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 2023  dicembre 18 Lunedì calendario

Svevo e Joyce

Ettore Schmitz, ossia Italo Svevo, era l’unico a Trieste in grado di far sorridere persino il cupo poeta Umberto Saba. La cifra della sua esistenza fu l’ironia come lo è della sua letteratura. Basta rileggere Il fumo in La coscienza di Zeno. A un certo punto il protagonista fa ubriacare Giovanna, donna che l’ha in custodia e la cui età «poteva variare fra i quaranta e i sessant’anni». Giovanna deve controllare che Zeno non si rimetta a fumare, ma lui la fa ubriacare col cognac e poi si dà alla fuga, dopo aver raccolto da terra un pacchetto di sigarette ungheresi: «La prima che accesi fu buonissima».L’ironia colora anche i rapporti di Schmitz con i propri familiari, eanimò pure l’incontro con James Joyce, lo scrittore irlandese che l’immortalò in Leopold Bloom nel suo Ulisse. Quando Joyce lesse La coscienza, scrisse all’amico: «Il suo libro sarà certo apprezzato. Chi non apprezzerà il colendissimo medico dott. Coprosich (sanctificetur nomen tuum) che si lavò anche il viso? Ma con quel nome che Lei gli ha dato, avrebbe dovuto fare ben altri lavacri!».L’incrocio tra i due fu del tutto peculiare. Svevo aiutava spesso il dublinese con prestiti anche esosi ( in un’occasione gli pagò in anticipo un anno di lezioni di inglese!), e Joyce ne sostenne strenuamente la causa letteraria in Francia e in Italia.Tuttavia, sarebbe semplicistico ridurne la relazione a uno scambio difavori. Per anni a Trieste si incontrarono di frequente anche al di fuori delle lezioni – durante le quali, peraltro, il professore eccentrico leggeva a Svevo e alla moglie Livia i racconti diGente di Dublino.Quando lesse I morti, Livia scese in giardino e prese dei fiori o delle rose da regalare al giovane scrittore squattrinato e con gli occhi blu come il mare. Stranamente, il gelosissimo Svevo non diede allora in escandescenze, e tanti anni dopo avrebbe persino regalato a Joyce un ritratto della moglie dipinto dal suo migliore amico, Umberto Veruda (Stefano Balli in Senilità, un personaggio a cui deve molto anche lo Stephen Dedalus diUn ritratto dell’artista da giovane e di Ulisse).Le conversazioni tra i due furono definite “fittissime”. Si scambiavano opinioni e opere letterarie. Svevo lesse in manoscritto il drammaEsulicome anche un saggio giovanile di Joyce su Giordano Bruno. Joyce ricevette copie di Una vitae Senilità e fu tra i pochi allora ad apprezzarli.Aveva una predilezione per il secondo romanzo, di cui conosceva brani a memoria e che continuò a citare per molti anni, sia in criptici passi del Finnegans Wake sia in lettere inviate a Svevo e a sua moglie Livia. Adorava soprattutto il personaggio di Angiolina, la ragazza volubile che fa impazzire di gelosia Emilio e il cui carattere si riflette anche nella protagonista dell’Ulisse, Molly Bloom.Nel 1915, dopo lo scoppio della Grande Guerra, Ettore e Livia rimasero a Trieste, mentre i Joyce si trasferirono a Zurigo così come la figlia di Schmitz, Letizia. Anche lei prese lezioni di inglese da Joyce e ne cantò la vivacità in tante reminiscenze.A Zurigo, mentre componeva l’Ulisse, Joyce teneva sulla scrivania una foto di Svevo, e a chiunque si informasse circa l’identità di quel personaggio dal sorriso sornione, lui rispondeva:«Questo qui è LeopoldBloom».Negli anni parigini Svevo fu tra i pochissimi a conoscere il vero titolo di lavoro del Finnegans Wake.Mentre il libro usciva a puntate come Work in Progress, Joyce con Svevo lo chiamava “Proteo”, proprio come il mutevole dio marino del mito greco.Nel 1926, poi, il PEN club di Parigi organizzò grazie a Joyce una cena in onore di Svevo. L’irlandese allora alluse pubblicamente non solo alla somiglianza tra Svevo e Bloom ma anche a quella tra la protagonista delFinnegans, Anna Livia, e la moglie di Svevo: «Ho immortalato anche le chiome della signora Svevo. Erano chiome lunghe e rosse. Mia figlia che le vedeva sciolte me ne parlava». Quello tra Svevo e Joyce fu uno strano incrocio di destini da cui nacquero tante intuizioni letterarie, e il loro prezioso entanglement ci invita a leggerne in parallelo anche le esistenze; quasi che, guardandosi negli occhi, ognuno abbia potuto riconoscere, rispecchiata, la vita segreta dell’altro.