La Lettura, 17 dicembre 2023
Biografia di Marco Polo
Dell’infanzia di Marco Polo, del quale il 9 gennaio ricorreranno i 7 secoli dalla morte, non sappiamo pressoché nulla, se non che nacque a Venezia nel 1254 da Nicolò di Andrea Polo e che al momento del ritorno del padre in Laguna dal suo primo viaggio in Cina, nel 1269, il ragazzo, già orfano di madre, aveva compiuto 15 anni. Probabile che a crescerlo e a curarne l’educazione fosse stato l’omonimo zio, Marco il vecchio, con la sua famiglia, nella casa comune dei Polo a San Severo, nel sestiere di Castello. I Polo erano allora una delle famiglie eminenti della città, pur non appartenendo alla grande mercatura, ossia a quelle poche casate maggiormente impegnate nei traffici e nei commerci internazionali, da tempo alla guida anche politica del comune.
Mentre Marco nasceva a Venezia alla metà del XIII secolo, nella più profonda e remota Asia continentale si stava compiendo una rivoluzione che avrebbe non solo dilatato i confini del mondo allora conosciuto, aprendo le porte a una realtà forse per la prima volta davvero globalizzata, ma anche creato i presupposti della fantastica avventura dei Polo raccontata nel Milione. Sin dagli inizi del Duecento, infatti, si era avviata prepotente la grande espansione dell’impero mongolo, che in pochi decenni si era esteso dall’Oceano Pacifico sino ai margini del Mediterraneo.
Quella rapida espansione aveva rischiato di spazzare via anche l’Occidente cristiano. Di fronte all’immane pericolo, Papa Innocenzo IV aveva disposto nel Concilio di Lione del 1245 l’invio di alcune spedizioni diplomatiche per stabilire contatti e inviare al khan mongolo messaggi di pace. Una delle prime missioni partite alla volta della corte tatara fu quella del domenicano Ascelino da Cremona, seguita di lì a breve dalla missione del francescano Giovanni di Pian del Carpine. Sul piano diplomatico, entrambe le spedizioni si erano risolte con un fallimento; nondimeno, avevano aperto spiragli importanti sul piano delle reciproche conoscenze, avendo per la prima volta disvelato all’Occidente un mondo sin allora sconosciuto ed estraneo. In seguito si erano susseguite altre missioni verso la corte mongola. Tra queste, fra il 1253 e il 1255, l’impresa di Guglielmo di Rubruck, frate minore, di cui ci rimane una fonte eccezionale per la scoperta del nuovo mondo, ossia il suo rapporto stilato a fine viaggio, l’Itinerarium.
Dietro ai missionari si mossero presto, lesti e interessati, i mercanti. Sulle stesse rotte aperte da nunzi ed evangelizzatori si avventurarono i professionisti del denaro, capaci allo stesso modo di mettere in comunicazione l’Occidente latino e le ricche terre dell’Asia orientale. Le vie della fede si trasformarono così repentinamente nelle vie dei commerci (delle sete e delle spezie, come saranno poi ribattezzate), permettendo un rapido sviluppo di traffici e affari, favoriti anche dalla cosiddetta pax mongolica garantita dai mongoli su tutti gli itinerari terrestri euroasiatici.
Tra la prime spedizioni di cui si abbiano notizie certe (in quanto descritta nel Milione) ci fu quella dei fratelli Nicolò e Matteo Polo, rispettivamente padre e zio di Marco. Iniziarono il loro viaggio nel 1260 da Soldaia, sul Mar Nero. Dopo avere raggiunto Bolgar, non lontano da Saraj, e sostato per circa un anno nel basso Volga, ripresero il cammino, puntando verso Oriente e l’Asia centrale. Si spinsero sino a Bukhara, fiorente emporio nell’odierno Uzbekistan, dove sostarono per tre anni. Ripartirono nel 1264 o 1265, aggregandosi a un’ambasceria persiana, che li condusse sino alla corte del gran khan dei mongoli, Qubilay, in Cina. Familiarizzarono talmente con la corte imperiale che arrivarono mercanti e ripartirono ambasciatori. Nel 1266, infatti, iniziarono il viaggio di ritorno in patria recando con loro una lettera di Qubilay indirizzata al Papa.
Dopo tre anni, nel 1269, pervennero dapprima a Laiazzo, quindi ad Acri, dove, tuttavia, scoprirono che non c’era un Papa a cui consegnare la missiva; Clemente IV era morto l’anno prima e il conclave tardava a nominare il successore. Nell’attesa di una buona nuova da Viterbo, dove i cardinali erano riuniti per l’elezione, decisero di fare ritorno a Venezia. Fu allora che Nicolò scoprì di avere un figlio, già adolescente, e Marco fece finalmente conoscenza con un padre di cui per anni aveva avuto solo vaghe notizie ma che aveva atteso a lungo.
Rimasero in Laguna un paio d’anni: giusto il tempo di sistemare gli affari di famiglia, organizzare il nuovo viaggio e attendere la nomina del nuovo Papa. Nel 1271, stanchi di aspettare buone nuove da Viterbo, decisero di partire comunque alla volta della Cina. C’erano da onorare gli impegni presi con Qubilay, che non si poteva far aspettare oltre. Con i due Polo viaggiava allora anche il figlio adolescente, Marco. Approdati ad Acri, si presentarono al legato papale, Tedaldo Visconti da Piacenza. Raggiunsero poi Laiazzo, pronti a imboccare la carovaniera che li avrebbe portati in Cina. Dovettero, però, rientrare sollecitamente ad Acri, richiamati da una notizia improvvisa. Finalmente era stato eletto il nuovo Papa, Gregorio X; e non uno qualunque, ma proprio Tedaldo Visconti.
Ottenuta la benedizione papale, la comitiva riprese il cammino per l’Estremo Oriente. Raggiunsero la corte di Qubilay, dopo avere attraversato la Persia, l’Asia centrale, i deserti della Cina occidentale e il Catai, tre anni più tardi, nel 1275, dove furono ricevuti con tutti gli onori dal gran signore mongolo. Lì Marco, il padre e lo zio sarebbero rimasti per quasi vent’anni, a servizio di Qubilay e in veste di mercanti. Furono per Marco anni intensi di viaggi, studio, conoscenze, scoperte e rivelazioni: gli anni favolosi raccontati nel Milione. Solo nel 1290 i tre Polo iniziarono il viaggio di ritorno in patria. Pervennero a Trebisonda nel 1294 e poi a Costantinopoli. Da qui fu facile raggiungere Venezia via mare. Nel 1295 approdarono, finalmente, nell’amata città natale.
I Polo tornarono dalla Cina con un capitale considerevole. Lo investirono in parte nell’acquisto di un grande palazzo, a San Giovanni Grisostomo, nel cuore della città, a due passi da Rialto, dal fondaco dei Tedeschi e dalle mercerie.
Appena tre anni dopo, nel 1298, Marco fu preso dai genovesi a Curzola (anche se altre versioni lo vogliono prigioniero già dal 1296, forse catturato in uno scontro minore a Laiazzo). Venezia era allora in guerra con l’acerrima nemica Genova per il predominio marittimo e commerciale nel Mediterraneo. Tradotto nelle prigioni genovesi, lì dettò il racconto dei suoi fantastici viaggi nell’Estremo Oriente a Rustichello da Pisa, a sua volta detenuto sin dalla battaglia della Meloria del 1284; nacque allora Il Milione (o Devisement du monde ), uno dei libri più straordinari e fortunati del Medioevo occidentale.
Tornato definitivamente a Venezia nella primavera del 1299, dopo la cattività genovese, per Marco si aprì un capitolo tutto nuovo della sua vita. Si lasciò alle spalle i viaggi, le avventure e la vita raminga del mercante per indossare le vesti dell’imprenditore stanziale e del padre di famiglia. Era allora un uomo maturo, di quasi 45 anni: era tempo anche per lui di mettere su casa. Di certo, era un eccellente partito: facoltoso, di buon lignaggio, con le spalle solide di chi aveva passato una vita in mare a fare affari e la fama di chi aveva scoperto mondi nuovi e sconosciuti. Con tali credenziali, non faticò a trovare la moglie giusta. Fece un ottimo matrimonio. Si sposò nel 1300 con Donata Badoer, rampolla di una casata tra le più nobili, ricche e prestigiose della città. Nacquero in rapida successione tre figlie, Fantina, Bellela e Moreta.
Passò gli ultimi anni della sua esistenza occupandosi esclusivamente del suo patrimonio e delle sue amate donne, senza farsi distrarre in alcun modo dalla politica o farsi tentare da altri viaggi e avventure. Riuscì nell’intento di accasare le figlie con nobili mercanti di acclamata reputazione e di sicuro pedigree.
A quasi settant’anni Marco si ammalò gravemente. Decise di chiamare in extremis un notaio per redigere il testamento. Era il 9 gennaio 1324. Nominò esecutori testamentari la moglie, Donata, e le figlie. Morì quello stesso giorno. Venne sepolto nell’arca di famiglia, sita nella cappella di San Sebastiano, all’interno della chiesa benedettina di San Lorenzo, come lui stesso aveva disposto. Purtroppo, dell’arca e delle spoglie mortali di Marco non rimane oggi più nulla: distrutta la prima e disperse le seconde in età napoleonica, tra il 1806 e il 1813, quando furono disposti la soppressione del cenobio benedettino e l’atterramento dell’intero complesso monastico.