la Repubblica, 23 dicembre 2023
Intervista a Leo Dell’Orco
Giorgio Armani e Pantaleo (per tutti Leo) Dell’Orco si conoscono da più di 45 anni.
Dell’Orco è il suo braccio destro, la persona che forse gli è più vicina, ed è lui che lo stilista ha scelto come “erede” ideale del suo lavoro, assieme alla nipote Silvana Armani. Lei sulla donna, lui sull’uomo. La presenza di Dell’Orco accanto al designer è sempre stata costante, ma discreta.
Fino al 22 giugno 2021, quando al termine della sfilata uomo Giorgio Armani, lo stilista lo ha voluto in passerella con lui, in una sorta d’investitura ideale. Ora, per la prima volta, Dell’Orco si racconta.
Parla spesso alla stampa nelle vesti di presidente dell’Olimpia Milano,la squadra di basket che il brand ha rilevato nel 2008. Questa invece è la sua prima intervista da designer. Come mai?
«Non ho mai sgomitato, non sono mai stato il tipo da “lei non sa chi sono io”.
Preferisco stare dietro le quinte e fare le cose importanti da lì, tutto qui».
Com’è lavorare con Armani?
«Lui è il più creativo di tutti: potesse, oserebbe ancora di più. Spesso gli nascondiamo i pezzi più commerciali perché sennò ci accusa di fare sempre le stesse cose (ride, ndr )».
È esigente?
«Credo che non mi abbia mai detto bravo. Cara grazia se mi ha dato una pacca sulla spalla. Ma non ne soffro, ormai so come ragiona. E un’altra cosa: fosse per lui, farebbe tutto e subito. Non gli si sta dietro».
Vi capita mai di discutere?
«Eccome. Silvana è più accomodante, non insiste. Io no: se sono convinto, non mollo. La cosa più divertente è quando Giorgio mi chiama per un parere mentre lavorano sulla donna.
Quando arrivo vedo il terrore negli occhi di tutti, perché sanno che dico sempre quello che penso, e che insisto finché lui non si convince».
Riesce a convincerlo?
«Non sempre, ma spesso: sa che credo in quello che dico.
Mi rimprovera solo quando parlo davanti ad altre persone, ma in realtà lo faccio apposta per obbligarlo a rispondere. Comunque io sono un positivo di natura, la mattina mi sveglio e sorrido: se litigo, dopo dieci minuti mi passa».
Lei è praticamente di famiglia.
«Merito di Giorgio, che ha creato un’armonia tra tutti noi. Anche litigando – e lo facciamo – lui e io non ci siamo mai detti una parola di troppo, di quelle che non puoi rimangiarti. Il rispetto tra noi è essenziale».
Come vi siete conosciuti?
«Ai giardinetti di via Tiraboschi, qui a Milano: il suo cane aveva iniziato a giocare col cane di un mio amico, con cui stavo passeggiando. Avevo 24 anni, lavoravo da anni alla Snam, prima come pubblicitario e poi come disegnatore industriale.
Ho cominciato a fare il modello per le aziende con cui collaborava».
Da allora lo ha sempre seguito.
«Esatto. All’inizio Armani era un appartamento con 4 scrivanie.
Giorgio seguiva lo stile, Sergio Galeotti (il socio di Armani scomparso nel 1985, ndr )gli affari.
Che tipo, Sergio: toscano, sanguigno, nove anni meno di Giorgio.
E se Armani non ha mai riso molto, lui era l’opposto, un godereccio.
Ma era anche tosto».
In che senso?
«Una volta una giornalista americana voleva intervistare Lee Radziwill, con cui il marchio aveva un rapporto di collaborazione: Sergio accetta, a patto che non faccia domande sul suo compenso. Ovviamente, la prima domanda che la giornalista fa a Lee è su quello: lo hanno dovuto bloccare, stava per prenderla a pugni.
Era capace di strappare l’ordine di un cliente importante perché per lui era piccolo. Quale esordiente avrebbe il coraggio di farlo?».
Cosa sognava di diventare prima di incontrare Armani?
«Un calciatore. Da giovane ho anche militato nel Milan. EA7 si chiama così in onore della maglia di Shevchenko, la numero 7».
Lei è milanese d’adozione.
«Sono nato a Bisceglie, in Puglia, il più piccolo di 5 fratelli. A 10 anni, con mia madre e mia nonna che ne aveva 90, ho raggiunto i miei fratelli che erano già qui. Non è stato facile, Milano non era aperta con noi meridionali. Oggi la adoro: ho preso da poco casa a Parigi, sulla Senna Giorgio dice che è umida –, ma casa mia resta qui».
Come lavorate alle collezioni?
«Per il prêt-à-porter la prima cosa che Giorgio fa è scegliere i tessuti, fatti apposta per noi. Un abito è fatto al settanta per cento dai materiali».
Lo ha detto lei, che Armani è instancabile: pensa di fare come lui, e lavorare fino a 90 anni?
«Non saprei. Ho 71 anni: da una parte penso che ne ho altri 7 o 8 da spendere qui, dall’altra che faccio un lavoro che amo, quindi perché smettere? Vero è che io ho degli hobby, cosa che Giorgio non ha mai avuto (ride, ndr ).Colleziono profumi, orologi, sneakers. E leggere: sono un fan della carta stampata».
Armani ha ufficialmente scelto Silvana e lei come suoi successori: sente la pressione?
«Non ci penso, ne rimarrei schiacciato. La novità è che ora, assieme al lavoro creativo, abbiamo anche una marea di riunioni tecniche a cui partecipare. Sto attento, imparo, e nel frattempo taccio. Però, se qualcosa non mi torna, io lo dico».