La Lettura, 17 dicembre 2023
Felice Laudadio e Carlo Fontana, due operatori culturali
Si rincorrono in libreria due volumi di memorie di due grandi operatori culturali. Il testo di Carlo Fontana, classe 1947, edito dal Saggiatore, ha per titolo Sarà l’avventura: è il racconto di lunghe fatiche in istituzioni sempre in mezzo al guado, 50 anni che partono dalla redazione dell’«Avanti!» a Milano, critica teatrale, e dal Piccolo di via Rovello, e hanno epicentro alla Scala. Felice Laudadio, classe 1944, ha scritto per le Edizioni Sabinæ Per chi suona la cultura: 45 anni di peripezie nel terreno minato del cinema e dei festival, compresa la Mostra di Venezia. Parte dalla redazione de «l’Unità», Milano 1971, e arriva a Bari, terra natale, dove prosegue l’avventura del Bif&st.
Il milanese Fontana (papà Ciro, capo ripartizione del Comune, scrisse commedie in dialetto) ha condotto «il teatro come una famiglia», con personaggi che hanno fatto rinascere la cultura in Italia (Paolo Grassi e Giorgio Strehler, Carlo Maria Badini, Antonio Ghiringhelli...). Laudadio ha cambiato molte famiglie artistiche, ha girato da Saint-Vincent a Taormina, passando per Palm Springs, sempre sventolando la bandiera del cinema europeo.
Sono storie diverse, una socialista e una comunista, ma – per usare la battuta di Enzo Biagi – loro sono quelli bravi, non hanno mai sventolato la tessera ma le competenze. Ugualmente simili oggi sono le malinconie. «Volevo lasciare una testimonianza – dice Fontana a “la Lettura” – sul modo di gestire la cosa pubblica, sul senso delle istituzioni». «Oggi – aggiunge Laudadio – non si possono più avere rapporti corretti con gli amministratori pubblici, spesso in cerca di una notorietà da circo Barnum, regno di incompetenza imbarazzante». Entrambe vite molto avventurose, entrambe non sfiorate mai da procure o magistrati: «I lavori di ristrutturazione del Piermarini sono costati 80 miliardi, ero terrorizzato; ma mai uno stop dal palazzo di Giustizia», racconta Fontana che, in compenso, rifiutò un milione di euro per dimettersi dalla Scala, come Laudadio si trovò sul tavolo la richiesta di una tangente, anni fa, proprio nella sua terra.
Fontana bambino assiste nel 1954 alla Trilogia goldoniana di Strehler; inizia così la love story con il Piccolo nella covata dei giovani, diventando poi segretario di Grassi e Badini alla Scala, amministratore delegato alla Fonit Cetra, direttore della Biennale Musica, sovrintendente di 6 clamorose stagioni al Comunale di Bologna e poi al Regio di Parma. Lasciamo per ultima l’avventura alla Scala, dove fu sovrintendente dal 1990 al 2005 perché ricordarla «mi ha procurato ancora molto dolore di fronte ad alcune riconosciute ingiustizie sul lavoro». Ovunque ha operato salvataggi, riconquiste, rilanci (alla Fonit Cetra con contratti internazionali), ha imbastito collaborazioni, complicità, amicizie. S’intrecciano le città: Venezia (il Prometeo di Luigi Nono con Claudio Abbado) e Bologna (l’alleanza con Luciano Pavarotti, Mirella Freni, Raina Kabaivanska, Luca Ronconi e Margherita Palli, Riccardo Chailly) e naturalmente Milano, dove oggi collabora per la cultura con la Confcommercio. Dopo Bologna, Fontana arriva alla Scala e siede sulla poltrona di Grassi, di cui nel libro racconta il finale triste di partita anche per delusioni, umane (Strehler) e politiche (Craxi). Milano non è più quella illuminista o del socialismo di Turati; inizia a essere quella di moda e movide. Lui apre il teatro a un nuovo pubblico, aumenta le recite, riduce i tempi di allestimento con la ristrutturazione e il trasferimento agli Arcimboldi e tenta di sciogliere le paralizzanti regole della burocrazia. Soprattutto nasce dall’Ente autonomo la Fondazione del Teatro alla Scala, per stare al passo con i tempi (i privati hanno il 40%, il pubblico il 60% dei finanziamenti), che permette sponsor e aiuti della borghesia imprenditoriale. Un fiore all’occhiello sono i nuovi laboratori all’ex Ansaldo e il rilancio del museo, oggi prelibato ritrovo. Con i loggionisti è battaglia perché deve ridurre i posti dopo l’incendio del cinema Statuto a Torino, ma un po’ alla volta la situazione si ricompone. Non si ricompone invece la diatriba con il maestro Muti, direttore musicale emerito: «Scrivendo mi sono in parte liberato – dice Fontana – ma è sempre una discesa agli inferi: non si può negare che la Scala abbia vissuto bene dopo i miei interventi». La baruffa Fontana-Muti, poi diventata lite dispettosa, resta incomprensibile se non per ragioni caratteriali o raffinati excursus nell’inconscio, ma il libro pubblica tutte le lettere, gli interventi, prima di arrivare alle dimissioni che l’allora sindaco Albertini, spinto dal consiglio di amministrazione, chiede a Fontana (e di cui molto presto si dichiarerà pentito). Agli atti, la similitudine calcistica del consigliere Fedele Confalonieri che dice a Fontana prima di «non fare il Ciampi» poi che tra Sacchi e Van Basten preferisce Van Basten, quindi Muti: chi conosce la storia del Milan capirà. Due anni come senatore servono a Fontana come un intervallo monastico.
Anche la vita di Laudadio è piena di festival nati e trasferiti – il Mystfest di Cattolica ed EuropaCinema, il Premio Solinas e quello Fellini, il Festival di Taormina dove Tom Cruise arriva in elicottero e balza a terra con un salto come in Mission: Impossible e il Carnevale di Venezia, la Casa del cinema di Roma e il Centro sperimentale, Luce-Cinecittà e il vivo e vegeto Bif&st di Bari, passando per la Mostra di Venezia. «Sono orgoglioso del premio Solinas che nel tempo produce film, sono grato a Fellini per avermi aiutato a EuropaCinema sempre in cerca di soldi; telefonò lui alla Campari».
Vale la pena di leggerlo il diario di Laudadio, un «caratteraccio» che non ha mai preso appunti ma ricorda tutto, amante dei talenti europei, amico di Scola, Mastroianni, Volonté, Wenders e produttore di Antonioni. Gossip? «Alle Grolle di Saint-Vincent che rilanciai, Paolo Villaggio, premiato, chiese a nostre spese un elicottero per andare a Montpellier: quando vide preventivato un milione sbiancò in volto e cambiò idea. Prese quattro grolle che Fellini non aveva mai ritirato per portargliele a Roma, ma il giorno in cui arrivò, 31 ottobre 1993, Fellini morì». Poi, più grave, il Pci che propone a Laudadio due vicedirettori ricreando il tripartito nei festival; ma il direttore è contro la «politicizzazione del consumo culturale».
Tra le idee curiose di Laudadio, premiare un famoso medico che aveva le cartelle cliniche dei divi, salvò dal tumore Volonté (morì per un infarto) e fu testimone di un tentato suicidio di Godard. Capricci d’artisti sempre e ovunque: nel ’91 Mara Venier deve presentare in diretta tv le Grolle ma all’ultimo non se la sente e viene spinta dentro dall’allora fidanzato Arbore e da Laudadio. E Clint Eastwood che invita il direttore nel ranch californiano, illudendolo di dargli il film a Venezia, e invece paga il conto ma non si fa vedere. Peggio ancora il rifiuto della Cina di proiettare Keep Cool di Zhang Yimou alla Mostra; ma Laudadio, che ne ha una copia, la nasconde e la coccola 15 giorni sotto il letto.