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 2023  dicembre 24 Domenica calendario

Intervista a Francesco Patierno

La prima domanda è la sua: “Ha visto solo l’ultimo film o anche i miei precedenti?”. Un po’ e un po’. “Perché sono eclettico”.
Eclettico è l’aggettivo giusto.
Francesco Patierno arriva dal mondo della pubblicità e proprio dalla pubblicità ha mutuato il gusto delle immagini, dei messaggi indiretti, della fotografia ammaliante e soprattutto l’eclettismo. E così in lui convivono la Napoli tragica di Pater familias, in concorso a Berlino, lo splendido documentario Svegliami a mezzanotte (la storia di Fuani Marino e il suo tentativo di suicidio), la commedia noir de Il mattino ha l’oro in bocca e la risata natalizia con Diego Abatantuono protagonista di Improvvisamente a Natale mi sposo. “Per favore non mi chieda quale preferisco, ognuno di loro è davvero come un figlio”.
Mettiamo un però…
Dopo Pater familias temevo di rinchiudermi nel ghetto dei registi d’autore; così ho firmato subito un contratto per film più industriali.
Tipo Il mattino ha l’oro in bocca sulla storia di gioco, scommesse, debiti e pericolo, ispirato al libro di Franco Baldini.
In realtà dopo Pater familias tento di girare due film molto tosti. Il primo era Pericle il nero (dal bel libro di Giuseppe Ferrandino) e per il cast avevo già Pietro Taricone ingrassato di trenta chili e Cicciolina; per il secondo provo a organizzare un lungometraggio su Francesca Mambro e Valerio Fioravanti. In entrambi i casi, niente da fare.
E allora?
Arriva Il mattino ha l’oro in bocca e mi impegno con amore, cura, pazienza e alla fine sarei dovuto tornare a Berlino, ma preferiscono Caos calmo con Nanni Moretti; poi esce in sala e qualche piccola critica arriva, ci resto male, in qualche modo lo inserisco in una sorta di limbo mentale, lo accantono per anni.
C’è un “fino a quando…”
Due settimane fa ero a Lecce, lo trovo su una piattaforma, inizio a vederlo e me lo godo tutto. Io felicissimo e stupito.
Quindi, le critiche?
Sia positive che negative in qualche modo alterano la percezione, lasciano strascichi.
Il protagonista era Elio Germano…
Con lui abbiamo approfondito tantissimo il personaggio; gli avevo consegnato una foto da studiare e dopo mesi si è presentato con quella stessa immagine ma piena di annotazioni; (sorride) Elio non impara la sceneggiatura a memoria, ma la legge un’infinità di volte e sul set arriva alla parte attraverso una lavoro di induzione.
Il personaggio diventa suo.
Quando ho rivisto il film mi sono reso conto in maniera più chiara dell’enorme lavoro portato a termine.
Comunque al suo esordio è stato invitato ai Festival.
L’aspetto più bello era l’ingenuità.
Cioè?
All’inizio presi molti premi e una sera mi chiama un giornalista: “Hai quattro candidature ai Nastri d’Argento”. “Davvero?”. “Sì”. “Ed è una cosa buona?”; oppure tempo dopo mi contatta il mio ufficio stampa: “Fra, devi partire per Praga: sei stato inserito nel Variety Critics Choice”. E pure lì: “E va bene?”. “France’, sei scemo?”.
Perfetto.
Aggiungo: a un premio sono andato via e per un motivo futile.
Quale?
Credo per una finale di tennis; (pausa) sono malato di tennis.
Riportano le cronache: “È collezionista di cravatte Marinella”.
(Stupito) Io? Ma no, l’ho indossata dieci volte in tutta la mia vita e non sono in grado neanche di farmi il nodo: la prima volta ho cercato un tutorial su Internet.
Da quale Napoli arriva?
La Napoli definita “bene”, da Posillipo, ma la mia attrazione è sempre stata per quella meno “bene”, per questo ho girato Pater familias.
La passione per la regia, da dove?
Dopo aver visto al cinema Bianca di Nanni Moretti; eppure la mia vita doveva svilupparsi verso altro: ero al secondo anno di Architettura, il futuro “disegnato”, ma davanti a quelle immagini rimasi sotto choc.
Lo ha raccontato a Moretti?
(Pausa) La mia più grande gioia non è Berlino, ma la chiamata di Nanni per invitarmi a Bimbi Belli (rassegna estiva al Sacher di Roma).
Felicissimo.
Però prima di Pater familias girai un cortometraggio, tutto in bianco e nero, muto con la musica e quando lo finii ero certo di aver realizzato una figata. E non ho mai questo genere di convinzioni.
Low profile.
Vivo nell’incertezza.
Quella volta no.
Ero sicuro che avrebbe convinto Moretti, tanto da iscriverlo al suo concorso di cortometraggi. Tranquillo. Poi passa del tempo e non mi chiamano, quindi violo le mie regole e li contatto io: “Mi dispiace, non è stato scelto”.
Una botta.
Enorme, volevo smettere, mi insultavo: “Chi ti credi di essere? Hai girato una cagata”.
Cosa l’ha salvata?
Quel lavoro l’avevo inviato pure a Venezia, il problema è che me n’ero dimenticato; insomma, stavo per partire per le vacanze, destinazione Zimbabwe, e poche ore prima dell’aereo, ecco la telefonata: “Patierno? Buongiorno, abbiamo preso…”.
Patierno 1, Moretti 0.
Non è così. Però quel corto ha girato 150 festival e l’ho venduto in mezzo mondo.
Ha mai ceduto alla recitazione?
No, sempre dietro la macchina da presa.
Neanche dei cammei.
Non ho questa attrattiva.
Ha mai soggezione davanti agli attori?
Neanche una volta; quando ho scritto Cose dell’altro mondo ho subito pensato ad Abatantuono, anche se non credevo avrebbe accettato. Invece ci siamo incontrati, lui per me un mito, eppure dopo appena due minuti di conversazione lo vivevo come attore; stessa sensazione con Benedict Cumberbatch in Napoli ‘44.
Non sente neanche l’angoscia della responsabilità della troupe?
La troupe diventa bestiale se si rende conto che non sei in grado di gestire la situazione. Allora sei un uomo morto.
Quindi è super organizzato…
Mantengo sempre un trenta per cento di caos ma intorno a una sceneggiatura di ferro; resta che quando hai di fronte professionisti come Claudio Bisio e Abatantuono puoi stare tranquillo.
Secondo Frank Matano, Abatantuono è la persona più simpatica durante le cene.
È vero, il problema è che quelle cene vanno dosate: tra vino e cibo risultano devastanti; prima di iniziare le riprese decido a quante serate sono in grado di partecipare.
Abatantuono è il suo attore feticcio.
Se all’inizio me lo avessero detto, avrei risolto tutto con una risata; però con gli anni ognuno dei due ha estratto il meglio dall’altro.
A lei, cosa?
Sto imparando a rispettare i meccanismi basici.
Esempio.
Ai tempi di Pater familias ero un integralista: non giravo i dettagli perché li derubricavo a didascalici; mentre ora ho capito quanto è importante mantenere regole di leggibilità, di comprensione.
Gli attori hanno spesso forti variazioni d’umore. Come li gestisce?
Ho imparato ad accettarli, mentre all’inizio mi colpivano, ci restavo male; però con il passare degli anni è cresciuto il mio rispetto verso di loro: l’attore si scarnifica, e non ha quasi mai il controllo della pellicola, è costretto ad affidarsi, a buttarsi; questo è un lavoro senza riferimenti, che cambia in continuazione e in una situazione di pericolo dove sono più gli insuccessi.
Come sfoga tutto questo?
Con lo sport, con il tennis.
Meglio vincere un Oscar o uno Slam?
Va bene pure un quarto di finale a Wimbledon.
Di solito l’attore comico è il più problematico del panorama-cinema…
(Sorride) Perché dal set alla vita privata, magari in una cena, si sentono perennemente costretti dentro un ruolo; (ora ride) il massimo sono le serate con più comici: lì nascono dinamiche incredibili.
Che accade?
In questo ultimo film mi sono trovato a tavola con Mago Forrest e Abatantuono, che si amano, si adorano, ma c’era la gara su chi aveva la battuta migliore; in un caso, oltre a loro due, erano presenti pure Nino Frassica e Paolo Hendel: sembrava l’asilo nido.
Lei zitto o parlante?
Osservatore, però ho rotto il tabù delle barzellette dopo uno choc da ragazzino.
Racconti.
Una sera Elio (Di Elio e le Storie Tese) inizia a snocciolarne una serie e dopo un po’ ne chiede una a me. Io mi nascondo dietro dei no. Poi bevo e cedo. Lui ride.
Sì, ma da ragazzo?
Alle medie venne una professoressa d’inglese, ragazza bellissima, noi con il testosterone impazzito; a ognuno chiese una barzelletta, ma a metà l’ho dimenticata. Per me una figura di merda.
Un fallimento professionale?
Anni fa ho ottenuto un grande successo con una pubblicità, e subito dopo me ne hanno offerta un’altra. La seconda volta ho sbagliato per la troppa sicurezza, perché troppo rilassato. E l’orrore è stato con me per anni.
Come si è sentito quando Cose dell’altro mondo è entrato nel dibattito politico, specialmente leghista, con l’accusa di razzismo nei confronti dei veneti?
Ci sono stato malissimo; quello che è scoppiato è andato al di là di ogni possibile previsione: per un mese, ogni giorno, c’era qualcuno che polemizzava; ero sicuro che avrebbe danneggiato il film.
Nei suoi film non ci sono scene di sesso.
Mai girate; (pausa) però in Pater familias ci sono situazioni che non si vedono, anche di sesso, eppure sono tutte vere.
Dagli Stati Uniti è arrivato l’intimacy coordinator per calibrare certe situazioni…
Non potrei mai accettarlo; (sorride) ne Il mattino ha l’oro in bocca una mattina giriamo una scena dove Elio doveva subire uno schiaffone da un tipo veramente grosso; chiamo Elio: “Costruiamola”. E lui: “Eh già, hai realizzato Pater familias in totale verità e ora con me cedi alla finzione?”.
Risultato?
Elio si è beccato una botta in viso spaventosa.
Da fuoriclasse.
Lo è.
Un rimpianto?
Avrei voluto girare con Tognazzi; però mi è andata bene: Abatantuono è l’unico erede di quello stile.
Frequenta i cinematografari?
Non tanto, la mia vita è fuori da certe logiche: lavoro, leggo, scrivo, faccio la spesa, vado a prendere mio figlio a scuola.
Lei chi è?
Sto cercando di scoprirlo.