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 2023  dicembre 18 Lunedì calendario

Biografia di Leonardo Sinisgalli

Cosa hanno in comune Leonardo Sinisgalli, inesauribile poligrafo (poesie, racconti, saggi, prose autobiografiche e di memoria, pubblicità) e il filmIl laureato del 1967? La “duetto” dell’Alfa Romeo, con la quale Dustin Hoffman scapperà con la neosposa. Sinisgalli aveva personalmente scelto quel nome, in un concorso pubblico, per il nuovo modello dell’Alfa. Per un suo veridico ritratto si potrebbe partire da qui, poiché Sinisgalli – poeta ingegnere – è stato uno dei pochissimi scrittori italiani ad aver frequentato – attraverso svariate consulenze ( e trasferendosi a Milano) – il mondo dell’industria, del design e della pubblicità (un altro è stato Paolo Volponi). Nato nella piccola città lucana di Montemurro, trasfigurata come una Macondo che ispirerà molta parte della sua opera, esordisce in poesia alla fine degli anni ’30, nella narrativa un po’ più tardi, e parallelamente scrive una quantità di saggi, articoli, pezzi brevi, sul tema del rapporto tra le due culture,umanistica e scientifica, poi variamente rilanciato da Snow e Huxley. Il libro che lo rappresenta più di tutti rimane ilFuror mathematicus (1944, e poi 1950), un singolare prosimeno, un felice zibaldone di pensieri, versi, lettere, brevi testi teatrali, frammenti, che testimonia della ricchezza proteiforme della sua personalità intellettuale. Dopo la morte del padre, lascia il paese – e una sicura attività come fabbro – per studiare dai salesiani di Caserta e scoprire i propri innumerevoli talenti: Enrico Fermi lo inviterà a iscriversi all’Istituto Fisico nel cerchio magico di via Panisperna, mentre a via Cavour frequentò la Scuola Romana di pittura. Artista totale come Leonardo – un grande modello – l’opera di Sinisgalli è un labirinto effervescente dove ad ogni svolta ci si immette in una nuova area del sapere (Biagio Russo), senza trascurare l’impegno civile a favore del Mezzogiorno e del paesaggio lucano degradato: resta un uomo del Sud ancestrale, con il torpore della controra, convinto che quando si rompe un vaso è per l’anima dei defunti che ci va a sbattere. Come Primo Levi ha saputo trasformare metalli e carburanti in abbaglianti metafore letterarie. Ben prima di Carlo Rovelli ci ha fatto intravedere la radice poetica della ricerca scientifica. Affascinato dai primi calcolatori, a volte così anticipatore da trovarsi in dissenso col proprio tempo (Franco Vitelli). La irradiante passione intellettuale si tinge volentieri di una sfrontatezza un po’ vernacolare: definisce le ballerine di Degas «raccapriccianti e leggere come ombrelli», accostando invece con temeraria precisione la danza alla meccanica razionale di Lagrange e D’Alembert.Le poesie si muovono entro un gusto originariamente ermetico, vivacizzato da un colore epigrammatico e irrobustito dall’incandescente autobiografia. Accanto a temi gravi, sintomo di dolorosa inadeguatezza di fronte alla natura e alla Storia, ritroviamo la dimensione del gioco e della nuvolosa immaginazione cara a Leopardi. In “A Sandro Penna” scrive: «Anche a me piace la rima / come piace agli uccelli; / ti consente – dissi – / di non dir niente» (Dimenticatoio,1978). Nei versi riesce a travasare la sua passione per la scienza e le lezioni di Heisenberg. I racconti mescolano il neorealismo quasi cronachistico prossimo al genius loci con una straniante dimensione onirica e «uno stato d’incantesimo». Evocano il nesso, sottolineato da Benjamin, tra antica arte della narrazione (di contadini e viaggiatori) e saggezza: attraversati da una inquietudine novecentesca si concludono spesso con una sentenza, con una massima. A Contini scrive di aver capito la formula della poesia: a + bj, dunque un «numero complesso», fatto di una parte reale e di una parte immaginaria (la j). Oltre alla storica Civiltà delle macchine, fondata nel 1953, dove già si parla del test di Turing, un’altra rivista da lui diretta negli anni ’60 ispira il titolo ad una immagine di esattezza visionaria «Molti amici miei non suppongono neppure che un buon mobiliere non fa mai uso di chiodi. Le poesie di molti amici miei sono zeppe di chiodi. In un violino, in una botte, non c’è un chiodo. L’essenza del mobile – qui volevo arrivare – è quella del violino e della botte». Poesia è la «frenesia del tip-tap» raccomandata da Socrate come farmaco: «Fred Astaire è l’angelo che ad ogni istante si salva dalla caduta impuntandosi». Se «le lacrime non sono il dolore ma la storia del nostro dolore» (sua citazione sveviana) allora questa storia va raccontata con l’esattezza immaginativa della poesia, proprio come fanno Fred Astaire e Sinisgalli.Concludiamo sull’avvertenza aProse di memoria e d’invenzione, del 1964. Un esercizio di immaginazione antropologica che allude a una idea dell’esistenza: «Girano tanti lucani per il mondo, ma nessuno li vede, non sono esibizionisti. Il lucano, più d’ogni altro popolo vuol bene all’ombra». Sulla sua atavica lentezza pesa «la grande stanchezza di vivere» come sulla groppa pietosa degli asinelli. Basterebbe ricordare altre personalità di lucani, geniali e umbratili, dall’immenso saggista Nicola Chiaromonte a un musicista jazz estroso come Vittorio Camardese. Sinisgalli aggiunge che il lucano, convinto come gli etruschi e gli indù che la perfezione non è di questo mondo, gli sembra perseguitato dal demone dell’insoddisfazione. Come se gli mancasse sempre l’ultimo tocco, quello della grazia. Eppure, sulla vibrante impurità dell’opera di Sinisgalli la grazia – «logaritmo della bellezza» – è scesa innumerevoli volte.