La Lettura, 17 dicembre 2023
Sulla polizia londinese
Spesso bistrattato dalla critica, è uno degli scrittori più amati dal pubblico: ora Jeffrey Archer è di nuovo nelle librerie italiane con Occhio non vede, nuovo romanzo che vede protagonista il detective William Warwick. Questa volta il neo-ispettore è alle prese con un caso che si prospetta piu delicato e pericoloso dei precedenti, perché si tratta di portare alla luce la corruzione che dilaga all’interno della stessa Scotland Yard. A mano a mano che l’indagine procede, Warwick si rende conto che il livello di corruzione della polizia metropolitana di Londra potrebbe essere piu profondo di quanto avesse immaginato, e che molti suoi colleghi fanno finta di non vedere.
Archer stesso è un personaggio romanzesco: deputato, vice-presidente dei conservatori, membro dei Lord, coinvolto in scandali sessuali, finito in carcere per spergiuro, ha venduto oltre 300 milioni di libri nel mondo ed è lo scrittore britannico di maggiore successo dopo J. K. Rowling.
Lord Archer, un romanzo incentrato sulla corruzione a Scotland Yard appare quanto mai attuale: la polizia londinese è stata di recente accusata di razzismo, omofobia, molestie sessuali...
«Stupro!».
Appunto: allora vuol dire che Scotland Yard è ormai istituzionalmente corrotta?
«No: sono ventimila, per cui puoi essere sicuro che mille fra di loro sono corrotti, forse un altro migliaio sono un po’ sospetti, ma la base della nostra polizia è buona come in qualunque altra parte del mondo».
Ed è anche considerata la migliore del mondo.
«Sono d’accordo!».
Però Scotland Yard è stata anche accusata di favoritismi politici verso la sinistra scesa in piazza per sostenere i palestinesi.
«Non lo credo: è più probabile che i poliziotti siano conservatori».
Anche se Scotland Yard ha dimostrato indipendenza, rifiutando di acconsentire alla richiesta del governo di vietare quelle manifestazioni.
«Assolutamente, uno dei grandi punti di forza della Gran Bretagna è che abbiamo le dimostrazioni per le cause più folli: e meno male!».
Quello che emerge da libri come il suo è quanto la figura del detective contemporaneo sia tormentata: ha dubbi su sé stesso e sulle istituzioni, siamo molto lontani dal modello classico di Sherlock Holmes.
«La disciplina era tale che 50 anni fa non avresti contraddetto il tuo superiore: adesso contraddici il capo della polizia. All’interno c’è molta più indipendenza di quanto non ce ne sia mai stata: fa parte di come la Gran Bretagna si è evoluta dall’essere una società molto snob e gerarchica a una molto più egualitaria. Ed è una cosa buona».
Stiamo assistendo, come dicono alcuni, alla morte della vecchia Inghilterra conservatrice?
«Quando sono diventato membro della Camera dei Lord, trent’anni fa, la gente si alzava quando entravo nella stanza, adesso dicono: “Ciao Jeffrey, come va l’ultimo libro?”. È l’evoluzione di questi trent’anni: ma penso che sia meraviglioso».
Quella tradizione politico-culturale è esaurita?
«Evaporata. Quando sono entrato nella Camera dei Comuni a 29 anni, cioè praticamente un bambino, c’erano conti e lord e loro erano i leader, io ero un ragazzo sgarrupato. Ma nella mia vita ho visto un totale cambiamento, attraverso tre donne premier e ora un premier indiano».
Tutti però conservatori: sono stati loro gli agenti del cambiamento?
«Assolutamente: i conservatori hanno avuto il primo premier ebreo, il primo scapolo, la prima donna e ora il primo di una minoranza etnica. I laburisti invece? Non hanno mai avuto una donna leader, sono una banda di bianchi piccolo-borghesi!».
Ma ora si apprestano a vincere le elezioni.
«Sì, il loro leader Keir Starmer non spaventa la gente».
Sembra la fine di un’era e l’inizio di una nuova.
«Sì, sono d’accordo. Ho 83 anni: potrei non vedere un altro governo conservatore nella mia vita».
I laburisti riporteranno la Gran Bretagna nell’Unione europea?
«No. Lo vorrebbero? Sì, neanche troppo segretamente. Lo faranno? No. La decisione è stata presa e dobbiamo conviverci: non ci sarà un altro referendum sulla Brexit».
Torniamo ai libri. Un altro autore di gialli che ha avuto di recente un successo incredibile è Richard Osman, che ha venduto in qualche anno più di dieci milioni di copie. Però lui è il suo opposto, lo chiamano l’autore del «giallo carino», mentre le sue storie sono oscure e drammatiche.
«Bisogna scrivere nel modo in cui ci si sente a proprio agio: non bisogna fare un romanzo violento o sexy perché si pensa che possa vendere bene. Io e Osman facciamo cose totalmente diverse: io non potrei fare quello che fa lui e sospetto che lui non possa fare ciò che faccio io. Io sono stato in attività per quasi 50 anni e siamo solo in quattro così: John le Carré, John Grisham, Stephen King e il sottoscritto. Bisogna vedere quanti di questi scrittori moderni dureranno per 50 anni. Alcuni di loro si esauriscono in un solo libro, altri ne fanno due o tre e scompaiono...».
E cosa fa la differenza?
«Non lo so, è il pubblico che decide. Lo hanno deciso con me fin dal primo libro».
E lo stesso è stato con gli altri tre giganti che ha citato.
«Sì, ma poi devi continuare a restare alla stessa altezza».
Che cosa vi accomuna?
«Siamo tutti narratori. Non siamo vincitori di Nobel, noi raccontiamo una storia. Ci sono migliaia di scrittori, e anche dannatamente bravi, ma i narratori sono rari. Se riesci a combinare le due cose, una buona scrittura e la capacità narrativa, il pubblico ti appartiene».
C’è qualcuno che combina le due cose al meglio?
«Stefan Zweig. Quando lo leggo penso: da grande voglio essere Stefan Zweig!».
A chi si sente più vicino di quei tre autori contemporanei?
«Grisham è un avvocato con una enorme esperienza della legge, ma ce l’hanno anche migliaia di persone e non sono capaci di fare quello che fa lui. King fa horror: e io non sono capace di farlo. Le Carré ha fatto spionaggio: e io non so farlo. Se io faccio qualcosa, è l’ambizione».
C’entra l’esperienza personale?
«Corretto. Non so nel caso di King... ma le Carré ha lavorato nei servizi segreti e Grisham ha fatto l’avvocato. Nel mio caso ci sono la politica e le mie esperienze: per questo dico ai giovani di scrivere di ciò che sanno. Prendiamo Elena Ferrante e la sua trilogia su Napoli: io non potrei farla perché non ne so nulla, così come lei non potrebbe farne una su Londra».
Cosa pensa di lei?
«È una grande narratrice e anche un’ottima scrittrice: ma il suo genio è che rende tutto credibile. Questo è il segreto: la gente deve poterti credere».