Robinson, 24 dicembre 2023
Intervista a Rocco Tanica
Si può essere rapiti dagli alieni e narrare dell’amore tra principesse e mugnai decapitati, passando dall’ermetismo al teatro riscrivendo in cento parole i grandi classici della letteratura italiana? Se in più di 40 anni hai buttato giù centinaia di scritti e «le migliori menti d’Italia, compresa la Lunigiana» li hanno selezionati, tutto è possibile. Specialmente se l’autore si chiama Sergio Conforti, o meglio Rocco Tanica, una vita sul palco con gli Elio e le storie tese e da sempre definito la risposta italiana alla domanda: «Come ti chiami?». A quindici anni dalla prima pubblicazione, Rocco Tanica ripropone in versione, come si suol dire riveduta e corretta, una raccolta che più che altro è un flash psichedelico, un concentrato di nonsense, quasi uno specchio deformante che ti porta continuamente dentro e fuori dalla realtà regalando spunti di comicità a volte irresistibile. «Questo libro era stata la mia prima “impresa letteraria” autonoma – spiega – Ho sempre amato i racconti, i saggi brevi, le poesie, forse perché non ho il respiro del romanziere e mi muovo bene sui brevi percorsi. Per questo avevo messo insieme una serie di scritti, persino i presunti articoli respinti daRolling Stonesnei quali immaginavo di essere uno di quei giornalisti che più che raccontare i musicisti desiderano accreditarsi come grandi amici degliintervistati. Del tipo, ogni volta che vado a casa di Tom Waits sua moglie mi prepara i miei biscotti preferiti…».Ho letto che rispetto alla prima edizione hai tolto le “d” eufoniche.Pare che tu abbia un’ossessione per le “d” eufoniche.«Guarda, me ne sono dimenticata una e non ci dormo la notte. Lo correggerò nella ristampa, nel frattempo vorrei andare a bruciare tutte le copie nelle librerie ma temo che il mio editore non sia d’accordo».Fai anche la parodia dei poeti ermetici, quelli che in pochi versi pensano di cambiare le sorti del mondo.«Sì, vero, come inComunismo eFascismo dove pretendo di risolvere questioni secolari in quattro righe.Diciamo che mi piace prendere e prendermi in giro facendo lo scemo, una cosa che mi riesce abbastanza bene da 40 anni, almeno».Certo che è difficile fare gli scemi quando scemi non si è affatto…«Ma sai, è molto difficile se hai ritegno, se sei preoccupato dalla figura che fai all’esterno. Se invece lasci andare la paura, come ci insegnano psicologi da cento euro all’ora, se non temi il giudizio degli altri e non sei ossessionato dalla perfezione, vivi meglio e ti diverti di più».Del resto è la filosofia di Elio e le storie tese. Apparentemente un gruppo da canzonette surreali, in realtà musicisti straordinari.«Sì maciniamo bene, ma sai cosa? Se devi uscire dai canoni, dalle regole, come abbiamo sempre fatto noi, è fondamentale che quei canoni tu li conosca. Non ho mai creduto molto a quei musicisti che dicono “io suono solo a istinto”. Ok, può dare buoni risultati, ma da solo non basta. Io citospesso uno dei dettami del Talmud ebraico che mi pare illuminante: “La regola rende liberi”. Che poi è una versione assai più elegante di impara l’arte e mettila da parte».Come nasce una canzone degli Elii?La sensazione è che sia quasi una sfida tra voi a trovare il verso più nonsense, la scala musicale più intricata.«Ma no, a volte è molto più semplice di quello che si pensi. Prendi Il circo discutibile.Ero in vacanza in Scozia con la mia fidanzata, venivo da uno dei miei periodi di depressione, prendevo dei farmaci e la notte non chiudevo occhio. Mi vengono in mente delle parole, non avevo carta e penna e ho cominciato a mandarmi compulsivamente sms nascondendo il telefono sotto il cuscino per non svegliare la mia compagna».Anche perché avrebbe potuto pensare a un’amante particolarmente insistente.«Appunto. Sarebbe stato complicatospiegarle che ero io a scrivermi, perché mi amo… Ma lo sai che Il circo discutibile,come Amore amorissimo,avevamo deciso di darla a Fiorello?Sembrava perfetta per lui. Poi non l’ha mai fatta, mentre ha cantato in tvAmore amorissimo. Tra l’altro raccontò in trasmissione che quel pezzo era un inedito di Modugno, ovviamente uno scherzo ma in tantissimi ci sono cascati. Anche la moglie di Modugno lo ha chiamato ringraziandolo perché si era emozionata: “Che bello, non conoscevo questo pezzo di Mimmo.Anche se, devo dire, che alcune parole non sembrano proprio il suo stile”. E voglio pure vedere, l’avevamo scritta noi…».Hai parlato di depressione.Improvvisamente nel 2013 decidi di non suonare più, di lasciare il gruppo.Avevi scoperto di non stare bene, di soffrire del male più subdolo. Cosa è successo?«Io ho sempre alternato periodi apparentemente sereni a momentidown. Subito dopo Sanremo, dove presentammo La canzone mononota,la mia sanità mentale cominciò a vacillare. Soffrivo di attacchi di panico, ogni volta che buttavo giù qualche nota l’ossessione della perfezione mi mandava ai matti, ritornavano ad affiorare dubbi antichi e una domanda di fondo: “Ma io mi sto divertendo ancora?”. Ero pieno di angoscia, pensavo spesso alla morte.Qualsiasi cosa, dalla serata in pubblico al solo andare a fare la spesa, mi metteva ansia. Volevo fermarmi, ma temevo che così avrei danneggiato il gruppo. Ho fatto alcune date in condizioni disastrose, sul palco dovevano portarmi in spalla. Poi sono crollato».Elio e gli altri erano a conoscenza del tuo disagio?«Penso che avessero capito qualcosa, ma io mi vergognavo a parlarne, come se non ufficializzando il problema venisse automaticamente rimosso. E invece in certi casi bisogna chiedere aiuto, non avere il tabù della malattia mentale che ancora esiste. Se adesso sto bene lo devo agli amici che mi sono stati vicini e a un bravo medico che ha capito cosa mi stava succedendo.Dopo un lungo lavoro psicologico, ho capito che solo smettendo di suonare avrei ritrovato parte di questo equilibrio e ci sono riuscito».Per fortuna, però, ogni tanto raggiungi i tuoi compagni e torni sul palco.«Solo per quelle che io chiamo le feste comandate. Cinque o sei pezzi conloro e poi basta, torno a sedermi tra il pubblico. E quando posso vado a Londra dove ho casa e mi rilasso».A proposito, è vero che abiti vicino a uno dei tuoi miti, Ricky Gervais?«Verissimo, ogni tanto mi capita di incrociarlo. Gli sorrido e lui mi saluta pure. Non è bellissimo?».Lui è il re del politicamente scorretto. Ma si può esserlo ancora in un’epoca in cui basta una parola fuori posto per essere travolti sui social e magari finire fuori da giornali e tv?«Io sono così politicamente scorretto che non mi interessa neanche la definizione. Penso che ormai sia quasi una questione di marketing. Come quelle pubblicità buoniste in cui ci metti dentro l’afroamericano, la coppia gay, il disabile, per dire al consumatore: “Guarda come sono bravo”. Poi magari quella stessa azienda si macchia delle peggiori nefandezze, ma che importa?».Ridere, in epoche buie come quelle che stiamo vivendo, ci può aiutare a vivere meglio?«Secondo me sì perché da sempre l’umorismo, anche quello che ci fa arrabbiare, ci dà una prospettiva diversa. Pensa a come sono guarito dalla depressione: la mia psichiatra mi ha detto, comincia a guardarti dall’esterno. Lo so che ti può far male, ma se fossi un altro che ti guarda, non penseresti di essere ridicolo con queste tue fissazioni, paranoie, paure? Ecco, è un po’ la stessa cosa: guardare le cose con gli occhi degli altri ti aiuta a capirle meglio e a eliminare certe fobie. È la filosofia che mi accompagna ormai da qualche tempo: frequenta persone che sono migliori di te, per imparare. Ma frequenta anche persone peggiori di te. Per imparare».