La Stampa, 23 dicembre 2023
La "banca" cinese delle mafie
Di una saldatura strutturale tra criminalità cinese e mafie italiane non vi è quasi mai stata traccia nemmeno nei copiosi e periodici dossier partoriti dagli eccellenti apparati della nostra intelligence che hanno sempre raccontato – come d’altronde a lungo è stato – il carattere chiuso (sia all’interno che all’esterno) di mafia e para-mafia della Repubblica Popolare. Ci ha pensato, negli ultimi mesi, una serie di articolate inchieste della Guardia di Finanza di Bologna a sfatare il tabù dello “splendido isolamento”, quantomeno nel segmento dell’utilizzo di sistemi finanziari sommersi paralleli: la criminalità cinese è diventata la banca delle mafie italiane, ‘ndrangheta in testa.
I money mule spostano milioni di euro per conto delle cosche, consentono loro di riciclare parte (rilevante) degli enormi guadagni ottenuti nel segmento degli affari sporchi, quello del traffico di cocaina, notoriamente monopolio delle famiglie dell’Aspromonte. Con una triangolazione impensabile fino a poco tempo fa. I soldi dei boss vengono raccolti e ritirati in Italia, cash, da imprenditori cinesi, che con una serie sterminata di bonifici sfruttando il sistema informale di trasferimento di denaro autoctono, il fei ch’ien (denaro volante ndr), li inviano ad aziende commerciali in Cina e a Hong Kong. Da qui le somme vengono indirizzate direttamente ai cartelli sudamericani per mezzo di “agenti” residenti all’estero, per saldare le forniture (a vantaggio delle cosche) di droga. È il sistema underground money broker. Costi per le commissioni: fino al 12% sulla cifra ripulita, in media tra il 6 e l’8%. Ci guadagnano tutti e l’affare è servito.
Per i pm della Dda di Bologna lo sapeva di certo Jiang Chunjian, 49 anni, residente a Casalecchio di Reno (Bologna), legale rappresentante della Luca’s Bett Srl, della Imperial Sas e socio della Arr4All srl società tutte con sede in Veneto. Di lui parlano nelle chat criptate Sky Ecc “bucate” dagli investigatori della Finanza nel bel mezzo della prima ondata del Covid (da aprile ad agosto 2020), Giuseppe Romeo di San Luca e Pietro Costanzo. Romeo è a capo di una vasta rete di narcotraffico (gli investigatori mapperanno il transito di più di una tonnellata di cocaina). Le sue chat criptate e svelate lo fotografano mentre tratta con cartelli colombiani, brasiliani, ecuadoregni. Lo fa da broker evoluto che «viola – scrive il gip Alberto Gamberini negli atti dell’inchiesta – Ii dogmi delle ‘ndrine: relegare gli affari illeciti solamente all’interno dei clan». Romeo scrive a Costanzo: «Domani a mezzogiorno arriva il banchiere cinese».
E il giorno dopo, alle 12,10, a Sant’Ilario D’Enza (Reggio Emilia) Jiang Chunjian arriva a bordo della sua Mercedes Classe X intestata alla moglie. Per “blindare” la transazione la procedura è veloce e sicura: i prelevatori dei contanti forniscono un “token” di riconoscimento: è il numero seriale di una banconota che viene comunicato ai corrieri che consegnano per conto delle cosche. Così si riconoscono entrambi. Effettuato il carico (il “pick up") il “banchiere” cinese appone la firma sulla banconota token insieme a data e importo ritirato: la foto di questa viene inviata a chi aveva commissionato il lavoro. Tutto fatto. Totale: 5 milioni di euro usciti immacolati per le cosche dopo essere entrati nella centrifuga cinese di Jiang. Che – come d’altronde il co-indagato Hu Zhanlong 44 anni – è originario Zhejiang, regione della Repubblica popolare cinese finita al centro di numerosi report dell’antimafia italiana in relazione alle joint venture tra mafia d’Oriente e camorra «che – si legge agli atti del Ministero dell’interno – ha da tempo costituito in quel Paese proprie basi logistiche, con particolare riferimento alla regione dello Zhejiang. La collaborazione agli atti – scrivono gli 007 italiani – coinvolgerebbe tutte le fasi del mercato criminale della contraffazione: la produzione e lavorazione che interessano Cina ed Italia (soprattutto l’hinterland napoletano) e la distribuzione in Italia ed all’estero, con il continente americano molto colpito da questo fenomeno». La camorra si affaccia nell’inchiesta di Bologna ribattezzata dalle Fiamme Gialle “Aspromonte Emiliano”.
A Roma, due mesi fa, copia incolla: Wen Kui Zheng, 55 anni, da una parte, uomini di ‘ndrangheta e dello spaccio della capitale dall’altra. Ma i sistemi in generale – con o senza retroterra mafioso – con cui i clienti “italiani” si avvalgono dei “servizi finanziari” di imprenditori cinesi senza scrupoli sono tanti.
Tornando a Bologna, nell’ultimo anno, tre operazioni del nucleo di polizia economico-finanziaria della Finanza lo hanno certificato. Quella ribattezzata “Sciacallo-CashBack” racconta – ad esempio – come nell’arco di alcuni mesi società italiane legate alla produzione di tessuti abbiano canalizzato su conti correnti aperti da cinesi 11 milioni di euro a titolo di pagamento di fatture per operazioni inesistenti: risorse trasferite subito in Cina con contestuale “retrocessione” agli imprenditori italiani di denaro contante raccolto all’interno della comunità cinese per un importo di fatto equivalente. “Madreperla” ha invece fotografato come la storica camiceria Marol1959 «affermata società operante nel settore sartoriale a livello di altissima qualità», un vanto del made in Italy per capirci, sia stata prima acquistata da due coniugi cinesi e poi «privata di tutti gli asset produttivi aziendali compreso i macchinari, il personale (che poi aveva denunciato in procura, ndr) e soprattutto il marchio trasferito ad una newco senza alcuna contropartita per la fallita». Risultato? Azienda in dissesto, operai in cassa integrazione e marchi utilizzati su altre piattaforme.
L’allarme per questa tendenza di aggressione ai distretti industriali e al made in Italy, risuona nelle caserme della Guardia di Finanza dell’Emilia Romagna, dove il Comando regionale ha da poco sottoscritto un prezioso protocollo al quale hanno aderito 46 tra associazioni di categoria ed enti locali, ed in particolare la Regione, tutte le Province del territorio, Confindustria, Confcommercio, Coldiretti, Confesercenti, Codacons, Inps, Inail, Ispettorato del lavoro, Agenzia delle entrate, le università della Regione, i sindacati confederali, Libera e Procura distrettuale. Sintetizzando, questo è il fine: gli imprenditori e gli enti locali diventano sentinelle “sensori del territorio”, segnalano condotte-spia, spesso non intercettabili dagli ordinari dispositivi a tutela della sicurezza economico finanziaria (S.o.s.). Al Comando regionale della Guardia di finanza in piazza Malpighi stanno arrivando le prime – rilevanti – segnalazioni, ma di questo si parlerà tra poco. —