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 2023  dicembre 23 Sabato calendario

Intervista a Lillo


I l bacio più maldestro della storia è il suo, non c’è gara.
«Un pomeriggio ero uscito con una compagna di classe che mi piaceva tantissimo. Lei mi parlava della Roma, credo, e io, tesissimo, continuavo a pensare: “Ora la bacio, no, adesso no, mi giro a destra, no, meglio se prima mi fermo, oddio, come lo metto il collo?”. Carico a molla, ad un tratto mi sono girato di scatto e sono partito. Sdeng! Ci siamo dati una dentata pazzesca».
L’idillio non andò a buon fine.
«No. Tempo dopo mi sono messo con una sua amica, ma lei non ne soffrì».
Lillo da Torpignattara (periferia est di Roma) sognava di essere un supereroe.
«Però il costume da Batman costava troppo, non ce lo potevamo permettere, così mamma pensò bene di riciclare quello da ciociara di mia cugina, mi mandò in giro anche con le guance colorate col rossetto».
Scusi se rido.
«L’anno dopo, con un’amica sarta, si inventò un completo da supereroe a caso, con la calzamaglia e il mantello. Non ero Superman, non ero l’Uomo Ragno, ero un coso senza nome e mi vergognavo fortissimamente. Anche perché ero grassissimo, a scuola mi prendevano in giro chiamandomi “cicciabbomba”. Il fatto è che abitavo con mia nonna Mattia».
Suo nonno.
«No, proprio nonna. Aveva il nome da uomo, credo ci fosse stato uno sbaglio all’anagrafe, ricevette pure la chiamata per il servizio militare. Veniva dalla guerra, per lei un bambino in salute doveva pesare almeno 80 chili, faceva la pasta in casa, il battuto di lardo lo metteva pure nel minestrone. Ogni giorno mi faceva mangiare primo, secondo, contorno, dolce e non dovevo lasciare niente nel piatto, per merenda mi comprava delle sleppe di pizza grosse così».
A pallone...
«Ero una vera schiappa, non mi chiamavano mai in squadra, preferivano restare con un uomo in meno. Giocavo spesso da solo, con i soldatini, sempre quelli, nordisti mischiati con antichi romani e truppe napoleoniche. Mi serviva una figurina di donna, i miei mi comprarono un oplita col gonnellino e la lancia, diventò la principessa prigioniera nel castello. La chitarrina che strimpellavo faceva pure da spada, da barca, da racchetta da tennis».
In «Elf me», film natalizio uscito su Prime Video, è Trip, un elfo pasticcione. Il suo Natale più bello?
«Quando mi regalarono un fortino western completo pure di stalle».
Il regalo più brutto di sempre?
«I maglioncini, li detestavo. Poi c’era l’incubo della tombola con le bucce d’arancia e nonna che teneva il banco e ci metteva delle ore per leggere un numero, un supplizio».
Con le ragazze andava sempre come sopra?
«Un disastro. Ero timido e lo sono ancora, il lavoro è stato terapeutico. Per trovare il coraggio di farmi avanti, lei come minimo doveva avermi scritto “ti amo alla follia”, e forse mi sarei dichiarato. Le mie fidanzate hanno tutte fatto loro il primo passo».
Certo che...
«Che ero proprio de coccio. Più da grande, tra i 24 e i 28 anni, giocavo tanto a tennis, mi era venuto anche un bel fisichetto. Soltanto dopo ho scoperto che a qualcuna piacevo, purtroppo non me ne sono mai accorto».
Scappò di casa per andare al concerto di Bruce Springsteen.
«Ho fatto di peggio con quello di Lou Reed. Era l’epoca della contestazione, si pretendeva che i concerti fossero gratis e si sfondavano le transenne. I soldi per il biglietto li avevo, però mi feci trascinare dagli altri. Ci beccò la polizia che avvisò mio padre, poliziotto anche lui. La prese malissimo, era molto ligio. “Non si ruba nemmeno una matita”».
Disegnava fumetti.
«La mia passione. Ma i miei volevano il pezzo di carta, mi fecero studiare Ragioneria, cinque anni buttati, una sofferenza. Poi mi iscrissi a una scuola di disegno che mi pagavo vendendo cerotti porta a porta».
E come andavano gli affari?
«Insomma, molti dicevano che portavo sfiga. Così mi misi a vendere cinte di tela ai semafori, con un amico. Le pagavo 250 lire, le mettevo a 500, si guadagnicchiava. Poi collaborai con una ditta che faceva zainetti per bambini, disegnavo orsacchiotti e paperelle. E creavo gli adesivi per Cioè, la rivista per ragazzine: cuoricini, fiorellini, pupazzetti».
Inventò Normalman, il supereroe che tanto super non è.
«Un tipo che, mangiando una cosa, diventa cento volte più intelligente e forte ma, siccome è cento volte più scemo e incapace, alla fine risulta appunto normale. E usa i suoi superpoteri per aiutare il prossimo ad attraversare la strada o a parcheggiare l’auto».
E in quel giro ha incontrato Greg.
«Era il 1988. Lui lavorava per la casa editrice Acme, quella di Lupo Alberto e Cattivik, io ero un freelance. Andavamo a casa sua ad ascoltare dischi o a guardare un film. Cinque anni dopo abbiamo cominciato a lavorare insieme».
Avete mai litigato di brutto?
«No. Capita qualche volta di mandarsi a quel paese, siamo umani, ma niente di grave».
Il concerto di Lou Reed
Da ragazzino mi feci beccare dalla polizia
a sfondare le transenne al concerto di Lou Reed Lo dissero a mio padre, poliziotto anche lui
La prese malissimo
Il primo spettacolo insieme.
«Io scrivevo canzoni umoristiche per me e i miei amici, lui aveva un suo repertorio e suonava con una band. A mia insaputa ci ha iscritto a un concorso di musica demenziale. “Venerdì tocca a noi”. Mi è preso un colpo. Non me la sentivo proprio. Ho fatto finta di aver dimenticato a casa la chitarra, mi ci ha trascinato lo stesso. Un successo incredibile, ci hanno chiesto cinque bis».
Avevate già scelto il nome di battaglia?
«In realtà volevamo chiamarci “Ca..o e i suoi Cog.....oni”, ma alla fine abbiamo ripiegato su “Latte & i Suoi Derivati”».
Le prime serate.
«Fuori Roma non ci conosceva nessuno, facevamo lo spettacolo nelle pizzerie, con la gente di spalle che mangiava o ci chiedeva una dedica: “Oh, che la sai quella di Baglioni?”».
Sul palco si sbottonava la camicia e fingeva di strapparsi i peli del torace per poi lanciarli al pubblico che se li contendeva.
«Era diventato un appuntamento fisso. E qualche pelo me lo tiravo via sul serio».
Era un omaggio a Franco Califano.
«Un amico. Ruvido ma colto e poetico, salì sul palco con noi a cantare la canzone che gli avevamo dedicato. Ci raccontava di avere avuto almeno tremila donne, il Califfo giocava in un altro campionato».
Corrado Guzzanti.
«Uno dei miei migliori amici, un fratello. A parte quando ci sfidiamo nei giochi da tavolo tipo Monopoli o Cluedo, con noi c’è anche Marco Marzocca. Siamo molto competitivi, si gioca per vincere, non c’è buonismo, spesso nascono delle discussioni, Corrado è senza pietà. Ha grande memoria, ai quiz è fortissimo».
Con caschetto, mantello, sospensorio argentato, stivaloni con zeppa e una P sul petto ecco che si trasforma in Posaman. Il supereroe con un solo superpotere: le pose.
«È nato per caso, quando facevo Lol – Chi ride è fuori, dove tutto era improvvisato. Volevo creare un supereroe che come unico potere aveva quello di muovere le orecchie. Avevo ideato anche un meccanismo con una cordicella dietro al collo e che tiravo da sotto. Ma non funzionava. Così ho cambiato al volo, poco prima di registrare. Ed è nato Posaman».
Che ha soltanto sei pose.
«Sto lavorando alla settima».
E come sarà?
«Non posso anticiparvi niente. È un’opera d’arte, mi ci arrovello, non so ancora come verrà. La presenterò con un evento speciale».
Posaman si è materializzato per il piccolo Leone, il figlio di Fedez.
«Io mi sono divertito, lui però era fan di Ironman, un po’ mi schifava».
A «Danza con me» ha dato lezioni di ballo a Roberto Bolle.
«Quando ci siamo messi davanti allo specchio, con il fisico a vista, non riuscivo a credere che appartenessimo alla stessa specie».
Con sua moglie Tiziana il corteggiamento deve essere andato bene. Niente dentate.
«Era una fan di Latte & i Suoi Derivati, veniva ai concerti. Ci hanno presentato e ci siamo rimasti simpatici, mi ha lasciato il numero. Per due mesi ci siamo frequentati come amici, poi il resto è venuto naturale. Siamo sposati da 18 anni e conviviamo da almeno 23».
Com’è in versione marito?
«Ho una filosofia di vita tutta mia, diversa dalla sua. Quando cucino si arrabbia perché faccio un casino tremendo, alla fine sembra una Cambogia, è tutto sporco e disordinato, ma è il mio stile. Non mi sopporta».
Su Instagram lei suggerisce raccapriccianti ricette «svuotafrigo», tipo la pasta con passata di pomodoro, insalata, latte, olive,salmone, succo di mele, formaggio e marmellata d’arance.
«L’ho visto fare da un’influencer, solo che lei, guarda caso, aveva sempre gli ingredienti perfetti. Comunque sono bravo, il mio piatto forte è la pasta e patate».
Dipinge miniature.
«Da sempre, mi rilassa, è molto zen, mi ci dedico mezzora al giorno, prima di dormire. Richiedono tempo, ne faccio tre, quattro l’anno. Sono delicatissime, se cadono si rompono in ventisette pezzi, le spolvero con l’aerografo.
«So’ Lillo» è un tormentone. Ma chi è davvero Lillo?
Il Califfo e Bolle
Califano cantò la canzone che gli avevamo dedicato e ci raccontò delle sue 3 mila donne. Vicino a Bolle non riuscivo a credere che fossimo della stessa specie
«È esattamente quello che racconto nella quasi omonima serie tv. Il vero Lillo non esiste, nessuno di noi è il vero qualcosa, siamo tutto e il suo contrario. Sono sicuramente un immaturo, ma per me ha un senso positivo, non è un difetto, anzi, è un punto di forza».