Tuttolibri, 24 dicembre 2023
Viaggio al contrario sul Danubio
Nel 1986 Claudio Magris regalava ai suoi lettori Danubio, un viaggio attraverso la Mitteleuropa e il senso della vita di insuperata eleganza. Premiato e amato in patria, all’uscita della traduzione inglese John Banville racchiuse in un epigramma conciso quel che pensava del libro: «Un capolavoro». Lo scrittore triestino aveva percorso il più lungo fiume d’Europa dalla sorgente alla foce, in quei tempi prodromici e rivoluzionari, prima che la cortina di ferro venisse smantellata e i confini tra nazioni e popoli fossero ridisegnati.Trentasette anni dopo il britannico Nick Thorpe, giornalista del Guardian e scrittore, decide di percorrere al contrario il corso del fiume, dalla foce alla sorgente, e raccontare nel suo Danubio (edito da Keller in traduzione di Roberta Cattano, Giulia Marich e Ivan Pagliaro) la nostra Europa e i suoi popoli come secondo lui andrebbero raccontati, ovvero muovendosi da Est a Ovest. «Queste sono le storie della gente del Danubio», annuncia Thorpe all’inizio di un libro che trasuda amore per una delle più grandi vie fluviali del mondo e, soprattutto, per una parte d’Europa negletta, nella solida convinzione che il flusso della Storia si sia mosso da Oriente a Occidente e non il contrario: «Sembra giunto il momento di un viaggio verso Ovest, controcorrente, per gettare una nuova luce sul continente con lo sguardo delle genti che arrivano dall’Est, che si alzano la mattina presto e seguono le loro ombre».Il Danubio di Thorpe è molto diverso da quello di Magris, tanto diverso e così saldamente ancorato alla realtà che potrebbe essere letto come una dettagliatissima guida di viaggio, se non fosse che i personaggi incontrati lungo i 2.860 chilometri del fiume continuano a parlare anche dopo aver chiuso il libro, così come le loro storie. Il suo viaggio «al contrario» pare rispondere a Magris che l’anno scorso, durante una lectio magistralis, è tornato a parlare del suo Danubio: «Il mistero è più nell’origine che nella sua fine. Dove nasce il Danubio? Nella Foresta Nera s’incontrano due fiumiciattoli. Paolo Bozzi ( caro amico di Magris, ndr) ha scoperto che nascono da una grondaia che pende e versa loro acqua. La grondaia la riceve da un rubinetto che perde. Dunque se si chiudesse quel rubinetto, Vienna, Bratislava e Budapest resterebbero in secca». Ed ecco dunque, come un viaggio nel mistero, che Thorpe ha percorso a ritroso un fiume testimone di civiltà e vicende decisive per l’Europa, interrogando ad ogni tappa la memoria dei luoghi mentre componeva un incredibile e dettagliato affresco di nozioni, battaglie, miti, detti popolari, storia antica e conflitti moderni. Pesci, acqua gelida in cui tuffarsi, dighe e biciclette, resti archeologici e vino bianco romeno che riescono a raccontare la nostra Europa e l’Occidente come un fenomeno che ha le sue radici autentiche in Oriente.Il libro abbonda di digressioni personali, fra storia, antropologia, castelli millenari e disastri ecologici, in una linea narrativa che tappa dopo tappa si anima dalle voci dei veri protagonisti che Thorpe incontra e, puntualmente, interroga: pescatori, ambientalisti, ingegneri, apicoltori, archeologi, contadini, migranti che vivono il fiume che attraversa l’Europa scorrendo in dieci Paesi – Romania, Ucraina, Moldavia, Bulgaria, Serbia, Croazia, Ungheria, Slovacchia, Austria e Germania.Il viaggio inizia a Tulcea, in Romania, dove il Danubio non è blu e nessuno ha mai visto i battelli illuminati delle crociere di «Budapest romantica». È qui che incontreremo il primo dei protagonisti di Thorpe, lo storione, un pesce arcaico, corazzato e forte che, come lui, risale il corso del fiume per deporre le uova.Perché ha deciso di risalire il fiume, di andare controcorrente?«Me lo sono chiesto spesso, e ogni volta mi sono dato una risposta diversa. Una delle ragioni potrebbe essere la mia naturale inclinazione verso le cose che vanno controcorrente. Per esempio, quando tutti si trasferivano dall’Europa dell’Est all’Europa occidentale io sono venuto a stabilirmi a Budapest, e ci sono stato per più di metà della mia vita. Un’altra ragione potrebbe essere che le persone tendono a viaggiare lungo il corso del Danubio, dalla sorgente alla foce, e quindi fare il percorso opposto sarebbe stato perlomeno originale. Prendiamo ad esempio il meraviglioso Danubio di Claudio Magris. Ho pensato sarebbe stato interessante viaggiare nella direzione sbagliata, ma soprattutto, avendo passato così tanto tempo nell’Est Europa, credo di aver iniziato a pensare come loro, e controcorrente è il modo in cui vedono l’Europa le popolazioni dell’Est. Questo è un viaggio verso l’Europa, il viaggio che farebbero romeni, bulgari, ungheresi per vedere da dove viene tutta quest’acqua. Ho notato che gli europei occidentali tendono a considerare questa metà d’Europa come il selvaggio West, un selvaggio Est. Mi sono sentito responsabile, come europeo occidentale che da anni gode dell’ospitalità e della bellezza di questa metà d’Europa: dovevo raccontarla, mi sono sentito quasi un ambasciatore di questa regione».Il suo libro è molto diverso da quello di Magris, anche se c’è un senso comune che li lega, la necessità di percorrere strade che non portano in nessun posto. C’è altro?«Magris è stato molto presente durante tutto il mio viaggio. Portavo con me una copia rilegata del suo libro che mi avevano regalato i miei genitori negli anni 80, quando uscì nella traduzione inglese, credo nel 1989. Quello che più ammiro del suo libro è che è molto filosofico. Io, invece, mi sono fissato come obiettivo quello di stare quanto più possibile vicino al fiume, di restare dove lo potevo annusare, immergermi e nuotare nelle sue acque. Leggendo Magris, e rileggendolo, ho sempre percepito una sorta di melanconia che il suo Danubio irradia: certo questa regione comunica un senso di fatiscenza, una decadenza est europea che si respirava soprattutto negli anni dopo la caduta del comunismo che in una certa misura c’è ancora, ma prima di mettermi a scrivere mi sono imposto il principio che non avrei mai usato la parola “melanconia”. Un’altra differenza dal libro di Magris è che lui si è trattenuto molto tempo nella Foresta Nera, in Germania, come se in qualche modo non volesse andare nell’Est Europa, fosse trattenuto. Io ho avuto il problema opposto, è stato difficile lasciare il Delta, le incredibili terre bulgare e romene».Come giornalista lei ha potuto vivere il prima e il dopo la cortina di ferro. Non vede una nuova cortina di ferro oggi? Penso alla Fortezza Europa, ai migranti, ai muri di frontiera che tagliano le vie naturali del Danubio…«È decisamente così. Oggi, c’è una nuova cortina fatta di barriere, ed è un peccato, perché credo che il grande sogno del 1989 e del 1990 fosse un’Europa senza confini e invece ti trovi davanti, per esempio, a questo orribile muro tra Ungheria e Serbia, sorprendentemente brutto, fatto di barriere e filo spinato che sostanzialmente consegna i migranti tra le braccia dei trafficanti. Ma le barriere fisiche non sono le uniche barriere ad essere diventate più numerose. Ci sono molti altri muri che si stanno innalzando in Europa, ad esempio so quanto siano frustrati i bulgari e i romeni dal fatto che anno dopo anno continuano a non essere accettati nell’area Shengen, con la scusa che arriverebbero molti migranti da questi due Paesi. Chiaramente è solo una scusa politica: i romeni e i bulgari che vogliono emigrare lo hanno già fatto, lo stanno facendo comunque, stanno già lavorando in Austria, nei Paesi Bassi… Anche questo è un muro, anche se invisibile».La natura, gli uccelli, i pesci si muovono incuranti dei confini costruiti dagli uomini. È davvero così?«Il Danubio ha molti problemi ambientali. Uno degli eroi del mio libro è lo storione, che è un pesce migratore eccezionale. Come mi dice il biologo Radu Suciu all’inizio del libro, è un pesce non molto bravo a nuotare ma è un eccezionale scalatore: usa le pinne dorsali per superare le rocce e risalire il fiume… La sua migrazione è stata bloccata nel 1967 dalla costruzione di una diga, e ora vorrebbero costruire una sorta di ascensore per far superare i 30 metri di altezza ai pesci, come hanno fatto in Mississippi per i salmoni. Ma c’è un problema: i salmoni risalgono il fiume e vanno a morire, lo storione vuole tornare indietro! E lo fa più volte nella vita, su e giù. Quindi dovresti fare un ascensore per salire e uno per scendere, e insegnar loro a usarlo, e con le correnti è davvero un problema… Finirà che penseranno di risolvere il problema caricandoli su un autobus...».Lei, come le dice il pescatore Ilie Sidurenko sull’estremità più meridionale del Danubio, ha fatto come lo storione, ha viaggiato dal delta alla sorgente. In che modo questo viaggio lungo un anno l’ha cambiata?«Se qualche notte non riesco a dormire rievoco delle immagini del Danubio – poche persone hanno avuto l’opportunità di percorrerlo tutto – chiudo gli occhi, ricordo ogni piccola sezione del fiume, posso vederle nel dettaglio, vedo gli alberi, gli argini, le foreste e riesco a sentire la sua voce. Sento che dentro di me porto tutto il Danubio. Non mi viene in mente nessuno dei Paesi che ho attraversato, ma solo il fiume, la voce del fiume. E credo sia importante che portiamo con noi le nostre foreste, le nostre montagne i nostri fiumi, le nostre praterie che sono così in pericolo, minacciate dalla voracità dell’uomo per queste aree selvagge».Il libro può essere letto come guida turistica e come trattato naturale e sociale. Ma oltre ai contenuti manifesti, è un inno alla scoperta, al viaggio. Secondo lei, qual è il significato di un viaggio?«Non posso essere molto originale in questo caso, ma immagino sia bene citare la poesia Itaca di Konstantinos Kavafis, il cui senso è che dopo aver passato tutta la vita a viaggiare ti rendi conto che la meta non è che il viaggio in sé, che Itaca è lì solo per spingerti a partire, e che devi augurarti che la strada sia lunga. Credo che il viaggio sia la ragione e il senso di tutto. D’altronde la mia intera vita è stata un viaggio, il motivo principale per cui sono diventato un giornalista è stato proprio per poter continuare a viaggiare. A molte persone manca casa, io ho un profondo senso di casa come tutti, ma ho sempre avuto una passione divorante per il viaggio e questo è diventato il mio destino. Non è quello che tutti sceglierebbero di fare, ed è per questo che ho una grande simpatia per i rifugiati e per i migranti, per chiunque sia costretto a viaggiare, ad abbandonare la propria casa, perché so di essere molto fortunato a poter scegliere di farlo, viaggiare in libertà, e godere così di questo mondo, delle sue bellezze, incontrare persone e culture così diverse e constatare ogni volta che abbiamo così tante cose in comune, un unico genere umano».