dei risultati di Rare Book Hub annovera 19 passaggi in asta di cui 15 dal 2009).
Pinocchio è stato anche utilizzato in termini metaforici per apologhi economici. Margherita Testa in Il denaro di Pinocchio e il nostro. Il Sussidiario di economia per insegnanti coraggiosi ed alunni curiosi, Bra, Litografia Comunicazione, 2016) usa la storia per motivare la lettura e contribuire all’alfabetizzazione finanziaria del Paese.
Lascio ad altri più preparati le riflessioni sulle fonti di Collodi e sulla sua conoscenza della letteratura filosofico-economica (all’epoca la distinzione era ancora labile), ma è difficile non notare un riferimento tra l’isola delle Api industriose (cap. 24) e la Favola delle api di Mandeville (Bernard Mandeville, The Fable of the Bees: or, Private Vices, Publick Benefits, London, J. Roberts, 1714). Se la fisiocrazia ebbe influenza durante gli anni Settanta del Settecento e l’idea di Quesnay di libero mercato per cui il surplus (o prodotto netto) è destinato a essere investito nuovamente nell’agricoltura ispirò Adam Smith, lo stesso Smith insieme a David Ricardo rifiutò la visione fisiocratica dell’agricoltura a favore di una visione del valore basato sul lavoro (Adam Smith, An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations, London, W. Strahan; T. Cadell, 1795; David Ricardo, On the Principles of Political Economy and Taxation, London, Murray, 1821). La stessa che si ritrova nel libro di Collodi, come ricorda il Pappagallo: «Sì, parlo di te, povero Pinocchio, di te che sei così dolce di sale, da credere che i denari si possano seminare e raccogliere nei campi, come si seminano i fagioli e le zucche. Anch’io l’ho creduto una volta, e oggi ne porto le pene. Oggi (ma troppo tardi!) mi son dovuto persuadere che per mettere insieme onestamente pochi soldi, bisogna saperseli guadagnare o col lavoro delle proprie mani o con l’ingegno della propria testa». (cap. 19)
Un’ultima chiosa. Il legno di cui è fatto Pinocchio non viene comprato. Mastro Geppetto se lo fa regalare da Mastro Antonio (cap. 2), a significare che le cose che davvero hanno valore non sono mai quelle che si comprano.