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 2023  dicembre 24 Domenica calendario

La finta apertura di Putin (che esclude l’avversaria)


Paese che vai, bacchettone che trovi. In Occidente ci ritroviamo gli integralisti del politicamente corretto, quei finto-progressisti che – a lasciarli fare, e purtroppo vengono lasciati fare – azzererebbero la nostra libertà di espressione e di comportamento. In Russia, invece, hanno un problema opposto: «valori morali tradizionali» imposti a tutti addirittura per legge, che con la scusa dello stato di guerra ottengono il silenzio coatto per chiunque non si adegui alla linea. E dunque vai col patriottismo militarista in dosi massicce e obbligatorie fin dalle scuole materne, dàgli ai «disvalori dell’Occidente decadente e ostile», alle opposizioni traditrici della patria, agli omosessuali inquinatori della morale e via perseguitando.
Ma qualcuno osa dire no. È accaduto qualche sera fa in un locale notturno di Mosca, il «Mutabor», dove su iniziativa della nota attrice Anastasia Ivleeva si è tenuto un party «seminudo» contro il bacchettonismo di Stato. La festa era affollata di personalità dello spettacolo come le popstar Filipp Kirkorov, Lolita e Dima Bilan, ma era presente anche Ksenia Sobchak, figlia del defunto sindaco di San Pietroburgo Anatolij (il primo mentore politico di Putin, poi morto «misteriosamente» in una stanza d’albergo nel 2000) e lei stessa candidata di opposizione alla presidenza nel 2018.
Le foto delle celebrità in intimo trasparente hanno fatto il giro della Rete e subito si è scatenato un coro dai toni indignati e minacciosi. Il deputato putiniano Dmitry Gusev chiede di censurare gli show di Capodanno preregistrati per non far apparire i reprobi; la sua collega Maria Butina (che nel 2018 era stata brevemente in prigione negli Stati Uniti per spionaggio e poi fu accolta da eroina nazionale al suo rimpatrio) vuole verificare se al party siano stati violati il decreto presidenziale sui «valori tradizionali morali e spirituali russi» e la legge contro la propaganda gay. Ma la vera persecutrice è Ekaterina Mizulina, figlia della ex senatrice Yelena conosciuta per aver proposto nel 2017 una legge che risparmia la galera ai mariti che picchiano le mogli per la prima volta. Ekaterina è degna di lei: si occupa a nome del Cremlino di cosa si possa o non si possa dire o fare online in Russia. Ha chiesto che i festaioli del Mutabor, «che vivono in un mondo diverso dal resto del Paese e sparano sul piede all’intera politica perseguita dallo Stato», siano boicottati.
In un simile Stato, nel quale il 15 marzo si voterà per le presidenziali e dove si continua a far filtrare all’estero la falsa intenzione di negoziare un cessate il fuoco con Kiev (ancora ieri ne ha parlato il New York Times, scordando che il Cremlino ripete sempre che accetterà solo «denazificazione e smilitarizzazione dell’Ucraina», cioè cacciata di Zelensky e resa totale, al massimo una tregua per rimpolpare le prime linee falcidiate), non possono essere tollerate genuine candidature alternative a quella di Putin. Risolto il caso Navalny con l’ergastolo in Siberia, è oggi l’ora di Ekaterina Duntsova, una sconosciuta giornalista di provincia, che aveva cercato di proporsi da indipendente con un programma contro la guerra in Ucraina e per la democrazia. La Commissione elettorale centrale ha respinto la sua documentazione perché «non rispetta gli standard di legge». La Duntsova si appellerà in tribunale e chiederà al partito liberale Yabloko di candidarla. Il mese scorso, appena annunciata la candidatura, il suo conto bancario era stato bloccato, il procuratore l’aveva convocata per interrogarla e ieri la presidente della Commissione Ella Pamfilova l’ha invitata a considerare che «è ancora una giovane donna con tutta la vita davanti».