La Stampa, 24 dicembre 2023
Il punto di vista di Teheran
teheran«Risveglio, risveglio in tutto il mondo, risveglio delle coscienze». È il presidente iraniano Ebrahim Raisi a riassumere in una parola il senso della lunga giornata dedicata alla causa palestinese che ieri ha visto confluire a Teheran delegazioni dai quattro angoli del Pianeta. Raisi parla di «ordine globale ingiusto» in cui è concesso perpetrare crimini contro l’umanità. «È necessario – dice – un nuovo ordine globale partendo proprio da questa conferenza».Raisi critica la normalizzazione dei rapporti con Israele e attacca gli Stati Uniti che «alimentano le ingiustizie perpetrate dallo Stato ebraico anche attraverso il veto» in Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. «Il fallimento del CdS dimostra che sono necessari nuovi meccanismi per fermare il bombardamento a Gaza, garantire gli aiuti umanitari alla popolazione della Striscia e impedire la cacciata del popolo palestinese – chiosa -. Di cui Hamas è rappresentante legittimo perché eletto dal popolo».Ad ascoltarlo nelle prime fila dell’auditorium dell’Hafezieh Palace ci sono i rappresentanti di Yemen, Libano e Iraq, tradotto in termini Houthi, Hezbollah e Mobilitazione popolare, i tesserati dell’Asse della Resistenza e dell’Internazionale sciita lanciata ad allargare gli orizzonti. Ad allinearsi è l’Afghanistan dei talebani che parlano di «doppio standard» americano nel giudicare la libertà ad autodeterminarsi, così come gli alfieri di Nicaragua e Cuba, gli emissari dei Brics e un’irrefrenabile Malesia che pretende da parte di Israele e Usa un risarcimento ai palestinesi liquidato a beneficio di un fondo fiduciario. Un video ripercorre la storia, dalla nascita dello Stato d’Israele passando per la Guerra dei sei giorni sino ad arrivare al “genocidio di Gaza” con carrellate di bombardamenti sulla Striscia alternate a fermo immagine delle macerie. Per poi passare alle manifestazioni in tutto il mondo a sostegno della causa e concludere con l’Ayatollah Ali Khamenei: «Il futuro del mondo è il futuro della Palestina».Il punto di forza su cui fa perno l’Iran è appunto il «risveglio delle coscienze» in tutto il mondo, come spiegano fonti vicine al ministero degli Esteri di Teheran. «C’è un’opinione pubblica sempre più ampia che si rende conto di quello che succede nella Striscia e si schiera dalla parte dei palestinesi indipendentemente da quello dicono i rispettivi governi». E proprio il titolare del dicastero Hossein Amir-Abdollahian ad aprire i lavori della Conferenza: «È necessario un cambio di visione per garantire al popolo palestinese quel supporto che la comunità internazionale non è stata in grado di dare». A spiegare gli obiettivi della Tehran International Conference on Palestine (a cui La Stampa è stata invitata) è chi ci ha lavorato dietro le quinte: «Fermare la guerra, garantire gli aiuti a Gaza e consentire la ricostruzione della Striscia. Porre termine agli insediamenti, discutere la liberazione dei diecimila palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, procedere alla rottura delle relazioni diplomatiche con Israele e bloccare la normalizzazione dei rapporti con lo Stato ebraico».C’è anche un ragionamento sulle sfide contro il cambiamento della natura di Gerusalemme, «perché quando si parla di quella città si deve parlare delle tre grandi religioni monoteiste, il problema non sono gli ebrei ma sono i sionisti». Parole che trovano una sponda nel Rabbino Yisroel Covid Weiss della Jews United Against Zionism di New York, anche lui in prima fila in rappresentanza del gruppo ebraico ortodosso “Neturei Karta”. «Siamo ebrei e siamo qui per dire al mondo che il giudaismo piange e soffre con la popolazione di Gaza, noi ci opponiamo all’occupazione israeliana e all’esistenza dello Stato d’Israele. Proponiamo una mobilitazione mondiale come quella che c’è stata per eliminare l’Apartheid e fermare i crimini commessi nei confronti dei palestinesi».La parola torna poi all’Asse col ministro degli Esteri siriano Faisal Mekdad: «Anche la Siria è assediata. Israele ha perso tutto in termini di valori, umanità, dignità, e non c’è da meravigliarsi del perentorio sostegno degli Usa, lo Stato ebraico non è altro che un piede dell’America».La conferenza è però anche un test per saggiare sino a quale grado di coinvolgimento possa spingersi l’Iran e quanto sia elevato il rischio di un ampliamento del conflitto. Secondo Hakam Amhaz, analista geostrategico libanese di base in Iran, l’Asse ha due linee rosse che non possono essere superate. La prima è il rischio che Israele voglia cacciare tutti i palestinesi dalla Striscia, pensando di spedirli nel Sinai egiziano o in altri Stati confinanti. La seconda sono le mire sul Libano: «Se la guerra durerà ancora un mese ci troveremo davanti a rischi che non possiamo calcolar»”. Teheran non vuole un allargamento del conflitto men che meno è interessata ad entrare direttamente nello scontro e lo ha ribadito in maniera esplicita. In uno scenario di contagio bellico tuttavia, se l’asse della resistenza conducesse la sua guerra senza difficoltà l’Iran si limiterà a dare sostegno. Se l’asse dovesse vacillare «le probabilità che l’Iran entri direttamente rischierebbero di salire». Il punto di forza nell’ambito dell’Internazionale sciita è che oggi l’Asse controlla giunture strategiche che legano l’Occidente all’Oriente dall’Est del Mediterraneo al Canale di Suez al Mar Rosso, dal Golfo di Aden al Mar Arabico, dallo Stretto di Hormuz al Golfo Persico. In caso di conflitto le conseguenze economiche sarebbero pesanti e non solo sul piano regionale.Si spinge oltre Mohammad Reza Naqdi, alto ufficiale delle Guardie della Rivoluzione, secondo cui Mediterraneo e Stretto di Gibilterra potrebbero essere «chiusi» se Usa e alleati continuassero a commettere «crimini» a Gaza. L’Iran non ha accesso diretto al Mediterraneo e non è chiaro come possa tentare di sigillarlo, anche se Naqdi parla di «nascita di nuove potenze della resistenza e chiusura di altre vie d’acqua». La frattura settaria che ha dominato il decennio scorso si sta del resto ricomponendo grazie anche a Gaza, spiega Hakam Amhaz: «Il grande potere di questa guerra è di aver riavvicinato sciiti e sunniti nonostante certi ambienti legati agli Usa tentino ancora di soffiare sul fuoco del settarismo».